In quasi tutte le grandi culture e tradizioni religiose è presente l'idea di un "occhio interiore" o "occhio della mente" con il quale è possibile percepire le realtà spirituali e divine, così come con gli occhi normali si percepiscono le realtà esterne. Ma tale idea non manca di suscitare problemi che sono al centro di molte riflessioni intorno alle esperienze visionarie. Se l'oggetto della "visione" trascende infatti per definizione il piano delle realtà materiali e visibili, come è possibile conoscerlo attraverso delle immagini? E se il suo scopo è quello di raggiungere e di esperire in qualche modo ciò che sta oltre qualsiasi forma e qualsiasi rappresentazione, come è possibile "vederlo", sia pure con uno sguardo interiore? A questi e altri interrogativi cercano di rispondere i contributi riuniti in questo volume e dedicati ad autori e opere di epoche e civiltà diverse. Essi spaziano dalle visioni mistiche nel sufismo orientale del XIII secolo (Carlo Saccone) al linguaggio dell'esperienza estatica nella Cabbalà (Moshe Idei); dalle visioni di alcune mistiche cristiane del medioevo come Marguerite d'Oingt e Marguerite Porete (Sergi Sancho e Pablo Garda Acosta) a quella dell'interiorità nel grande mistico spagnolo san Giovanni della Croce (Anna Serra Zamora); dall'esperienza visionaria del Libro rosso di Jung (Victoria Cirlot e Alessandro Grossato), alla "irruzione dell'invisibilità" nella pittura del grande artista americano Mark Rothko (Amador Vega)
Come scrive Zygmunt Bauman nella toccante prefazione a questo libro-testimonianza, il compito più difficile per chi si trovò a vivere la tragica esperienza dei campi di sterminio nazisti era "restare umani in condizioni disumane". Lettera ai figli, che Anna Hyndräkovä-Kovanicovä trova il coraggio di scrivere nel 1971, all'età di 43 anni, inizia in un giorno preciso, il 15 marzo 1939, data dell'invasione della Cecoslovacchia da parte delle armate naziste. Gli avvenimenti personali legati alla famiglia, alla scuola, ai compagni e alle amiche più care si stemperano nel ricordo di una Praga occupata dai soldati tedeschi e sempre più negata ai cittadini di religione ebraica. Nel 1942 la giovane Anna, con la famiglia, è costretta ad abbandonare Praga e viene condotta nel ghetto di Terezin, inizio della deportazione che la condurrà ad Auschwitz. Il racconto si snoda rievocando il viaggio, l'arrivo nel campo e la sistemazione nel Familienlager, la fame, gli espedienti per procurarsi un po' di cibo, gli appelli, la paura e il momento più duro, quello della selezione. Privata dei genitori, che moriranno nelle camere a gas, Anna viene inviata a lavorare nel sottocampo di Gross Rosen, dove apprende della morte della sorella e della nipotina. Durante l'inverno decide di fuggire e durante l'evacuazione del campo nel febbraio 1945 riesce nel suo intento. Ma questo è solo l'inizio di un allucinante viaggio di ritorno. Anna conosce l'oltraggio della violenza fisica e psichica...
Qual è il destino delle immagini nelle nostre società? Siamo davvero di fronte a un flusso iconico che si moltiplica esponenzialmente o piuttosto, nella sottomissione acritica ai programmi visivi di propaganda e pubblicità, non rimane nulla di ciò che sono veramente le immagini? Che cosa significa vedere un'immagine e dire quello che si vede? Chi è che decide che cosa dobbiamo vedere e ciò che invece deve restare nascosto? La questione dell'immagine non è un fenomeno recente, ma ha alle spalle una lunga storia che affonda le proprie radici nell'ebraismo biblico, nella filosofia greca e nel pensiero cristiano. Nei quattro studi contenuti ne "Il commercio degli sguardi" Mondzain non solo ripercorre le tappe salienti di questo percorso (il divieto antico-testamentario, la riflessione platonica e aristotelica, la crisi iconoclastica), ma ne mostra anche tutta l'insospettabile contemporaneità. Al centro di questa ricostruzione c'è evidentemente il cristianesimo e la sua capacità di assumere la natura passionale delle immagini e di governarne gli effetti politici attraverso la parola. L'immagine diventa quindi una questione di "commercio" dove esseri dotati di parola non cessano di far circolare i segni che producono il loro mondo comune. Commercio ambiguo però, che può costruire una libertà dello sguardo o trasformarsi in un mercantile programma di dominio. Commercio che ha bisogno di voci libere, come quella di colui che ha il coraggio di gridare "il re è nudo".
