
“Sì! Possiamo chiamarla ballata questa storia, che dice di quando gli ebrei non erano graditi. Io sono un ebreo nato nel 1928, ho trascorso la mia adolescenza durante la discriminazione, le leggi razziali, la guerra, la persecuzione, la rovina del nostro Paese e infine la liberazione.” Marco Maestro
Secondo un’antica credenza popolare il clochard è colui che ha scelto di vivere per strada come forma di libertà.
L’immaginario però si frantuma nel momento in cui la persona senza dimora comincia a raccontarsi: un sé spezzato e fratturato da un evento critico, come la perdita di un lavoro stabile, o da eventi normali che scatenano circuiti a catena: perdere la casa perché la rata (magari doppia) del mutuo non aspetta, perdere la moglie e i genitori o l’intera famiglia che non fa più da rete di protezione sociale, perdere gli amici che combattono anch’essi per dare un senso al moto perpetuo della propria vita.
L’uomo e la donna senza dimora oggi non sono solo sulle panchine di una stazione, ma spesso girano con un curriculum formato europeo salvato sulla pen drive.
Non quindi la povertà estrema, ma piuttosto una condizione d’impoverimento a cascata da cui, se non hai una rete di sostegno, ne esci con le ossa rotte.
Questo libro dà voce a vissuti, a emozioni di persone che hanno scelto di raccontarsi.
L’affresco descrive non solo una società indifferente verso le spirali dell’emarginazione ma anche la facilità con cui è sempre più facile per ciascuno scivolare in queste condizioni.
Ogni storia ha un nome fittizio, mentre non lo è affatto il racconto. Quello è vero, come la vita.
Il termine è nuovo. Il cyberbullismo, o bullismo informatico, fenomeno emerso dai fatti di cronaca, sta ad indicare atti di bullismo e molestia effettuati tramite mezzi elettronici.
Basta un cellulare, magari qualche foto o un video imbarazzante o solo delle informazioni distorte, ed ecco che la trappola del cyberbullismo è pronta.
L’aggressione informatica, anche se è portata avanti da una persona o da un gruppo, non si esaurisce tra questi ma tramite la rete raggiunge il gruppo più ampio avendo così ripercussioni sia nella vita scolastica sia all’interno del gruppo classe.
Si diventa cyberbulli per lo stesso motivo: per il desiderio di intimidire e dominare. Chi ne diventa vittima sperimenta una condizione di profonda sofferenza, le cui conseguenze possono manifestarsi anche molto tempo dopo la fine dei soprusi.
L’innovativo modello “Stop al bullismo”, il primo in assoluto che si applica al nuovo fenomeno del cyberbullismo, si basa sulla convinzione che il bullismo non sia un problema di singoli studenti, ma il risultato di un’interazione sociale, in cui gli adulti-educatori e gli spettatori svolgono un ruolo essenziale nel mantenere o modificare l’interazione.
Per questa ragione il modello di intervento qui proposto avanza un’articolata proposta di lavoro che coinvolge l’intera comunità scolastica e richiede una continuità dell’impegno.
La prevenzione e il contrasto del bullismo nella scuola per risultare efficaci non si possono esaurire con l’intervento di un esperto esterno, ma devono stimolare l’attivazione di processi educativi di cambiamento per l’intera comunità scolastica.
Ci vuole audacia.
La Vita che state vivendo vivetela in modo denso. Poichè non tornerà più. E non abbiate paura di entusiasmarvi per le cose.
Molti di voi hanno paura. Hanno paura che un giorno la Storia, il loro futuro possa ridacchiare sul loro presente. Molti hanno paura di esporsi. Per non correre il rischio di subire il contraccolpo di questa disunione tra i sogni di oggi e la realtà di domani, preferiscono non sognare.
E questo significa dare le dimissioni dalla Vita.
Aver paura di entusiasmarsi oggi, alla vostra età, significa suicidio.
Un giorno vi scalderete alla brace divampata nella vostra giovinezza.
Non abbiate paura di entusiasmarvi.
C'è tantissima gente che mangia il pane bagnato col sudore della fronte dei sognatori.
Ci sono tanti sognatori.
Meno male che c'è questa dimensione del sogno nella vita: sporgenze utopiche a cui attaccarci. Meno male che ci sono dei pazzi da slegare, da mettere in circolazione perchè vadano a parlare di grandi utopie.
Quello che è pericoloso, è che le grandi utopie si raffreddino nel cuore dei giovani.
Io vi voglio augurare che non abbiate a perdere la dimensione della quotidianità e del sogno.
Scavate sotto il vostro lettuccio e troverete il tesoro.
Non siate inutili, siate irripetibili.
Il 4 Novembre del 1994 nell'Adriatico orientale cinque uomini e il loro cane pescano come sempre. Il "Francesco Padre", la loro barca, ora è un rantolo contorto e i loro corpi giacciono in fondo al mare. La vicenda rientra tra quelle su cui vige il segreto di Stato. Quella notte, in quelle acque, era in corso l'operazione della Nato "Sharp Guard".
