Il Garante dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è una figura istituzionale presente nella maggior parte dei paesi europei, fuorché in Italia, dove sono operanti solo tre Garanti regionali. Si tratta di un'autorità indipendente che ha soprattutto il compito di verificare e vigilare sull'effettiva applicazione nazionale e locale dei diritti di tutela e di promozione dell'infanzia sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 19H9. Un obiettivo, questo, da perseguire non attraverso vuoti proclami o denunce allarmistiche e nemmeno assumendo atteggiamenti giudicanti o censori verso coloro che quotidianamente sono a contatto con bambini e ragazzi (famiglie, scuola, tribunali, servizi sociali e sanitari, strutture per il tempo libero, il gioco, lo sport, ecc.), bensì praticando l'ascolto, la persuasione e tutti gli strumenti eli un diritto "amichevole", "mite", ma non cedevole. Per questo appare oggi indispensabile costruire anche in Italia un sistema nazionale e regionale di garanzie che possano sviluppare i diritti delle bambine e dei bambini che vivono nel nostro paese.
Il principio di sussidiarietà non solo occupa un posto centrale nella Dottrina sociale della Chiesa, ma costituisce una novità rilevante nel pensiero filosofico, politico, economico e giuridico dell'Occidente. Nel corso dei secoli, ancor prima della sua esplicita formalizzazione, esso ha determinato la nascita e la crescita dal "basso" delle più varie iniziative di risposta ai bisogni della collettività. Tale azione non è venuta meno con l'affermarsi dello Stato moderno, anzi si è ampliata per far fronte ai nuovi bisogni creati proprio dall'avvento della modernità. Parlare di sussidiarietà significa porre al centro dell'azione sociale, economica, politica, un soggetto umano caratterizzato dalla libertà intesa come desiderio di bene, per sé e per gli altri, e non solo come propria indipendenza e capacità di scelta. Come emerge dall'ampiezza degli interventi di questo libro, la sussidiarietà è un modo diverso di guardare tutta la vita sociale e istituzionale, che nasce da una riflessione sull'esperienza della singola persona umana e diventa capace di costruire risposte più adeguate ai reali bisogni di tutti.
La Fondazione Remo Orseri per la collaborazione culturale fra i popoli promuove per Statuto occasioni di incontro e dialogo fra culture e tradizioni religiose diverse. Nel corso degli ultimi anni ha animato alcuni colloqui specifici sui temi del dialogo fra credenti - in modo diverso - e non credenti, alla comune ricerca di un valore universale comune e fondante: la pace. Questo libro raccoglie i contributi emersi in diverse occasioni pubbliche. "Laico" e "religioso" rappresentano due grandi universi difficilmente sintetizzabili, al loro interno frastagliati e disomogenei, che in queste iniziative hanno invitato ciascuno a tornare all'origine stessa del confronto. Infatti, chi è, e che vuoi dire, "laico"? Chi è, e che vuoi dire, "religioso"?
Negli anni Cinquanta in Italia si consuma la crisi della politica centrista, di cui De Gasperi era stato il principale artefice, e si inizia a dibattere, anche negli ambienti cattolici, sull'opportunità di un'"apertura a sinistra" verso il Partito socialista. Proprio in quel periodo, alimentata dalla pubblicistica corrente, si diffonde la fama "progressista" di Giovanni Battista Montini, dal 1954 arcivescovo di Milano: si parla di lui come di un "vescovo rosso" che, in contrapposizione alla Curia romana e all'episcopato tradizionalista, appoggia i tentativi democristiani di coinvolgere i socialisti nel governo del Paese. Il volume, scavando in profondità nella documentazione di Montini e della diocesi milanese, fino a oggi inedita, smentisce queste ricostruzioni, facendo emergere una opposizione non episodica, ma motivata da ragioni dottrinali e morali, a ogni tentativo di collaborazione politica con i socialisti. Questa opposizione spiega anche i difficili rapporti dell'arcivescovo Montini con i dirigenti lombardi della Democrazia cristiana, appartenenti in maggioranza alla corrente della Sinistra di Base e tenaci sostenitori dell'apertura ai socialisti; e giustifica il dialettico confronto sul tema dell'autonomia politica dei cattolici anche con i maggiori leader democristiani del tempo, Fanfani e Moro, fautori dell'alleanza di governo con il Partito socialista.
Metz Yeghérn, il "Grande Male": così gli armeni ricordano il loro olocausto, con una parola che vuol dire, insieme, male fisico e anche morale, ciò che addolora, tortura, uccide. "Il genocidio degli armeni, il primo del secolo, è avvenuto ottant'anni fa in Turchia con lo scopo di 'liberarla' della presenza armena. Se si esclude la piccola comunità di Costantinopoli, l'obiettivo fu raggiunto. Il genocidio del 1915 è perciò anche la prima 'pulizia etnica' di un secolo che chiude il millennio con altre 'pulizie' orrende. Nessuna di queste - incluso l'olocausto del popolo ebraico voluto da Hitler - è dovuta a motivazioni religiose. Viceversa, la cultura che sostiene i massacratori è essenzialmente secolare: si elimina e si uccide in nome di poteri, dominii e superiorità tutte terrestri, avide di terra e di beni, bisognose di cancellare la vita e la storia delle vittime. Commemorare l'ottantesimo del genocidio degli armeni non è quindi solo far memoria del passato a ridosso di drammi attuali e vicini, ma anche chiedersi perché e come il nostro secolo sia segnato da questi tragici eventi. Così facendo sappiamo di operare non solo perché venga resa giustizia a un popolo, ma anche perché altri lo facciano, abbandonando il lato oscuro della modernità".