Di fronte al trittico delle Tentazioni di sant'Antonio di Bosch, lo sguardo si smarrisce e si disperde, travolto dal diluvio di immagini grottesche, curiose, singolari, inquietanti che si affollano attorno al Santo. Mille forme del demoniaco lo circondano, lo tentano, lo afferrano. Il male che esplode in tutte le sue forme diventa in questo quadro l'emblema di un immaginario e di una riflessione dell'arte sull'oscuro, il demoniaco, il perturbante che genera incubi nella mente dell'uomo. Il lettore dei saggi di André Chastel, Pierre Francastel e Hans Sedlmayr raccolti in questo libro ha l'occasione di vedere all'opera su questo tema tre maestri della storia dell'arte e di riconoscerne immediatamente stili e sensibilità differenti. Francastel indaga le forme del demoniaco nell'arte medievale, vedendo nelle sacre rappresentazioni l'origine di alcuni suoi tratti tipici. Partendo dal tema del "Congresso di Studi umanistici" promosso da Enrico Castelli nel 1952, Chastel rilegge le paure della cultura europea alla fine del '400, incarnate dalla figura dell'Anticristo. Sedlmayr coglie in alcune esperienze pittoriche del Novecento la presenza viva e dirompente del demonio nella estetica contemporanea. Letture assai diverse, ma dipanate attorno a un unico grande dubbio: è possibile riconoscere l'impronta del tempo nei modi con cui l'umanità ha immaginato la realtà del demoniaco, oppure è quest'ultima che, entrando nella quotidianità, ne ha incrinato le basi metafisiche ed etiche?
La Cina è vicina? Quanto? È soltanto un grande Paese che ci minaccia, o una nazione dalla lunga storia il cui modo di pensare può insegnarci qualcosa? Nella gerarchia disegnata da Platone al vertice di tutto c'è l'idea, poi viene la realtà e quindi le sue imitazioni, come quelle dell'arte e dell'immagine, che per Platone sono soltanto surrogati dell'idea. È un sapere che ha fondato l'Occidente e l'Europa. Ma il riferimento all'ideale può essere anche una distorsione della realtà. Da una trentina d'anni il filosofo Francois Jullien ha aperto il suo cantiere di lavoro con l'obiettivo di promuovere un "uso filosofico della Cina". Autonoma dalla civiltà ebraica e greca, estranea anche sotto il profilo linguistico all'Occidente, la Cina agisce nel pensiero di Jullien come mezzo per guardare da una certa distanza le nostre fonti culturali. E in riferimento all'ideale che la cultura europea ha prodotto un sapere che si pretende universale, e che si è espresso come scienza, grazie al supporto della matematica; e ha promosso la tensione verso un fine da realizzare, progetto di vita e/o programma politico. Ora, la Cina ci chiama a riflettere sulla possibilità di non lasciarsi prendere dal gioco dell'ideale: ha pensato la matematica in termini di utilità; ha pensato un mondo che si governa in virtù di una sua regolazione interna; non ha cercato una Legge trascendente a cui adeguare il comportamento che deve semplicemente mantenersi in sintonia con il processo del mondo.
Pubblicato per la prima volta nel 1970, e presentato qui in una nuova traduzione, questo libro è un grandioso esercizio di avvicinamento al Silenzio teologico, una pietra miliare irrinunciabile per una riflessione profonda sulle condizioni e sul destino del popolo ebraico e, di riflesso, di tutta la cultura occidentale. La Bibbia, nelle pagine di Neher, funge da filigrana per descrivere un incessante corpo a corpo con le pratiche umane più elementari: parlare, tacere, amare, odiare, soffrire. Sotto il segno di Giobbe, archetipo del giusto che patisce un'incomprensibile "congiura" ai suoi danni, ma anche sotto il segno di Saul, vero "Edipo ebreo", e di Ezechiele, di Giona, di Abramo, di Elia, e di tanti altri piccoli o grandi protagonisti, Neher interroga le prove più dure e più feconde che hanno segnato l'esperienza biblica. La parola esiliata permette a Neher, sopravvissuto alle persecuzioni naziste, di affrontare con coraggio impareggiabile la domanda delle domande, quella su Auschwitz: questa volta sotto il segno di Elie Wiesel, compagno di viaggio nel paesaggio allucinato e silenzioso dello sterminio, là dove, come non ha mancato di rimarcare anche papa Benedetto XVI, occorre sempre chiedersi: perché Dio ha taciuto? Neher non fornisce risposte accomodanti, ma consente di collocare il Silenzio nel cuore stesso della Rivelazione, come scrive Massimo Cacciari nella postfazione.
