
Già attribuita al «tre volte grande» («trismegistos», appunto) Ermes - il dio della scrittura, dell'astrologia e dell'alchimia che risulta dall'associazione, presente sin da Erodoto, della divinità greca con l'egizio Thoth - essa è ritenuta antica quanto se non più di Mose, e interpretata come prefigurazione del Cristianesimo. In realtà, la redazione dei testi sembra risalire ai secoli fra il I e il IV della nostra èra, mentre una parte, l'Asclepius - un trattato di magia che riporta le pratiche dei sacerdoti egizi - circola già nel Medioevo occidentale nella traduzione latina ritenuta di Apuleio. Ma nel 1460 l'originale greco giunge nelle mani di Cosimo de' Medici, che ordina subito a Marsilio Ficino di dimenticare Platone e dedicarsi al Corpus. Ficino completa l'opera nell'aprile del 1463 e riceve come compenso una villa a Careggi. Nel Seicento, la paternità e la vetustà dell'opera sono infine demolite, a colpi di filologia, da Isaac Casaubon. Per secoli, però, la sua influenza è fondamentale: da Pico della Mirandola a Hieronymus Bosch, da Pieter Bruegel a John Milton, da Giordano Bruno a Isaac Newton, e più tardi ancora sino a William Blake, artisti e intellettuali coltivano l'ermetismo. Ermete trova il suo posto persino sul pavimento del Duomo di Siena. Ed è certo difficile resistere al fascino della sua rivelazione segreta, nella quale teologia e cosmologia si mescolano allo studio dell'uomo e alla dottrina dell'anima, dove demonologia e astrologia si fondono.
Gesù e un uomo raggiungono la riva di un fiume e si siedono a mangiare. Consumano due dei tre pani che hanno. Gesù si alza, va a bere al fiume, torna e, non trovando la pagnotta, chiede all'altro chi l'abbia presa. "Non so", risponde. Ripartiti, Gesù vede una gazzella con due piccoli, ne chiama a sé uno, lo uccide, ne arrostisce una parte e ne mangiano. Poi dice al piccolo di gazzella: "Con il consenso di Dio, alzati!", e quello si alza e se ne va. Allora si rivolge all'uomo: "Per Colui che ti ha mostrato questo prodigio, ti chiedo: chi ha preso la pagnotta?"; e quello risponde: "Non lo so". Giunti a un corso d'acqua, Gesù prende l'uomo per mano e i due camminano sull'acqua. Gesù domanda: "Per Colui che ti ha mostrato questo prodigio, ti chiedo: chi ha preso la pagnotta?". L'altro risponde di nuovo: "Non lo so". Arrivati in un deserto, Gesù prende a raccogliere della sabbia: "Con il consenso di Dio, diventa oro", dice, e così accade. Gesù lo divide in tre parti: "Un terzo a me, uno a te e uno a chi ha preso la pagnotta ". Quello replica: "L'ho presa io!". E Gesù: "Allora è tutto per te!".
È una delle tante storie incantevoli che fanno parte del vero e proprio "vangelo musulmano" contenuto in questo libro: e prosegue poi verso una conclusione sorprendente. Ma il Gesù dell'islam è nello stesso tempo più semplice e più complesso di quanto non emerga da essa. R)mi, il più grande mistico persiano, scrive: "Il corpo è simile a Maria: ognuno ha un Gesù dentro di sé. Se sentiremo in noi i dolori, il nostro Gesù nascerà ". 'Ôsa Ibn Maryam, Gesù figlio di Maria, è infatti uno dei maggiori profeti dell'islam: che, fin dal Corano, ne tramanda molte parole. Riletture plurisecolari del Gesù dei Vangeli e degli apocrifi, esse ci restituiscono un Gesù musulmano, o un Gesù che parla all'islam, e a noi: "Beato colui che guarda con il cuore, ma il suo cuore non è in ciò che vede".
I detti islamici di Gesù - che segue Le parole dimenticate di Gesù, in una serie intesa a offrire un quadro completo delle immagini di Gesù nelle varie tradizioni - è un libro dal fascino particolare: racconta l'unico caso di una religione mondiale che sceglie di adottare la figura centrale di un'altra, finendo per riconoscere questa figura come costitutiva della propria identità.
