
In politica le istituzioni assumono spesso l'impronta di chi le rappresenta. Questo è tanto più vero per la Presidenza della Repubblica così come è regolata nella Costituzione italiana. Il ruolo che i costituenti assegnarono al capo dello Stato nel nuovo sistema politico non è privo nella sua indeterminatezza di qualche ambiguità, ma proprio grazie a essa chi è stato investito dell'alta carica ha potuto esercitarla secondo la sua interpretazione della necessità degli interessi talvolta mutevoli del paese. In questo volume, un'analisi approfondita delle personalità di coloro che sono stati chiamati di volta in volta a occupare la massima carica dello Stato e della loro attività nell'arco dei rispettivi mandati, ma anche un'indagine e una riflessione sulle forze e sulle istituzioni che sono state o sono al centro delle vicende politiche del paese, giudicate dall'angolo visuale del Quirinale. Attraverso documenti d'archivio spesso inediti, memoriali e testimonianze dei protagonisti si ripercorrono tutte le tappe salienti delle varie presidenze: dalle "prediche inutili" di Einaudi agli anni di Gronchi e della crisi Tambroni; dal "mandato breve" di Segni e dai retroscena del "piano Solo" alle clamorose dimissioni di Leone; dalle esternazioni irrituali di Pertini ai misteri del settennato di Cossiga; dalle aspre polemiche degli anni di Scalfaro fino al delicato e complesso settennato di Napolitano.
Pubblicato una prima volta nel 1955 in occasione del decennale della Liberazione, "Uomini e città del Resistenza" è il testo fondatore della nostra epica resistenziale. Questa edizione riproduce l'originale anche nell'immagine di copertina. La disegnò Carlo Levi per l'occasione, in ricordo di un episodio che più di qualunque altro sembrava evocare lo spirito della Resistenza. Un attimo prima di soccombere ai nazisti nel rogo di Sant'Anna di Stazzema, una giovane donna, Genny Marsili, aveva scagliato contro gli aguzzini uno zoccolo: il simbolo, insieme, della sua fierezza e della loro abiezione. Prefazione di Carlo Azeglio Ciampi.
Nelle città europee sta crescendo una vera e propria "anti-città": migliaia di persone, giovani, coppie, anziani, tagliati fuori dalla vita culturale, dagli scambi economici, dalle relazioni istituzionali. Le caratteristiche principali dell'anti-città sono la frustrazione e l'omologazione: la frustrazione di una anti-società illegale e senza sbocchi che scopre che la mobilità sociale è un miraggio e l'omologazione di migliaia di concittadini resi simili nelle credenze, nelle aspettative e negli stili di vita. Sono loro gli abitanti dell'anticittà: sono, ad esempio, le diciassette mila famiglie che a Napoli dichiarano reddito zero o i dieci mila senza fissa dimora delle fabbriche dismesse di Milano, parenti stretti dei bambini che abitano i sotterranei di Bucarest, delle famiglie che vivono nel cimitero del Cairo o delle migliaia di immigrati di Dubai. Gli anticorpi contro tutto questo stanno in una architettura che cambi gli spazi abitati per cambiare le relazioni e con esse la qualità della vita. Questo libro parla di come lo spazio sia un protagonista determinante della politica, perché lo spazio fa, disfa, condiziona, promuove, distrugge. È necessario riscoprire il significato civile dell'architettura, la sua dimensione politica, perché è grazie ai progetti architettonici, ai piani urbanistici, alle proposte di design che lo spazio divide e connette pezzi di società, toglie e attribuisce loro risorse, nega o consente relazioni culturali ed economiche.
"Vorrei che la mia Chiesa oggi fosse sempre più una Chiesa di frontiera, protesa verso i bisogni dell'uomo, non di vertice. Significa stare in mezzo alla gente comune, non essere chiusa tra quattro mura, in una curia dorata, inaccessibile ai più, perché la frontiera è fuori dal tempio. La frontiera si sa - è sempre stata un luogo esposto, un confine che sta lì per essere attraversato e andare verso nuove terre, luoghi a volte sconosciuti. La frontiera è sempre stata il luogo degli arrivi e delle partenze. È il luogo dell'imprevisto, dell'inedito. È il luogo dell'originale. In definitiva, è la meta agognata, è il luogo dell'uomo sempre nuovo e sempre in attesa di una patria. È questa la Chiesa di frontiera che io sogno di vedere, una Chiesa sempre in cammino e, nello stesso tempo, artigiana della pace: non solo della pace dei cuori, ma anche della pace che passa attraverso l'azione politica". Vescovo di Sessa Aurunca e poi di Caserta, Raffaele Nogaro ha reso servizio per 26 anni in una delle terre più difficili e contraddittorie del nostro paese, la Campania. Con passione, in queste pagine racconta e al tempo stesso denuncia il suo Sud, senza tirarsi indietro di fronte ai temi più scottanti, dall'immigrazione clandestina alla diffusa illegalità, dal recente caos della spazzatura al dramma del lavoro, assente, nero, precario, dal malgoverno della politica collusa con la camorra agli errori e ai silenzi (troppi) della Chiesa.
