"Scultura è un termine oggi abitualmente utilizzato nell'ambito dell'arte contemporanea non solo per le opere tradizionali ma anche per ogni tipo di lavoro con caratteristiche tridimensionali effettive, dalle costruzioni e assemblaggi agli oggetti, dalle installazioni spaziali agli ambienti e agli interventi in contesti esterni. Perché si è arrivati a estendere, forzandola all'estremo, una categoria che per secoli ha avuto un'identità precisa, tale da non dare mai adito ad ambiguità interpretative di fondo? Di fatto oggi ci troviamo in una situazione culturale in cui si registra una compresenza delle più diverse forme operative, tutte legittimate al livello della produzione artistica più avanzata." Dalle sculture plastiche di Rodin e Medardo Rosso ai rilievi cubisti di Picasso, da Boccioni ai ready made di Duchamp, agli artisti pop, dai concetti spaziali di Fontana alle realizzazioni tridimensionali che incorporano nell'opera lo spazio dell'installazione o il corpo dell'artista, la parabola straordinaria e vitale della scultura del Novecento, nelle sue eclettiche modalità creative.
"Il libro delle foreste scolpite" è un viaggio nel tempo alla scoperta di sé scandagliando quei luoghi dove le conifere resistono alle avversità d'un ambiente estremo e d'una terra rocciosa, là dove il resto dei viventi ha smesso di sopravvivere. Lariceti, pinete e cembrete dispersi fra quota 1900 e 2200 lungo l'arco alpino, ma anche le cortecce contorte e scolpite dei pini loricati che abitano le creste del Massiccio del Pollino, fra Calabria e Basilicata. E, infine, i pini longevi o Bristlecone Pines sulle Montagne Bianche in California, fra quota 3000 e 3900 metri, gli esemplari più antichi del pianeta (oltre 5000 anni). Un viaggio in paesaggi lunari dove la vita cerca a suo modo la strada per l'eternità. Luoghi dove l'anima si riveste di radici, di sogni, d'immaginazione.
"Alla fine del mese di ottobre 1915, lo sterminio dei cristiani di Mardin sembrava essere concluso. Tuttavia un centinaio di persone vivevano ancora: erano vecchi, donne anziane, infermi. Il turco Bedreddin fu preso da zelo: 'Spazzateli via, e che non ne rimanga nemmeno uno'. Con questi cento sopravvissuti fece un convoglio che, deportato nel deserto, sparì per sempre". Mardin è una delle tante città dell'impero ottomano dove, durante la prima guerra mondiale, si è consumata la strage degli armeni e dei cristiani. Una violenza che ha segnato in profondità quelle regioni e che non è cessata: sono passati cento anni e la persecuzione in Medio Oriente continua. Anche oggi, a pochi chilometri da Mardin, oltre la frontiera turca, in Siria e in Iraq, si combatte con una crudeltà senza misura. Di nuovo, come allora, si assiste a deportazioni, massacri, sgozzamenti, rapimenti, vendita di donne e di bambini. Molti si chiedono: da dove viene tanta ferocia? Dal profondo di una religione, l'islam, o da una storia di convivenza difficile? Oggi, come ieri, si consuma una pagina della 'morte' dei cristiani d'Oriente.
Gli ultimi decenni hanno visto sorgere un tema completamente nuovo: le società europee già ampiamente secolarizzate si sono trovate di fronte alla rinnovata vitalità di movimenti e fondamentalismi di natura religiosa. Per la filosofia ciò comporta una sfida doppia. Come teoria politica normativa, la filosofia deve rivedere quell'idea di stato secolarizzato che voleva espellere dalla sfera pubblica politica le comunità religiose, confinandole nel privato. Come "custode della razionalità", non può non chiedersi cosa significhi il fatto che nel cuore delle società moderne rifioriscano - quali produttive figure dello spirito - confessioni e dottrine religiose già radicate in arcaiche pratiche di culto. La sorprendente contemporaneità della religione sfida la cultura laica: fin dall'illuminismo la filosofia si era schierata dalla parte delle scienze, e aveva finito o per trattare la religione come un oggetto oscuro e bisognoso di spiegazione o per "razionalizzarla". Dobbiamo allora chiederci: come deve comportarsi una filosofia che si vede venire incontro la religione non più come una figura del passato, ma come una - sempre opaca, ma per il momento di nuovo attuale - figura del presente?
È il 1814, siamo a Vienna, è in corso il Congresso che ridisegnerà la carta dell'Europa come la vorranno i vincitori di Napoleone - lo zar, l'imperatore d'Austria, il re d'Inghilterra, il re di Prussia. Un giovane, che è arrivato nella capitale al seguito del Segretario di Stato del Papa, scrive a suo zio del Congresso e del clima politico e artistico viennese. Attraverso le sue lettere scopriremo la musica di Beethoven, autore di sinfonie dalla dirompente carica innovatrice. È un momento di svolta: da qui in poi la musica non sarà più affare di pochi aristocratici. Il virtuosismo diventa in questo momento la chiave di volta per la conquista di un nuovo pubblico borghese. Le regolari stagioni sinfoniche e le regolari stagioni da camera che si diffonderanno ovunque nella seconda metà dell'Ottocento hanno una delle loro più importanti radici nella Vienna del Congresso. Fa da contraltare alla potenza di Beethoven, la musica di Schubert, l'"escluso", il prodigioso giovane musicista incapace di farsi largo nel mondo e di cui il mondo non s'accorge.