L’orizzonte delle sfide, l’orizzonte dei significati, l’orizzonte dell’ecumène: tre proiezioni che la famiglia, agenzia periferica della comunione trinitaria, deve esplorare per vivere la diaconia della pace.
"Nelle esperienze di play therapy, grazie alla relazione con lo psicoterapeuta, si dà al bambino l'opportunità di conoscere se stesso. Lo psicoterapeuta si comporta in modo tale da comunicare al bambino che questa esperienza gli offre la sicurezza e la possibilità di esplorare liberamente, non solo la playroom con i suoi giocattoli, ma anche l'esplorazione di se stesso nell'ambito della relazione terapeutica. Qui il bambino avrà l'opportunità di misurarsi con se stesso. Il bambino come risultato di questa esperienza di autoesplorazione di sé in relazione con gli altri, di autoespansione e autoespressione imparerà non solo ad accettare e rispettare se stesso ma anche gli altri e a utilizzare la libertà con senso di responsabilità." (dall'introduzione dell'autrice) Un classico della letteratura internazionale che ha aperto la terapia al gioco come strumento di autoesplorazione dei bambini.
“Elisa crede di poter tenere tutto per sé un babbo dall’irresistibile fascino. Giorgia si distrugge e strugge per salvare l’immagine che ha di lui. Sandra rimane invischiata in un corpo a corpo. Niccolò ha paura dell’altro sesso. Giacomo cerca inutilmente di differenziarsi dal genitore.”
Il poliziotto e la maschera, versione italiana del Theatre de l'opprimé, non è un libro sulle tecniche teatrali ma sugli strumenti per trasformare la realtà. Può servire, quindi, ad animatori, insegnanti, militanti, educatori, conduttori di gruppi, volontari, operatori culturali, sociali e sanitari, persone qualsiasi... a quanti vogliono liberare se stessi e gli altri, da soli e con gli altri, dalle oppressioni che tutti noi subiamo senza sapere come reagirvi... Non è un testo per specialisti, ma una proposta di strumenti (giochi, esercizi, tecniche, linguaggi...) per affrontare, capire e trasformare, le nostre oppressioni... a livello corporeo, psicologico e socio-politico. Nel Teatro dell'Oppresso, infatti, lo spettatore generico viene aiutato a liberarsi della sua passività, dai suoi freni - dal suo poliziotto - per divenire, tramite il teatro - la maschera -, soggetto-protagonista non solo del presente ma anche del futuro. Lo spettatore capace di un atto liberatorio durante una seduta di "teatro-immagine" sarà così pronto a liberarsi della passività anche nella vita reale. Il Teatro degli Oppressi, sebbene nato nella realtà latinoamericana, si è evoluto continuamente anche rispetto a contesti diversi. Boal riesce in queste pagine ad adattare gli stessi strumenti teatrali a realtà tipiche del mondo occidentale in cui l'oppressione si fa più sottile e sofisticata, più fragile è la frontiera tra l'oppresso e l'oppressore e meno manifeste...
Molte parrocchie e gruppi di fedeli non hanno più a disposizione un prete ordinato. E nel futuro questo fenomeno si accentuerà.
Le autorità della Chiesa stanno affrontando la crescente diminuizione di preti importandone di stranieri, oppure accorpando le parrocchie di una stessa area con un unico prete.
La gerarchia, pur di proteggere l'attuale forma di ministero presbiterale, riduce il diritto delle comunità a celebrare l'eucaristia. Secondo il punto di vista ufficiale, utilizzare le preghiere eucaristiche approvate e soprattutto pronunciare le parole della consacrazione, resta un potere esclusivo dei preti ordinati.
Questo straordinario documento, frutto di un'intensa analisi dell'ordine dei domenicani olandesi, e il dibattito che ne è scaturito provano ad aprire la discussione non solo sulla situazione di fatto ma anche sui cambiamenti circa la concezione dell'eucaristia introdotti dal Concilio Vaticano II.
L'eucaristia non è qualcosa che "possediamo". Nella celebrazione dell'eucaristia esprimiamo la nostra fiducia, rappresentiamo e celebriamo la consapevolezza che la vita è, nel fondo, condivisione, proprio come ha testimoniato nella vita e nelle opere Gesù di Nazareth. Ci promette che nel futuro, seppure incerto, possiamo sempre contare su Dio, che è amore.
Allora, se ci si libera dall'idea dell'eucaristia come sacrificio, in realtà ciò che dall'attuale autorità ecclesiastica viene percepito come una minaccia può trasformarsi in autentica grazia: i "laici" attivi in molte comunità ecclesiali locali rappresentano una sfida. La loro creatività di fede riceverà ulteriore ispirazione se realmente incoraggiata.