All'alba dell'11 settembre gli americani aprono gli occhi su un mondo che dominavano e nel quale si sentivano perfettamente sicuri. Subito dopo, l'apocalisse su New York e Washington. Lucio Caracciolo non indulge nella tentazione di classificare quel giorno come l'ora zero di una nuova epoca. "Non vogliamo indagare le modalità di quella tragedia, la cui meccanica non verrà mai concordemente chiarita. Né ci appassionano le diatribe fra complottisti e custodi delle verità ufficiali. Ai fini della nostra analisi, non è importante stabilire quali e quanti individui abbiano pianificato l'attacco all'America, né quali fossero le loro intenzioni. Molto più ci interessano le conseguenze di quelle intenzioni. Non ci interessa stabilire com'è scoccata la scintilla di quel corto circuito. Cerchiamo semmai di capire perché abbia provocato così devastanti incendi, nei quali sono bruciate alcune fra le certezze più care all'America e all'Occidente ancora inebriato dal trionfo sull'Unione Sovietica. Senza pretendere di allestire scenari futuribili che la cronaca s'incaricherebbe di demolire. Alla fine del nostro breve viaggio, scopriremo che l'11 settembre è stato meno rilevante di quanto all'epoca credessimo e di quanto molti tuttora inclinano a ritenere. Soprattutto, molto meno imprevedibile. Non un'assurda curvatura della storia, un lampo diabolico nel cielo a stelle e strisce. Semmai, una fase nuova nella parabola geopolitica aperta nel biennio 1989-91 dal crollo dell'impero..."
Esistono storie, nella lunga vicenda italiana, che si fa fatica a raccontare. Che restano nascoste, sepolte quasi dall'oblio. I lunghi secoli della presenza musulmana nella Penisola è una di queste storie. Più di quattrocento anni, dall'inizio del IX secolo al 1300: materia poco interessante, dominio quasi assoluto di uno sparuto gruppo di specialisti. Eppure, si tratta di un tempo particolare. Un'epoca in cui gran parte della Penisola è più Oriente che Occidente, più Africa ed Asia che Europa, estrema propaggine, civilizzata ed evoluta, di un mondo che, tutto intero, andava da Cordova alla rive del Gange. Un'Italia per molti versi scomoda, dove tante generazioni vissero e pregarono lo stesso Dio da orizzonti diversi. Un mondo che questo libro cerca di recuperare, con una narrazione che abbraccia un orizzonte geografico che va dalla Sicilia alfa Campania, passando per la Puglia e la Calabria, posto all'intersezione di culture, costumi, mentalità, credenze contrapposte, sempre in conflitto tra loro ma che, talvolta, convissero, alla ricerca di un comune equilibrio e di un rispettivo spazio di tolleranza e sopravvivenza. Amedeo Feniello traccia con scrittura brillante il profilo di un universo che non è Europa, ma qualcosa di diverso. Nel quale energia e sviluppo, intraprendenza e spirito di progresso arrivano dal mare, dalle coste contrapposte alla Penisola e non da nord, cioè dall'interno di un Continente che, a lungo, in questa storia, resta in pratica assente.
Pagano sempre i più deboli. Per gli italiani è tempo di tirare la cinghia. Ma non per tutti. Per alcuni i sacrifici si coniugano al presente. Per la 'casta' al futuro. Eppure, in tempi di 'lacrime e sangue', l'esempio deve venire dall'alto. Non solo a parole. Urge davvero una nuova classe di politici. La politica è prigioniera di se stessa. Accecata da questioni private più che pubbliche. Il Paese è sfilacciato, sempre meno coeso. E non crede più a ricette magiche. Così come il 'bene comune' è uscito di scena: espressione desueta. Il male ha tracimato e colpito l'intera società. Il Paese naviga a vista. Senza prospettive e futuro. Ha smarrito la rotta. E, ancor più grave, l'etica pubblica. Così, la politica è solo 'affare'. Spesso, vero 'malaffare'. Anche la capacità di distinguere tra bene e male affoga nel 'relativismo'. Si diffonde una 'morale fai da te', pericoloso abbassamento della soglia etica. Con valori 'alla carta', variabili e selezionagli. A convenienza o secondo i sondaggi, a base di maggioranza. E la Tv avvelena l'anima del Paese, imponendo nuovi idoli. Successo in cima a tutto. Assieme ai soldi, da fare in qualsiasi modo. Illusi che la felicità abbia un prezzo. Come si fa con le donne. O, meglio, le escort. Ognuno s'arrangia come può. Cresce l'allergia alla legalità e al rispetto delle regole. Dall'alto arrivano cattivi comportamenti. In una società individualista e poco attenta ai bisogni sociali. Evasione fiscale e corruzione aggravano il disastro etico....
