"Tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta, forse, un po' come si tace una speranza ineffabile" (Rilke). Perché parlare del nichilismo? Con il non senso abbiamo imparato a convivere: ha dismesso la sua apparenza tragica, si è fatto dimenticanza, refrain dialettico. Si può vivere, amare, morire in una società in cui la cultura dominante sia segnata dal nichilismo, ma non si può sperare perché per sperare è necessario essere autocoscienti, liberi: un io. Il tema delle conversazioni qui trascritte è il nostro io, di cui tutto cospira a tacere, quasi il suo esserci fosse un'onta da nascondere; un'onta che si rovescia, però, a volte, come la luce in certe pozzanghere, in speranza. In questo rovesciamento - come emerge nei capolavori di Tolstoj, Pasternak, Grossman - sta il paradosso che è avvenuto nello spirito russo. La tragedia del nostro tempo è l'oblio della coscienza che nella Russia del Novecento si è rivelata, però, proprio attraverso la catastrofe e la perdita di sé, occasione per la scoperta di un'ineffabile speranza.
Dipendenza e senso di sé; il mangiare, l'amare e il pensare nella costituzione e nella percezione della vita; gradimento e rifiuto delle cose in quanto misure emotive dell'essere al mondo; gli altri negli incontri e nelle relazioni; gli esclusi e i dimenticati, l'umanità offesa. Questi i temi principali affrontati nel volume in una prospettiva di analisi aperta ai diversi e contrastanti aspetti della realtà e rivolta, anche, a segnalare l'incidenza del caso nel divenire delle decisioni e delle azioni e il carattere incerto e mutevole della verità.
Una mappa di orientamento nei meandri della storia e della cultura del mondo moderno.
Preparando undici anni dopo una nuova edizione di "Aldilà delle isole galleggianti", Eugenio Barba ha cominciato a eliminare materiali per sostituirli con nuovi scritti e aggiungervi altri pezzi ritrovati, finché un giorno s'è accorto di avere tra le mani un nuovo libro che rivisita la storia sua e del suo gruppo: il riepilogo appassionato di una vita in teatro e nel teatro della vita, concepito come un viaggio nel mondo per cercarne la necessità. Non a caso questo volume si chiama "Teatro" e ha per sottotitolo "solitudine, mestiere e rivolta". È allo stesso tempo una zigzagante autobiografia, una storia pluridecennale della scena e dell'uomo al difuori della scena, un manuale di lavoro e uno studio sulla dialettica di gruppo, pieno di folgoranti visioni creative. Barba, da cinquant'anni regista, teorico e animatore dell'Odin Teatret, ripercorre qui le tappe fondamentali della sua pratica teatrale: la frattura originaria con la tradizione, l'importanza del laboratorio e del training, i viaggi e i baratti nel Sud del mondo, il Terzo Teatro come ricerca di senso oltre ogni etichetta, la testimonianza dei maestri, rivoluzionari della scena o apprendisti della vita, la trasmissione dell'eredità.
Il volume indaga un tipico plesso di temi epistemologici: la teoria della conoscenza scientifica, la sua natura, le sue condizioni, i suoi metodi, nonché i rapporti tra le scienze e tra queste ultime e la fede. Tale indagine viene condotta al di fuori del genere letterario deputato all'analisi di tali temi, ossia la tradizione dell'Organon aristotelico; essa viene piuttosto rivolta verso l'ambito teologico, con l'intento di studiare la teoria della scienza. Il volume si apre con l'analisi dei fondamenti greco-arabi, prosegue prendendo in considerazione le posizioni di numerosi maestri scolastici (da Tommaso d'Aquino ed Enrico di Gand fino a Guglielmo di Ockham e Giovanni di Mirecourt), per chiudersi con un lungo capitolo che sintetizza i risultati dell'indagine mettendoli in prospettiva con la rivoluzione scientifica. Il volume getta così una luce diversa sui rapporti, nel Tardo Medioevo, tra la teologia e la riflessione epistemologica, mostrando l'interazione e la sinergia tra i due ambiti più che l'antitesi o i possibili contrasti.
Che cos’è un classico? I classici svolgono un ruolo concreto nella vita? Per quale mistero hanno la capacità di infondere coraggio e forza alle vittime di poteri politici aberranti? Perché attraverso i classici accettiamo meglio la malattia e l’avvicinarsi della morte? Sono questi alcuni degli interrogativi a cui lo scrittore di origine sudafricana J.M. Coetzee risponde nei suoi romanzi e nei suoi saggi. Attraverso la scrittura di Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003 e oggi uno degli scrittori più famosi al mondo, questo libro riflette sul concetto di classico dal punto di vista di una classicista di mestiere e approda ad alcune seppur provvisorie conclusioni. Classico è ciò che è umano e si oppone alla barbarie; ciò che resiste e aiuta a resistere all’orrore e alla violenza. Classico è sempre un atto d’amore, per la vita, per l’umanità, per l’idea stessa dell’amore.
AUTRICE
Sotera Fornaro insegna Letteratura greca all’Università di Sassari e si occupa tra l’altro di ricezioni dell’antichità classica nelle culture moderne e contemporanee. Per i nostri tipi ha curato, insieme a Daniela Summa, Eidolon. Saggi sulla tradizione classica (2013).
