La prima opera di Richard Schaeffler tradotta in italiano è dedicata alla fenomenologia della religione. Una disciplina il cui scopo è, per l'autore, mostrare la forma essenziale dell'esperienza religiosa a partire dalle sue due dimensioni fondamentali: il linguaggio e il culto. Ciò permette di distinguerla in modo appropriato da altre forme di esperienza, come quella etica, e di discernere la sua stessa validità. Questioni di indubbio interesse tanto per i filosofi della religione, quanto per i teologi fondamentali, e in genere per tutti quelli che riflettono sul rapporto tra filosofia e teologia.
Questo ventiduesimo Rapporto del Centro Studi per la Scuola Cattolica affronta un tema cruciale: il ruolo chiave degli insegnanti come mediatori di un particolare progetto educativo e, in particolare, i processi formativi con cui essi acquisiscono gli strumenti che dovrebbero metterli in grado di farsi interpreti autorevoli e credibili di una proposta culturale. Il Rapporto è infatti in gran parte dedicato alla formazione iniziale e permanente degli insegnanti di scuola cattolica e al nodo delicato del loro reclutamento. Il volume si articola, come di consueto, in tre parti. Nella prima viene impostato il problema nei suoi termini teorici e nella sua dimensione empirica, con uno sguardo alla storia della scuola italiana, alla specificità del docente di scuola cattolica e al contesto europeo; la seconda parte espone i risultati di una ricerca sugli insegnanti delle scuole cattoliche italiane; la terza esplora le categorie che emergono dalla ricerca (la vocazione educativa, le caratteristiche delle insegnanti di scuola dell'infanzia; le proposte che potrebbero rendere più efficace la formazione dei docenti). L'appendice statistica aggiorna all'anno scolastico 2019-20 i principali parametri che descrivono lo stato delle scuole cattoliche in Italia.
La via di uscita dalla crisi che attanaglia il globo è una sola: la fratellanza accompagnata dalla solidarietà. Questo il cuore del messaggio della terza enciclica di Papa Francesco, firmata ad Assisi il 3 ottobre 2020 che trae spunto per il titolo da scritti di San Francesco: "Guardiamo, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce" (Ammonizioni, 6, 1: FF 155). Dalla città del santo di cui reca il nome e che colse la fraternità in ogni creatura di Dio una nuova tappa del magistero papale attraverso un documento considerato il programma per affrontare - dal punto di vista spirituale, teologico e sociale - il futuro del mondo travolto dal Covid-19. L'edizione qui approntata presenta, con un format originale e ben collaudato nelle precedenti encicliche - oltre il testo integrale - i contributi di noti specialisti in diverse discipline per comprendere le pagine di "Fratelli tutti. Sulla fraternità e l'amicizia sociale": tutte attraversate dal valore messo al centro da Jorge Bergoglio dalla sera dell'elezione alla recente Dichiarazione di Abu Dhabi pure nata "dalla fede in Dio che è Padre di tutti e Padre della pace". Il testo contiene 16 pagine con ilustrazioni a colori.
Prendendo avvio dalla nozione di sistema e dall’esame di alcune particolari realtà – le immagini, le persone, le opere d’arte, i corpi virtuali – il volume indaga la categoria di relazione. In principio è la relazione e l’analisi dei corpi virtuali ne mostra bene l’originarietà. Ibridi ontologici, plessi di corpo e immagine, oggetto ed evento, interno ed esterno, artificiale e vivente, esistono solo nell’interazione. Come emerge in alcune operazioni artistiche che schiudono orizzonti di possibilità estetiche ed etiche.
ROBERTO DIODATO insegna Estetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e alla Facoltà di Teologia di Lugano. Per Morcelliana ha pubblicato: La bellezza non salverà il mondo (ebook, 2020); Logos estetico (2012) e, con E. De Caro e G. Boffi, Percorsi di estetica. Arte, Bellezza, Immaginazione (2009).
Se la modernità è stata l'epoca delle grandi narrazioni, "Le forme elementari della vita religiosa" (1912) appartiene indubbiamente a questo tipo di opere. L'oggetto viene studiato - nell'intenzione dell'autore - in modo esaustivo a partire da un'ipotesi: la religione degli aborigeni australiani, stando all'immensa mole di ricerche condotte su di essa tra gli ultimi decenni dell'800 e gli inizi del '900, rappresenterebbe e avrebbe mantenuto nel tempo, per la semplicità dei suoi elementi costitutivi, la forma più antica di esperienza del sacro che l'umanità abbia conosciuto nella sua storia. Il legame dell'uomo con determinate specie animali e vegetali, nonché l'"entusiasmo" che i gruppi raggiungono in particolari situazioni di esaltazione collettiva, costituiscono, secondo Durkheim, il primum religioso dell'umanità su cui egli polarizza quel particolare istituto etnologico indicato come totemismo. Ora, se da un lato nella religione così concepita «c'è qualcosa di eterno», dall'altro le modalità, i meccanismi psichici e le forme religiose di rappresentazione della realtà, contengono in nuce, secondo il sociologo francese, un processo di autocostituzione e autoregolazione delle società umane che sfugge in gran parte agli individui che ne sono gli attori. E dunque il religioso rappresenterebbe il sistema generatore e fors'anche il nucleo costitutivo delle diverse dimensioni con cui si esprimono le culture umane. Da questo punto di vista, quest'opera di Durkheim può essere definita un classico delle scienze delle religioni.