In questo saggio del 1926 Etienne Gilson ci racconta il match tra due pesi massimi della teologia cristiana: san Tommaso e sant'Agostino. Dietro lo scontro, quello tra due visioni opposte, che corrono parallele in tutta la storia dell'Occidente. Da una parte, l'idea di un Dio incommensurabile, unica fonte di conoscenza per l'uomo. Dall'altra, la potenza della speculazione razionale, la filosofia come via sicura per conoscere anche il divino. Tommaso d'Aquino, magister all'Università di Parigi alla metà del Duecento, si trova nella difficile posizione di dover sfidare il più illustre dei Padri della Chiesa, sant'Agostino, per difendere il senso del mestiere filosofico. L'esito finale sarà una vera e propria riscrittura della storia filosofica, in cui le posizioni più diverse verranno ricondotte ai due ceppi originari di Platone e Aristotele. Se dunque il campo ne risulterà bipartito, Tommaso sceglierà per sé la parte degli aristotelici, contro il generale orientamento platonizzante della Chiesa del tempo.
Il "lavoro" e l'opera di Hans Blumenberg sulla metafora sono un contributo decisivo per la definizione della modernità, delle sue soglie come dei suoi paradossi. In questo senso, Uscite dalla caverna assume un ruolo cruciale, perché individua nell'allegoria della caverna platonica un'occasione di ripensamento e di riscrittura della storia occidentale. L'attenzione che Blumenberg dedica alle dimensioni "inconcettuali" della tradizione filosofica arricchisce ulteriormente il panorama di esempi, aneddoti, visioni e rotture, che funge da sfondo e da condizione per continuare a pensare. In particolare, la metafora della caverna suggerisce un'inedita presa di coscienza dell'autonomia del pensiero, nella misura in cui si coglie l'aspetto specificamente "paideutico" e formativo, nonché politico, della conoscenza. Questo libro, l'ultimo pubblicato da Blumenberg ancora in vita, è dunque forse un'estrema risposta ai paradigmi della "gnosi" e della "secolarizzazione" così come si erano configurati in "Elaborazione del mito" e in "La legittimità dell'età moderna". Il lavoro di Blumenberg si rende attuale sia per la cura nei confronti dei contesti storici, sia per la vicinanza, l'intimità che dimostra verso gli autori che utilizza come compagni di viaggio, verso la fine delle illusioni e verso l'estremo disincanto.
Contrariamente a ogni apparenza la nostra epoca ha cancellato i sessi. Mortificati, sottomessi alle dure leggi dell'ipervalorizzazione commerciale e strumentale, la loro dialettica è stata mortificata e costretta entro la camicia di forza di imperativi e obblighi ancor più costrittivi e "repressivi" della cosiddetta vecchia morale cattolica. La scommessa teorica di questo libro di Fabrice Hadjadj può suonare un paradosso per la filosofia, o una provocazione per la teologia: salvare quella che la tradizione cristiana designa come "la carne" (con tutte le sue debolezze e i suoi allettanti peccati) riconoscendo nel corpo stesso, nei suoi desideri e pulsioni, perfino nelle sue funzioni considerate meno nobili, il sigillo del divino. Igienizzati e declassati a esercizi per mantenersi in forma, sottratti a qualsiasi riflessione sul loro significato ultimo, l'unica possibilità che abbiamo di riprendere contatto con la "profondità dei sessi", secondo l'autore, è quella di attingere alla valorizzazione del corpo e della carne intrapresa dalla tradizione giudaica, prima, e portata a piena completezza da quella cristiana. Contro un secolare dualismo di origine platonica, Hadjadj invita a ritrovare nella materia di cui il corpo è fatto, le tracce della vita spirituale, dei suoi doveri e delle sue aspirazioni più alte.