A vent'anni dalla rivoluzione iraniana (1978-79), che sollevò lo Scià e affidò il governo del paese all'ayatollah Khomeini, si rivela di straordinaria attualità la previsione di Michel Foucault. "L'Islam" aveva scritto allora il filosofo francese "rischia di costituire una gigantesca polveriera. Da ieri ogni stato musulmano può essere rivoluzionario dall'interno, a partire dalle sue tradizioni secolari". Foucault guardava all'Islam da un osservatorio privilegiato: era allora inviato speciale a Teheran per il Corriere della Sera, e questi suoi reportage testimoniano una partecipazione appassionata ed entusiasta agli avvenimenti. L'adesione al movimento che scuoteva l'Iran e che si sarebbe, con forme e vicende diverse, propagato in seguito a gran parte del Medio Oriente, fu propria a molti intellettuali dell'epoca. Oggi la stessa "profezia" è più spesso vissuta come una minaccia: sintomo della complessità del confronto con questo nuovo soggetto religioso e politico che, dopo la caduta dell'ordine mondiale bipolare, si propone come radicale alternativa alla visione del mondo propria dell'Occidente.
I recenti avvenimenti che hanno accompagnato l'entrata in vigore in Francia della legge che proibisce l'ostentazione di simboli religiosi nelle scuole ripropongono in modo urgente il tema della laicità dello Stato. Che cos'è una società laica? In che modo le autorità religiose possono entrare in relazione con i governi senza interferire indebitamente o entrare in conflitto? Il volume risponde a questi interrogativi, ricostruendo alcuni concetti di base per ribadire che non si può rispondere al fondamentalismo negando tout court l'influenza del sentimento religioso nella vita sociale.
Contrariamente a quanto si possa pensare, i capi non sono più aiutati dalle aziende a esercitare la loro funzione e non sanno come agire: motivare, dirigere, controllare, aiutare. Il "buon" leader include e integra, ma la buona leadership contempla anche il suo opposto: l'esclusione, il dominio, il narcisismo. Il lato oscuro che va conosciuto per impedirne il sabotaggio. La psicoanalisi italiana ha negli ultimi venti anni costruito l'idea di un capo in grado di gestire le proprie debolezze e favorire la realizzazione del compito: un capo che valorizza le persone ed è instancabile nell'innovazione di se stesso e della sua organizzazione. Per tale motivo il Capo di Buona Speranza è un luogo della geografia psichica, una terra di confine, poiché i confini sono gli spazi di maggior vitalità. Il volume fa il punto sulla leadership in una società che cambia e fornisce la chiave per spiegare e supportare i capi nel loro ruolo, per indirizzarli verso le relazioni più proficue verso i collaboratori e i partner.
Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento sono un periodo complesso della storia di Roma. La città vive una rapida crescita demografica ma con un'endemica crisi della pianificazione urbana, e investita dalla contestazione sociale e politica e da un forte confronto politico. La capitale conosce profonde trasformazioni, ma fatica a essere un modello per l'intera nazione. E una città dove convivono culture e modelli diversi, e si registra un forte mutamento del tessuto urbano, umano e culturale. Sono trasformazioni che interessano anche la Chiesa, la più antica istituzione della città. Attraverso l'osservatorio della vita religiosa a Roma, si colgono tensioni e problemi che attraversano l'intera società, perché mentre la Chiesa acquista una presenza rinnovata tra i romani, viene investita dal processo di secolarizzazione che cambia radicalmente i costumi dei cittadini. E in questa città profondamente mutata, diversa dall'ideale certo mai realizzato della città sacra, che la diocesi del Papa negli anni di Paolo Vi costruisce un suo profilo autonomo di Chiesa locale ed esercita un'autorità morale e pastorale sulla città. Roma si secolarizza, ma resta una città dove la vita religiosa ed ecclesiale è una componente di grande rilievo e un riferimento nella vita quotidiana della gente, soprattutto nei momenti di passaggio o di crisi come i cosiddetti anni di piombo che la videro scenario di tragici eventi.
Lo stato attuale dei mercati della comunicazione e dei media, con dati aggiornati al 2005, è arricchito in questa edizione da un'analisi quantitativa della loro evoluzione negli ultimi venti anni. La seconda parte del volume ospita il primo, inedito studio sull'industria della produzione televisiva in Italia, che evidenzia la composizione del mercato e il suo peso economico, il quadro legislativo e i modelli di business, le fonti di finanziamento e la gestione dei diritti, le best practices e le principali criticità. Si analizzano, poi, le reciproche relazioni fra proprietari della rete "fisica" di trasporto del protocollo Internet, detentori dei diritti sui contenuti e nuovi intermediari che controllano l'asset dell'aggregazione e fidelizzazione dell'utenza.