Nella cosmogonia e nella mitologia manichee Materia e Luce lottano sempre, coinvolgendo il mondo e l'uomo in un turbinio di aria, vento, fuoco, fumo, melma; di firmamenti e terre; di arconti e personificazioni; di grida e bagliori. L'eterna lotta fra bene e male è il ritmo stesso dell'universo. Vi sono tre tempi e tre creazioni. Il Padre della Grandezza e il Re delle Tenebre, la Madre della Vita e l'Uomo Primordiale, l'Amico delle Luci e il Grande Architetto, lo Spirito e le Vergini. Mani si ritiene, dopo Budda, Zoroastro e Gesù, l'ultimo inviato del Dio della Verità. Ma si proclama anche "apostolo di Gesù Cristo", e richiama come anticipazioni profetiche della sua le rivelazioni di Adamo, Seth e Sem, e il rapimento di Paolo al terzo Ciclo. Così il Manicheismo appare come nuova, originale sintesi gnostica di motivi provenienti dalle fedi e dalle mitologie che lo precedono. Forse per questo la religione di Mani, considerata pericolosissima eresia da tutte le altre e perseguitata dal potere politico nella stessa Persia in cui nasce, possiede un fascino e un'attrazione particolari, e si diffonde con una rapidità e una forza straordinarie in occidente e in oriente. Ne è adepto, a lungo, sant'Agostino, ma i suoi seguaci sciamano ben presto in tutta l'Asia Centrale e si spingono fino in Cina.
I due volumi dei "Trattati d'amore" cristiani offrono al pubblico una raccolta di testi che indagano il problema dell'amore nel pensiero cristiano del XII secolo. Il XII è infatti, in Europa, il secolo dell'amore: i trovatori celebrano l'amor cortese, i romanzi narrano la passione di Tristano e Isotta o di Lancillotto, Abelardo ed Eloisa vivono un'infuocata relazione. I religiosi non sono da meno: elaborano, impiegando un linguaggio appassionato e immagini meravigliose, affascinanti teorie sull'amore mistico. Se Dio, come proclama il Vangelo di Giovanni, è carità, cioè amore, l'uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, è dominato da quello stesso sentimento e al suo Creatore deve rivolgerlo per poter raggiungere l'unione con Dio. È il momento che Dante celebrerà al termine del Paradiso, quando l'"amor che move il sole e l'altre stelle" volge la sua volontà e il suo desiderio "sì come rota ch'igualmente è mossa".
"Angeli, non Angli", esclama il futuro papa Gregorio Magno quando vede dei bellissimi schiavi inglesi in vendita nel Foro di Roma. Da questa frase prende l'avvio la missione di riconversione della Britannia abbandonata dalle legioni e occupata dagli Angli e dai Sassoni. È l'inizio ideale della "Storia degli Inglesi" composta da Beda nel VIII secolo. Leggermente balbuziente, chiuso per tutta la sua vita nei monasteri di Wearmouth e Jarrow, Beda possiede però "l'ardente spiro" del quale Dante lo vede fiammeggiare nel Ciclo dei Sapienti. Ha commentato quasi tutta la Bibbia, si è occupato del computo del tempo ha composto un "De natura rerum", trattati di ortografia e metrica, vite di santi e persino poesia. La sua "Historia ecclesiastica gentis Anglorum", della quale la Fondazione Valla pubblica in due volumi la prima edizione critica in quaranta anni, è fra le più belle opere storiografiche del Medioevo. Tutto è organizzato con mano sapiente e narrato col piglio dello scrittore di razza. Ma tutto, anche, ha l'aura delle origini e il passo della meditazione sugli accadimenti: se Beda vuole ancorare a Roma l'alba delle vicende inglesi è perché quella che Gregorio, per mezzo del suo missionario Agostino, porta nel Kent è una nuova cultura.
