Autore del Tableau économique, François Quesnay (1694-1774) annuncia – due decenni prima che appaia la Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith – la “scienza” del “governo economico” delle società. Contro le politiche filo-industriali del commercio e contro l’ancien régime – responsabili della crisi francese – egli indica nella produzione agricola e nel libero funzionamento dei mercati le condizioni naturali e necessarie dell’indipendenza e della forza degli imperi. In questa direzione, egli assegna – in Francia – a rappresentanze dei proprietari terrieri le istituzioni di controllo delle politiche fiscali ed economiche e dei comportamenti del governo. Ne esce l’idea di una fisiocrazia, un modello di governo ispirato dalla scienza, dispotico ma legale, manutentore di un ordine naturale disegnato a misura del capitalismo agrario e dei suoi agenti, in duplice opposizione alla proposta montesquiviana del “governo misto”, conservatore degli equilibri sociali di ancien régime, e agli sviluppi di un assolutismo a vocazione “industrialista”, promotore delle “classi sterili”.
L'autore ripercorre un momento teoreticamente centrale della vicenda intellettuale del filosofo contemporaneo, delineando un confronto tra filosofia analitica, ermeneutica e fenomenologia in relazione alla metafisica.
I giovani sono un problema. Ormoni fuori controllo, irresponsabili, indifferenti, bamboccioni. Inutile negarlo, questi ritratti di negatività spaventano e preoccupano. Alimentando la diffusa immagine di una “gioventù sregolata”, e quindi bisognosa di controllo. Soprattutto per quanto attiene alla salute. Inoltre, grazie alla logica del rischio e della responsabilità individuale, si è ormai affermata l’idea di un “dovere di benessere”. Un simile scenario induce a misurare l’ignoranza di chi vive male, applicando punizioni nei confronti dei trasgressori, e ovviamente ricompensando gli obbedienti. L’autore, interrogando la psicologia e le politiche della salute, mette in crisi questo modo abituale di guardare ai giovani. Per poi soffermarsi accanto a loro, dentro situazioni dilemmatiche. Dove l’impegno esistenziale per sentirsi bene sovverte alcune norme sociali – nel caso di giovani lesbiche diventate madri –, si espone allo stigma collettivo – parlando di ragazze che si rifanno il seno –, e si scontra con una cultura respingente – a proposito di giovani migranti che vogliono farcela. Di tutti emergono paure e gioie, credenze e pregiudizi, slanci e ritirate, aspirazioni e delusioni, agio e disagio. Dimostrando un modo di esistere creativamente versatile, e ben distante dalle tinte fosche con cui vengono solitamente dipinti.
Uno dei maggiori storici italiani del Medioevo si domanda quali pericoli nascondano l’uso e l’abuso politico del passato. Rimeditando le battaglie culturali di almeno tre generazioni e misurando il ruolo di grandi maestri, Sergi, studioso attento al presente, attraversa strade, ambienti, popoli e comportamenti dell’età di mezzo e individua i tre caratteri del Medioevo più ovvio: il feudalesimo, la ‘chiusura’, il modo di comunicarlo buio o magico. Nelle Conclusioni, un giornalista, due storici e un esperto di didattica ne discutono con l’autore, diventato qui un vero ‘professionista della smentita’. Contro le molte banalità strumentali di scuola, giornalismo e politica l’unica soluzione, disperata e utopica, è forse rinunciare all’uso della storia.
Simone Weil (1909-1943) è una figura unica nel panorama del pensiero europeo. L’apertura della sua scrittura, lampeggiante sui molteplici piani dell’esistenza e della conoscenza, vanifica i tentativi che vorrebbero coglierla là dove è attesa per compensare il vuoto che è in noi. Avida di coerenza, nella vita come nell’opera, si espone volontariamente alla violenza delle contraddizioni del suo tempo: in fabbrica, nella guerra civile spagnola, nella resistenza, nella personale visione spirituale, nell’invenzione della poesia. A cent’anni dalla nascita, la vasta scelta dei suoi scritti, presentati e argomentati in questo volume, ritma cronologicamente i momenti di svolta della sua esperienza esistenziale e delle sue analisi della cultura occidentale, restituendo tratti essenziali di un’originale poetica della necessità e dell’attenzione che Simone Weil esprime in parole pure. A noi, lettori postumi e ammirati, non resta che riconoscerne il genio vivente.
Interrogata da filosofi e scrittori su ciò che in essa testimonia dell’uomo, del suo desiderio, della sua verità, l’avventura astronautica esibisce la densità delle proprie implicazioni antropologiche, etiche, estetiche, politiche. L’avvento della possibilità di inoltrarsi nello spazio extra-atmosferico si rivela ancorato a presupposti lontani e latore di effetti enigmatici. Rivolgendosi alle parole che Heidegger, Arendt, Lévinas, Blanchot hanno dedicato alla conquista dello spazio, La verità errante vaglia i temi della trasformazione della relazione umana con la Terra, dell’ambiguità dell’agire tecnico, della sospensione di ogni miraggio “cosmico”.
La filosofia non può sottrarsi ad una tensione intrinseca di natura operativa: essa è un’attività libera, gratuita, non subordinabile ad alcun fine diverso dall’amore per la sapienza, o per la conoscenza, ma chi la esercita non può fare a meno di supporre che essa non lasci indifferenti gli uomini, o gli animi intatti. Questo nuovo volume dei Quaderni di pratica filosofica propone riflessioni critiche, storiche e, soprattutto, filosoficamente fondate sulle nozioni di “cura” (in senso non terapeutico) e di “orientamento al valore”. Centrale risulta essere l’idea, sfaccettata e variamente suffragata dal punto di vista teorico, di pensiero caring, base di quella comune coscienza relazionale che determina la premura, la preoccupazione e l’affanno tanto nei confronti del Sé quanto dell’Altro da sé; e, più in generale, stimola l’attenzione nei confronti del Mondo, nel senso, appunto, del “prendersi cura”. La “cura” rappresenta un tema oggi ampiamente dibattuto nel panorama filosofico italiano e i contributi qui offerti, seguendo diversi filoni di ragionamento, provano sia a indicare delle prospettive di apertura che a tracciarne i limiti entro i quali è forse opportuno discuterne in seno alla filosofia.
La diversità non è soltanto quella culturale o di provenienza geografica. Come ci si può comportare quando uno studente viene chiamato “finocchio” e preso in giro per il suo orientamento sessuale? Come affrontare l’argomento dell’identità sessuale in classe? Omosessualità e transessualismo stanno diventando sempre più visibili all’interno della nostra società. Gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado discutono di questi argomenti sempre più spesso e cominciano a formare le loro opinioni e atteggiamenti in proposito. Parallelamente a una diffusione di informazioni distorte e parziali da parte dei media cresce la curiosità ma anche l’intolleranza verso le diversità sessuali e i casi di bullismo omofobico nei contesti scolastici, con conseguenze anche gravissime per chi ne è fatto oggetto. Pregiudizi sessuali e stereotipi di genere sono così diffusi nella nostra società che spesso insegnanti ed educatori sono a loro volta disinformati e impreparati ad affrontare questi temi. Il volume raccoglie per la prima volta in Italia contributi scientifici da parte di professionisti impegnati in vari ambiti (clinico, sociale, pedagogico) su tali argomenti per dare una risposta a queste domande e fornire agli insegnanti strumenti teorici, metodi, attività e pratiche di intervento per la prevenzione del bullismo omofobico e l’educazione alle diversità sessuali.