«Dio, esperienza dell’uomo» e «l’uomo, esperienza di Dio». In queste due frasi si può sintetizzare tutta la portata del pensiero filosofico di Zubiri intorno al nesso tra uomo e Dio. L’uomo è solo formalmente esperienza di Dio, perché Dio ci si dà nella forma della realtà-fondamento. Nella posizione filosofica di Zubiri si impone una unità di pensiero tra metafisica della realtà, filosofia dell’intelligenza e pensiero metafisicoreligioso. Per comprendere qualcosa della trascendenza occorre fermarsi a guardare in profondità ciò che abbiamo di più caro: la realtà in se stessa. Ecco il percorso che, attraverso i testi che qui si pubblicano per la prima volta in italiano, Zubiri desidera far compiere al lettore: dalla realtà delle cose all’uomo, e da questi a Dio.
La presente edizione italiana di El hombre y Dios è stata curata da Paolo Ponzio e Armando Savignano seguendo la nuova versione stabilita da Esteban Vargas Abarzúa pubblicata 2012. Oltre alla Redazione finale di L’uomo e Dio, vengono qui pubblicati altri due testi finora inediti in Italia: la Introduzione generale del 1975 e le lezioni tenute nel 1973 dal titolo Il problema teologale dell’uomo: l’uomo e Dio.
AUTORE
Xavier Zubiri (1898-1983) si colloca, all’interno del panorama iberico contemporaneo, nello stesso solco tracciato dal pensiero fenomenologico di Husserl e da quello ermeneutico di Heidegger. Zubiri affronta, nel suo pensiero, il problema del nesso tra la realtà e la sua conoscenza, con una precisazione concettuale e con un respiro interpretativo di straordinaria portata. Nel 1944 pubblica il suo primo libro, Naturaleza, Historia, Dios. Nel 1962 esce Sobre la esencia e, nel 1963, Cinco lecciones de filosofía. Nel 1973 tiene a Roma un corso presso la Pontificia Università Gregoriana su El problema teologal del hombre, che qui si pubblica per la prima volta in traduzione italiana. Nel 1980 pubblica il primo volume di Inteligencia sentiente: Inteligencia y realidad; nel 1982 il secondo volume Inteligencia y logos; nel 1983, il terzo, Inteligencia y razón. Morirà di lì a poco, il 21 settembre, mentre era alle prese con la revisione di El hombre y Dios.
Le parole vivono e fanno vivere ma non sono vita: la rappresentano soltanto.
La bellezza nella prospettiva delle scienze umanistiche". Atti della Conferenza Internazionale dell'Università Ortodossa San Tichon di Mosca in collaborazione con l'Università Cattolica di Milano. "
Tra il 17 e il 19 aprile 2012 il tema della Bellezza ha convocato presso la prima università ortodossa di Mosca studiosi russi e italiani che si sono confrontati attorno all’esperienza che più di ogni altra rivela il desiderio di infinito impresso nel cuore di ogni uomo. In quei giorni è stato sorprendente – e lo è ancora leggendo le pagine di questo volume – scoprire la profonda unità che da secoli agisce nelle due più antiche tradizioni cristiane, quella orientale ortodossa e quella occidentale cattolica, nelle innumerevoli occasioni che hanno sollecitato la loro creatività espressiva e la loro riflessione critica, dalle origini fino ai nostri giorni. È una tenace testimonianza al mondo della pertinenza della fede alle urgenze della vita e della storia. L’iniziativa promossa dall’Università San Tichon di Mosca, in occasione del suo ventennale, è stata accolta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano a seguito di una collaborazione che da alcuni anni favorisce scambi di docenti e studenti nell’ambito delle discipline umanistiche, in particolare filologiche, linguistiche e artistiche.
CURATORI
Alessandro Rovetta, docente di Storia della critica d’arte presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, dell’Università Cattolica di Milano.
Marija Desjatova, docente di Filologia romanza all’Università San Tichon di Mosca.
La natura dei racconti è tale che è possibile narrare cose antiche in modo nuovo e usare parole antiche per eventi recenti.
"Sotto il guasto viene l'aggiusto": è la rassegnata, quanto efficace, filosofia di vita adottata da un popolino abituato a trarre vantaggio anche dalla cattiva sorte. Come avviene agli orfani di famiglie povere di una città del Sud, accolti, e "felicemente reclusi", in un istituto che si assume il ruolo di risollevare il loro destino, di migliorarlo rispetto alle aspettative del loro ceto. Nelle vicende di una scolaresca chiusa in collegio si riverberano le dinamiche psicologiche e sociali di una società emarginata, ancora in grave ritardo rispetto al boom economico che si appresta ad avvolgere l'Italia. Nel racconto di Giacomo Annibaldis, la memoria ritesse la vita di bambini sfortunati, i "figli dei morti", ai quali tuttavia sarà offerta una chance rispetto ai loro compagni e parenti: storia di un'infanzia del tutto inusuale, intrecciata con l'ordito di una cultura mediterranea dai riverberi arcaici.