
La separazione tra Medioevo e Rinascimento è il risultato del mancato adempimento delle possibilità culturali del movimento rinascimentale.
"I due volumi di de Lubac mantengono tutto l'interesse per la storia della ricezione e degli effetti del pensiero di Gioacchino da Fiore. Anche in tutte queste pagine, appare l'erudizione prodigiosa del gesuita francese. Quella che egli delinea è una straordinaria storia del pensiero e della nostra tradizione. [...] Il gesuita teologo non ha fatto però soltanto opera di storico erudito. È stato teologo e uomo di Chiesa, e non ha nascosto le sue carte. Egli medesimo ci dà la chiave di lettura, il suo punto di vista, e riconosce la sua come una lettura non neutra della storia (ma esiste una lettura totalmente neutra, distaccata?). Per capire, ricordiamo che egli pubblica negli anni dopo il concilio Vaticano II, e dopo quel sommovimento della società occidentale che è indicato (simbolicamente) come il 'sessantotto'. [...] Gioacchino da Fiore ha lasciato un'eredità importante, forse anche ingombrante. Ma ha anche trasmesso in determinati momenti storici e per una parte della sua posterità una certa speranza, a volte diventata utopia, a volte suscitatrice di apertura allo Spirito di Dio, che è sempre Spirito creatore". (dall'introduzione di Azzolino Chiappini)
Mentre il primo tomo del volume "Mistero ed ermeneutica" trattava di mito, simbolo e culto, tre forme attraverso le quali l'uomo si apre al mistero della Realtà, il secondo tomo è dedicato alla fede, all'ermeneutica e alla parola come espressione di questa apertura. La prima sezione si articola intorno alla fede, alla sua natura, e cerca di rompere la monopolizzazione della fede ad opera di una certa sua interpretazione ristretta. Solo il carattere simbolico delle parole e il loro uso in senso mitico può vincere la tendenza della nostra ragione ad arrogarsi il monopolio sul significato delle parole. La seconda sezione cerca di applicare l'ermeneutica ad alcuni dei problemi presenti nell'odierno incontro tra religioni e nel confronto tra le varie visioni del mondo. Lo sforzo qui è di integrare le interpretazioni, dettate dalla situazione contemporanea, della cosiddetta teologia fondamentale. Da questa prospettiva ermeneutica viene esaminato un esempio fornito principalmente dalla religione cristiana. L'ultimo capitolo analizza un aspetto importante di ogni religione, che sembra essere stato spesso indebitamente trascurato. La secolarizzazione e la religione trovano certamente un punto di incontro nel sottolineare l'importanza non solo della liberazione, ma della libertà. La terza sezione è composta da quattro testi che affrontano il tema del rapporto tra Uomo, Realtà e Parola, ciascuno da una particolare prospettiva.
Jheronimus Bosch (ca. 1450-1516) è colto sovente come uno degli artisti più enigmatici degli inizi dell'età moderna. Inventore di creature mostruose, ibridi grotteschi e bizzarre chimere dell'inframondo e dal mondo dei sogni, Bosch ha dato forme e volti a vizi e desideri dell'umano. "Ero ben consapevole che le sue figure di sogno erano legate al linguaggio letterario, formale e artistico della sua epoca, ma questa strabiliante esuberanza dell'immaginazione, questo incredibile accumulare dettagli anche minimi l'alto cappello dell'uomo vestito di rosso in primo piano, a sinistra, che sembra uscire dai tempi di Toulouse-Lautrec; la vorace testa di pesce tra oggetti indefinibili, ma dipinti con raffinatezza; la donna inginocchiata, in rosa, vicinissima al santo, e poi il santo stesso, che con due dita della mano destra sembra prestare giuramento - qui il mistero degli enigmi era effettivamente accresciuto senza che si intravvedesse una soluzione, a meno che la soluzione non fosse il mistero stesso, e l'unico rimedio fosse la resa." "Bosch non ci ha lasciato niente di scritto, solo immagini... Raramente un uomo divenuto invisibile ha lasciato tanto da vedere." Cees Nooteboom, a sessant'anni dal suo primo incontro con Bosch al Prado, racconta il suo viaggio verso i dipinti dell'artista a Lisbona, Madrid, Gand, Rotterdam e nella sua città natale, 's-Hertogenbosch nei Paesi Bassi.
È concepibile che esistano al contempo un soggetto onnipresciente, in grado di conoscere ogni cosa prima che accada, e individui che non siano determinati ad agire solo come questo soggetto vede e vuole? Come conciliare il fatto che un evento accaduto ieri possa, oggi, non essere accaduto ieri? La libertà coincide davvero con l'assoluta apertura del futuro? Se invece il futuro è chiuso dalla prescienza divina, o dai limiti della nostra esistenza, si possono comunque, o forse proprio per questo, aprire spazi di libertà in questo mondo? Ecco alcune delle domande che secoli di tradizioni filosofiche, scientifiche e teologiche hanno raccolto sotto il termine compatibilismo. Vi è stato, e vi è ancora, chi ha sostenuto che siano domande senza risposta, tentativi di metterle brache al mondo. Questo libro tratta di chi ha cercato di fornire una risposta, una soluzione all'interno del proprio modo di pensare - da Severino Boezio ad Anselmo d'Aosta a Tommaso d'Aquino; da Duns Scoto a Ockham sino a Molina e Leibniz. Oppure di chi ritiene utile servirsi del passato come di una serie di soluzioni a domande del presente. Ma racconta anche di chi ha serenamente rinunciato a rispondere, sino a chi intravede nel compatibilismo uno strumento prezioso per il dialogo tra culture e tradizioni religiose.
"Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all'opera nel mondo". Queste parole, pronunciate da papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze, offrono un prezioso suggerimento per guardare al grande travaglio che caratterizza questo inizio di Terzo Millennio. Uno degli aspetti più vistosi del "cambiamento d'epoca" di cui parla il Papa è il tumultuoso processo di mescolamento di popoli e culture in cui oggi siamo immersi. Più di dieci anni orsono, proposi di descrivere questo processo con l'"ardita metafora" del "meticciato di civiltà e culture", da intendere come "mescolanza di culture e fatti spirituali che si producono quando civiltà diverse entrano in contatto". L'umana avventura della libertà di ogni singolo e di ogni popolo non fa che mostrare la profondità dell'amore di Dio che ha scelto, per comunicarsi, di passare, con la croce di Cristo, attraverso la libertà finita e il suo continuo vagabondare.
Un'opera agile e completa nello stesso tempo. A ogni inizio di secolo, o periodo letterario di autonomo rilievo, vengono offerti ampi quadri introduttivi che forniscono un affresco compiuto dei fatti culturali di spicco, in modo che gli argomenti prettamente letterari trovino un'adeguata cornice storico-concettuale. Particolarmente approfondita è la sezione relativa al Novecento, in genere piuttosto trascurata in gran parte dei manuali correnti: varcata la soglia del terzo millennio appare abbastanza assestato il quadro del secolo passato e molti degli scrittori e poeti di un periodo assai ricco trovano uno spazio adeguato alla loro importanza, mentre lo sguardo viene esteso anche agli ultimi decenni, secondo una prospettiva inedita. Nel complesso, questa non è un'opera compilativa ma, se così si può dire, d'autore, perché non è rifatta su altre letterature, ha una sua organica linea interpretativa e anche un suo peculiare stile espressivo, senza concessioni ideologiche e con molta attenzione posta alle metodologie critiche più innovative.
Teilhard de Chardin ripercorre con questi scritti il dibattito sull'evoluzionismo che ha attraversato la prima metà del xx secolo. Sostenendolo con argomentazioni scientifiche estremamente competenti. Fin dal 1926 scrive: "l'evoluzionismo scientifico non è semplicemente un'ipotesi a uso degli zoologi, ma una chiave di cui ciascuno si serve per penetrare, in qualsivoglia compartimento del Passato, la chiave del Reale universale". Ogni essere è frutto di una gestazione che l'ha preceduto: "Parzialmente, in modo infinitesimale, senza nulla perdere del valore individuale, ogni elemento è coestensivo alla storia, alla realtà del Tutto". Tuttavia "l'Evoluzione non è 'creatrice'... ma è, per la nostra esperienza nel Tempo e nello Spazio, l'espressione della Creazione". Di una creazione definita da Teilhard un "lungo gesto" che anima e regge il Divenire. Un Divenire che attuandosi attraverso la legge di complessità-coscienza sospinge la Materia, attraverso stadi successivi, a caricarsi di libertà e di Spirito. E sarà infine sorprendente intuire con Teilhard come la visione evoluzionistica del mondo, lungi dall'orientare al materialismo, sia una possibile "scuola di una migliore spiritualità e di alta moralità".
La ricerca comparata ha permesso di rilevare l'importanza dei simboli e del simbolismo in ogni forma di celebrazione culturale. Agli occhi di Mircea Eliade - iniziatore di questo metodo - gli innumerevoli gesti di consacrazione rivolti agli spazi, agli oggetti, agli uomini - cioè la simbolica del rito sono per l'homo religiosus il modo di riferirsi a un archetipo in grado di conferire forza ed efficacia alle sue azioni. Ogni rituale ha un modello divino. Proprio Eliade ha aperto nuovi orizzonti nella ricerca, non puramente fenomenologica delle varie religioni, ponendo a tema l'homo religiosus. Si tratta di esplorare il pensiero, la coscienza, il comportamento; è l'ermeneutica del messaggio dell'homo religiosus a esser messa in movimento. Ma il sacro, che appartiene a un ordine diverso dall'ordine naturale, non si presenta mai allo stato puro: si manifesta per mezzo di esseri, oggetti, miti o simboli. Attraverso la ierofania l'uomo coglie l'irrompere del sacro nel mondo e prende coscienza dell'esistenza di una realtà trascendente che imprime al mondo la sua dimensione di compiutezza. Il simbolismo realizza la permanente solidarietà dell'uomo con il sacro: nella vita dell'homo religiosus il simbolo viene a compiere una funzione rivelatrice in grado di attribuire nuovo significato all'esistenza.