Alessandro diviene un mito mentre è ancora vivo e percorre il mondo. Alla creazione di questo mito ha forse contribuito il nipote di Aristotele, Callistene, che seguì il Macedone nelle sue imprese fin quando non cadde in disgrazia. Persino gli storici non riescono a distinguere completamente dove termini, per Alessandro, il resoconto fattuale e dove inizi la leggenda. Ma è il Romanzo che «trasforma in eventi storici cose che Alessandro ha solo sognato di fare». E il Romanzo che ci narra la conquista dell'Italia e di Cartagine, il suo desiderio di immortalità e conoscenza assoluta. Di questo straordinario bestseller esistono innumerevoli versioni in tutte le lingue, dal greco e dal latino sino all'ebraico, all'arabo e al persiano. Per la prima volta al mondo, la Fondazione Valla - che inizia con questo la pubblicazione dell'opera in tre volumi - presenta quattro recensioni "sinottiche" del Romanzo, tre greche (A, B e Y) e quella latina di Giulio Valerio. Le riscritture colpiscono l'immaginazione: singole parole, frasi, episodi vengono trasformati in un processo continuo, come se ciascun autore, talvolta non comprendendo il predecessore, ma soprattutto conquistato dall'aura meravigliosa dell'argomento, abbia voluto aggiungere, sottrarre e cambiare quasi stesse raccontando la storia oralmente. Ecco così che il Romanzo si presenta come una «intrigante commistione di generi»: lettere, diatribe retoriche, passi di prosa mista a versi, inserzioni successive: è romance, racconto di meraviglie, descrizione del mondo, enciclopedia, biografia: favola e storia. L'introduzione e il commento di Richard Stoneman, e la traduzione di Tristano Gargiulo, ci calano, in questo primo volume accompagnato da un affascinante apparato iconografico, nei primordi della vicenda: il misterioso e gustoso concepimento di Alessandro da parte di Nectanebo, ultimo faraone d'Egitto e grandissimo mago; il suo crescere, educato da Aristotele, nel valore e nella virtù; l'inizio della sua conquista del mondo con Tebe, Tiro, la Siria e l'Egitto; la fondazione della città ideale, Alessandria; e infine l'attacco all'impero persiano. Domina, su tutte, l'immagine del condottiero che domanda al «più potente di tutti gli dèi»: «Signore, svelami ancora una cosa, quando e come sono destinato a finire la vita?».
Indice - Sommario
Premessa
Introduzione
Bibliografia e abbreviazioni bibliografiche
Cartine
TESTI E TRADUZIONI
Sigla
Vita di Alessandro il Macedone I
Alessandro il Macedone I
Storia straordinaria e davvero mirabile del re Alessandro signore del mondo
Giulio Valerio, Imprese di Alessandro il Macedone I
Narrato nel libro biblico dei "Numeri", il viaggio del popolo di Israele dalla schiavitù d'Egitto attraverso il deserto fino alla Terra Promessa è stato interpretato da uno dei maggiori padri della chiesa, Origene, come allegoria del viaggio dell'anima dall'idolatria e dal peccato verso la virtù, la conoscenza, la fede e Dio. Ogni particolare del racconto biblico trova così significato: i tempi, i toponimi, le tende, i cibi, le bevande, la sorgente, il pozzo; ogni dettaglio è esaminato alla luce di tutta la Scrittura. La grande suggestione che l'allegoria di Origene esercitò è testimoniata dalle riprese che ne hanno operato molti altri esegeti cristiani: Girolamo, Gregorio di Nissa, lo Pseudo-Ambrogio, Agostino, Bruno d'Asti, Bernardo di Clairvaux e Pier Damiani. Ognuno amplifica le intuizioni del maestro alessandrino per i propri scopi e imprimendovi la propria impronta. Il viaggio dell'anima si diffonde e si trasforma: assume le fattezze del pellegrinaggio di Dante nell'aldilà o del moderno romanzo di formazione. Questo volume raccoglie i testi esegetici sul libro dei "Numeri" di Origene, ma anche dei suoi successori da Girolamo e Bernardo, da Bruno d'Asti ad Agostino.