II tratto più caratteristico del dibattito pubblico dell'ultimo trentennio è stata la tendenza a una progressiva spoliticizzazione. Un processo che ha investito tanto il piano dei fatti, delle strutture sociali e istituzionali, quanto quello delle teorie e delle narrazioni. Cause e sintomi non mancano: la progressiva demolizione di tutto ciò che è pubblico; lo sdoganamento del qualunquismo più becero; l'inaridimento delle radici della vita democratica, delle sue precondizioni, che ha trasformato la sfera pubblica in fiction, il popolo in 'pubblico'; la sempre più frequente abdicazione delle istituzioni agli interessi e alla legge del più forte; la paura del conflitto e la criminalizzazione del dissenso (anche il più democratico e legalitario); la colpevole chiusura della politica tradizionale in una logica separata e autoreferenziale da piccoli apparati; la fuga degli intellettuali nel formalismo o nel cinismo. Un processo che si è potuto affermare perché preparato e accompagnato culturalmente. La crisi delle ideologie novecentesche ha infatti alimentato una serie di luoghi comuni (ideologici): che la politica non dovesse più proporre grandi idee né occuparsi della costruzione delle identità; che l'azione politica si riducesse essenzialmente a tecnica, nella migliore delle ipotesi a buona amministrazione; che la stessa dimensione politica in quanto tale fosse in qualche modo esaurita, e con essa le speranze e le ambizioni connesse al progetto moderno....
Che genere di capitalismo si sta profilando all'orizzonte dopo i mutamenti di scenario e di prospettiva avvenuti nel primo decennio del nuovo secolo? La devastante crisi esplosa fra il 2007 e il 2008 ha segnato l'eclisse del turbocapitalismo, di un capitalismo eminentemente speculativo, sempre più separato dalla produzione e dal lavoro, volto a produrre denaro mediante denaro, che aveva avuto per epicentro gli Stati Uniti. Ma è tramontato nel frattempo anche il capitalismo di matrice keynesiana, quello dell'economia sociale di mercato, che dal secondo dopoguerra aveva assunto per luogo d'elezione l'Europa occidentale. Sarà dunque la Cina, la nuova potenza emergente, a imporsi in base a un modello di sviluppo non ancora definibile esattamente, che combina insieme i postulati di Adam Smith, Karl Marx e Confucio? Valerio Castronovo effettua una ricognizione a tutto campo, lungo i molteplici spazi e percorsi dell'economia globale, per individuare alcune forme incipienti di un neo-capitalismo che non ha più nulla a che vedere con quello novecentesco anche se ne reca alcune tracce. Che sia l'India o il Brasile, l'Australia o il Sudafrica, nuovi protagonisti si sono affacciati sulla scena mondiale, con propri modelli di sviluppo.
"Un modo di concepire e di praticare la filosofia del diritto tuttora esemplare: per il rigore analitico, per la chiarezza concettuale e per l'impostazione razionale dei problemi. L'alternativa tra giusnaturalismo e positivismo giuridico è tornata oggi a riproporsi nel diverso modo di concepire le costituzioni e il costituzionalismo: come insiemi di principi morali oggetto di bilanciamento legislativo o giudiziario, oppure come sistemi di limiti e di vincoli normativi rigidamente imposti a tutti i pubblici poteri. Di qui l'attualità di questo libro, quale fonte tuttora preziosa di chiarificazioni concettuali e di indicazioni metodologiche." (dalla Prefazione di Luigi Ferrajoli). Il libro è diviso in tre parti. Nella prima parte Bobbio illustra la sua concezione della filosofia del diritto, distinguendone i diversi compiti, analizzandone i diversi problemi e proponendo un programma di lavoro finalizzato alla chiarificazione dei concetti, alla sollecitazione del confronto tra i diversi orientamenti filosofici contro ogni forma di dogmatismo. Le altre due parti del libro sono dedicate alla secolare controversia tra giusnaturalismo e positivismo giuridico, della quale Bobbio analizza con chiarezza e precisione i termini, il significato e i diversi piani sui quali l'alternativa viene di solito proposta.