Di fronte alle molteplici religioni e filosofie del mondo contemporaneo, nessuno sfugge alla domanda: a che cosa è dato credere, per avere una regola stabile di condotta, e nello stesso tempo per poter convivere con chi creda diversamente? E se si diventa tolleranti di fronte alle altre ideologie e religioni, questa tolleranza non è tanto maggiore quanto più fiacca è la lede quanto più il liberalismo decade in agnosticismo, il dubbio in indifferenza, lo spirito critico in spinto scettico? Un dilemma che mette in scacco le certezze religiose e filosofiche, che precipitano in dogmatismi e autoritarismi, ma anche la scienza, chiamata a dire come ultimamente stanno le cose. Di qui l'elaborazione, compiuta da Calogero, di un "principio del dialogo", un perenne principio laico di discussione cooperante, su cui si fonda ogni coesistenza, ogni giustizia e ogni diritto. Il testo che, a partire dal noto saggio "Logo e dialogo", sullo spinto critico e sulla libertà di coscienza, è un classico della filosofia italiana del Novecento, nella misura in cui tocca alcuni dei più dibattuti problemi della cultura e della civiltà di allora e di oggi: impegno religioso e libertà del dubbio, laicismo e certezza, educazione liberale e formazione di una fede civica, libertà dello stato e libertà della chiesa, novità della storia e stabilità dei diritti, coesistenza e competizione...
Gli interventi più significativi pronunciati da Papa Francesco sui temi riguardanti l'educazione: una documentazione che offre spunti utili per orientare le istituzioni educative e per aprire, nel contesto culturale odierno, orizzonti di un nuovo umanesimo. I testi scelti toccano vari aspetti dell'educazione: dal ruolo dei diversi soggetti coinvolti al compito delle istituzioni, dai contenuti ai linguaggi dell'educazione, dal rapporto di questa con la missione evangelizzatrice della Chiesa alla sua capacità di illuminare la ricerca della verità, fino al tema tanto caro al Papa: il patto educativo globale. Un gesto che Papa Francesco vuole condividere con tutti per affidare all'educazione un compito trasversale e inclusivo di tutte le espressioni della vita personale, culturale e sociale dell'uomo.
«Leggendo questi testi di Paolo VI, sempre così intensi e accurati, mi sono confermato nella persuasione che i preti abbiano bisogno d'altro, rispetto a quello che si raccomanda o si pretende. I preti hanno bisogno di stima. Esprimono il meglio di sé non quando sono tesi e guardinghi per difendersi dalle critiche, ma, come tutti gli umani, quando avvertono intorno a sé l'atteggiamento benevolo che apprezza la loro presenza, che riconosce l'essenziale della loro missione. Le parole di Paolo VI si possono forse anche riassumere così: una lunga, convinta, commovente attestazione di stima per i preti a cui si rivolge.» (Dalla Prefazione)
Un antico maestro della Misbnà, Ben Bag Bag, diceva: «Volgila e rivolgila, tutto vi è in essa [nella Torà]» (Avot 5,22). Tutto è nella Torà, ma bisogna voltarla e rivoltarla: Dio ha parlato, ma l'uomo deve metterci il commento. Intorno a questi due pilastri dell'ebraismo si «aggirano» le pagine che seguono: si aggirano perché non hanno una meta, un punto di arrivo, ma vogliono solo essere momenti di una frequentazione infinita (una ruminati°, direbbero i Padri) della Torà scritta e orale. Ci sono tanti modi di introdurre al giudaismo: infatti il giudaismo è plurale, e questa pluralità - nelle idee, nei tempi, nei luoghi, nelle identità - è la sua forza. Perciò molte sono le porte per entrarvi e viverci, o anche solo per conoscerlo. Una porta è quella che anche il Nuovo Testamento indica nel farsi carne, cioè realtà variamente terrena e sensibile, della parola (per Israele la Torà, per i cristiani Gesù). Fuori di questa concreta «vocalità» divina - se così si può dire -, di Dio non sapremmo mai nulla, se non, appunto, chiamarlo Ain, «Nulla», o Mi?, «Chi?», secondo i maestri della qabbalà. Ma Ain è divenuto Anì, «Io», e perciò abbiamo un Tu e non siamo più soli.