La sfiducia nei confronti delle valute nazionali, il crescere di monete alternative e virtuali, le preoccupazioni ambientali per la produzione del denaro, il trionfo delle nuove tecnologie digitali, l'ondata di prove contro il contante, accusato di penalizzare i poveri più di chiunque altro. Tutto fa pensare che l'epoca del denaro fisico stia volgendo al termine. David Wolman va alla ricerca delle persone, delle tecnologie, dei luoghi che per primi hanno aperto la strada all'idea di un mondo senza soldi. Incontreremo ad esempio Bernard von NotHaus, falsario e sostenitore di una moneta di scambio alternativa, e David Birch, propugnatore ed esperto di tecnologie per la digitalizzazione del denaro. Visiteremo il Digital Money Forum di Londra e sapremo tutto dei soldi fatti di bit e di byte; ci fermeremo alla banca centrale islandese, riscoprendo il valore culturale delle banconote; voleremo a Delhi, dove la moneta virtuale, alternativa ai contanti, promette un futuro migliore per i poveri.
L'Umanesimo non è una rottura brusca, non è un totale cambio di paradigma tra Medioevo e Rinascimento. Piuttosto una nuova concezione del rapporto uomo-Dio-mondo, con l'uomo centro attivo, protagonista e misura di tutte le cose. Tra Quattrocento e Cinquecento inizia una nuova era, un'epoca di rinnovamento nella quale prende forma la convinzione che l'ordine del mondo non sia immutabile e che tocchi all'uomo trasformarlo. Il Seicento, secolo di disordine e di instabilità, di inquietudine e di spaesamento, secolo della scienza e delle grandi utopie, guida gli uomini negli anni d'oro della cultura europea. Ed è nel Settecento che la luce della ragione, il filtro spietato dell'investigazione critica si impone a ogni livello di indagine. A cerniera tra due secoli, il pensiero di Kant: non tanto nel senso che propone "una nuova visione rispetto ai problemi discussi dalla filosofia che lo ha preceduto, ma perché influenza radicalmente il corso della filosofia successiva. I grandi dibattiti filosofici del XIX secolo potranno essere intesi solo come risposta a Kant". Ci accompagnano in questo viaggio veri e propri giganti del pensiero filosofico, delle scienze e delle arti.
Perché sulla spiaggia ci sono tutti questi legnetti, chiede Leonardo? Perché c'è la marea? Perché le cose pesanti si attraggono? È il mare che di notte porta tutti questi tesori alla luna... L'unica cosa che vede è la luna, e così se ne innamora. Un racconto senza peso per affrontare con la grazia dell'infanzia due immensi misteri, i fenomeni fisici che regolano il mondo e il legame tra due cuori innamorati. Età di lettura: da 6 anni.
"Questo ragazzo deve tutto al suo nome" diceva di lui Marco Antonio, che lo disprezzava, a torto sottovalutandolo. Però era vero, e Augusto ne era talmente consapevole da affrettarsi a promuovere, non appena gli fu possibile, la divinizzazione di Giulio Cesare, padre suo adottivo, come caposaldo del suo potere. Il capolavoro di Augusto è stato imporre l'immagine di sé come vero e coerente erede e continuatore dell'opera di Cesare, ormai divinizzato, mentre in realtà la trasformava, se non nel suo contrario, certo in altro. "Divus Iulius" e mummia di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa sono fenomeni che si richiamano l'un l'altro. Quella di Augusto è la tipica parabola del potere scaturito da una rivoluzione e approdato a una forma originale di restaurazione: ragion per cui, nel concilio degli dei immaginato dall'imperatore Giuliano, Augusto viene apostrofato come "camaleonte". Questo libro recupera, attraverso fonti greche solo parzialmente esplorate, pagine cruciali dell'"Autobiografia" di Augusto, abilmente apologetica, scritta nel 25 a.C, quando egli aveva ormai definitivamente consolidato il suo potere monocratico, pur nella raffinata finzione di aver restaurato la repubblica.
Fra' Salimbene da Parma, il francescano che ha conosciuto papi e imperatori, vescovi e predicatori, e su ognuno ha da raccontare aneddoti, maldicenze e pettegolezzi; Dino Compagni, il mercante di Firenze che ha vissuto in prima persona i sussulti politici d'un comune lacerato dai conflitti al tempo di Dante; Jean de Joinville, il nobile cavaliere che ha accompagnato Luigi il Santo alla crociata, testimone imperturbabile di sacrifici, eroismi e vigliaccherie; Caterina da Siena, che parlava con Dio e le cui lettere infuocate facevano tremare papi e cardinali; Christine de Pizan (si chiamava in realtà Cristina da Pizzano), la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, si è guadagnata da vivere ed è diventata famosa scrivendo libri; Giovanna d'Arco, che comandò un esercito vestita da uomo e pagò con la vita quella sfida alle regole del suo tempo. È possibile incontrare uomini e donne del Medioevo, sentirli parlare a lungo e imparare a conoscerli? È possibile se hanno lasciato testimonianze scritte, in cui hanno messo molto di se stessi. È il caso di cinque su sei dei nostri personaggi; della sesta, Giovanna d'Arco, che era analfabeta o quasi, possediamo lo stesso le parole, grazie al processo di cui fu vittima e protagonista.