I trovatori celebrano l'amor cortese. I romanzi narrano la passione di Tristano e Isotta o di Lancillotto. Abelardo ed Eloisa vivono un'infuocata relazione. Il XII è, in Europa, il secolo dell'amore. I religiosi non sono da meno ed elaborano affascinanti teorie sull'amore mistico. Se Dio è, come proclama Giovanni amore, l'uomo, che è fatto a sua immagine e somiglianza, è dominato da quel sentimento e al suo Creatore deve rivolgerlo. Dall'"abisso della dissomiglianza" l'"anima curva" si "converte" tendendo a lui la propria volontà. La ragione "può vedere Dio soltanto in ciò che egli non è; l'amore è l'unica conoscenza che si avvicini alla divinità, il vero "intelletto". La stessa teologia negativa viene superata. Attraverso quattro "gradi" di carità, o tre "visite", tre "sabati", l'uomo progredisce verso l'"unità dello spirito", l'"eccesso della mente", l'"abbraccio"; l'unione con Dio. Il volume segue il cammino di Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Clairvaux, i due amici che, combattendo il razionalismo di Abelardo, hanno costruito una teologia dell'amore che influenzò anche alcuni trovatori. Guglielmo, contemplando "ogni angolo ed estremità" della propria coscienza, guarda al Volto ed esclama: "O volto, o volto! Quanto beato il volto che, vedendoti, merita di essere trasformato da te". Per Bernardo, provare l'amore vuol dire essere "deificati", e al culmine dell'esperienza mistica ogni sentimento umano si dissolve e si riversa nel fondo della volontà di Dio.
Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. E' la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. Nei libri III e IV troviamo alcuni degli episodi più belli di tutta l'opera, centrati sulle vicende mitiche di Tebe. Cadmo uccide il drago, ne semina i denti - dai quali nascono guerrieri che si sterminano fra di loro - e fonda la città. Atteone vede Diana nuda, è trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Narciso, specchiandosi nell'acqua, si innamora di sé stesso e diviene un fiore. Eco lo ama perdutamente e, respinta da lui, rimane puro suono che ripete le parole nell'aria. Semele, amata da Giove, chiede al dio di unirsi a lei in tutto il suo fulgore e rimane incenerita. Ino alleva il figlio dei due, Bacco, impazzisce su istigazione di Giunone, si getta nei flutti e diventa dea marina. Piramo e Tisbe, amandosi follemente, si uccidono l'una dopo l'altro, e il sangue tinge di nero le bacche bianche del gelso. Perseo vince Medusa e ne usa il capo, il cui sguardo pietrifica, per mutare Atlante in monte. Storie, direbbe Shakespeare, di "suono e furore", nelle quali la guerra fratricida, l'amore infelice, il volto del terrore, divengono città, fiori, sassi, foglie scure, e in cui la voce si perde nel vento. La Fondazione Valla prosegue con questo la pubblicazione in sei volumi delle "Metamorfosi", basando il testo e gli apparati su quelli editi da Richard Tarrant per gli Oxford Classical Texts: la cura generale è di Alessandro Barchiesi. Il commento è affidato allo stesso Barchiesi e a Gianpiero Rosati. La traduzione è opera di Ludovica Koch.
Indice - Sommario
Premessa dei curatori
Abbreviazioni bibliografiche
Nota al testo
TESTO e TRADUZIONE
Sigla
Libro terzo
Libro quarto
COMMENTO
Libro terzo
Libro quarto
Il Manicheismo fu l'unica religione creata da un uomo che era, al tempo stesso, un grande pittore e un grande musicista: iranico di padre e di madre, Mani nacque nel 216 d.C. in Mesopotamia. La sua predicazione, che si definiva una "Religione della Luce" o "La Speranza di Vita", aveva origini cristiane, gnostiche, buddhiste, zoroastriane. Egli, che si riteneva il Gesù dei suoi tempi, pensava che nel mondo esistessero all'origine due principi opposti: il Bene Assoluto e il Male Assoluto. Tuttavia, nel corso dei tempi, il Male si era insinuato nel Bene, contaminandolo. Compito di ogni fedele manicheo era quello di salvare e liberare tutte le particelle di luce prigioniere della materia, fino a restaurare la purezza originaria del mondo della Luce. Da principio, Mani fu accolto con favore alla Corte persiana. Seguendo le grandi strade di comunicazione dell'epoca, la sua religione si diffuse nell'Africa settentrionale, in Egitto, in Siria, in Dalmazia, in Gallia, in Spagna, in Arabia, in India, in Cina, coprendo un territorio più vasto di quello di qualsiasi altra religione. Poi egli venne perseguitato dal clero zoroastriano, imprigionato e condannato a morte; i suoi seguaci seguirono la sua stessa sorte; i loro scritti arsi e distrutti.