
Il primo volume dell'opera di James Dunn dedicata alle origini cristiane si fa apprezzare sia per la chiarezza che distingue i lavori dell'autore sia per la quantità di informazioni fornite riguardo alla storia e alle tendenze della ricerca su Gesù sia, non ultimo, per la novità della prospettiva adottata. Il titolo, La memoria di Gesù, mostra quale sia l'intento dell'opera: giungere a un'immagine chiara della tradizione di Gesù nella convinzione che gli evangelisti sinottici miravano a preservare la memoria di Gesù e a presentarla in modo che sia sempre possibile l'incontro con il Gesù nato in Galilea. In quest'ottica le tradizioni riguardanti Gesù sono esaminate in quanto tradizione orale, e gli aspetti di questa tradizione sono presentati per le caratteristiche loro proprie. Il primo tomo del volume primo si compone di due grandi parti dedicate al significato del Gesù storico per la fede e alle fonti scritte e orali che consentono di ricostruire il contesto in cui ebbe a operare il Gesù della storia.
Nella storia delle religioni dell'umanità, non c'è figura di fondatore religioso che possa vantare l'importanza e la resistenza al tempo e alle civiltà che ha avuto e ha Mosè, oggi venerato nelle tre grandi religioni monoteistiche ebraismo, cristianesimo e islam. Ma il Mosè della storia chi era? Come è possibile spiegarne gli effetti storici, religiosi e politici? A queste domande cerca di dare risposta il dialogo che qui si pubblica tra storici (Manfred Görg), egittologi (Jan Assmann) e studiosi della Bibbia ebraica (Georg Fischer ed Eckart Otto), nel tentativo di giungere a una immagine di Mosè che ne preservi e metta in luce i tratti di artefice di una liberazione che è religiosa non meno di quanto sia politica, e di fondatore di un monoteismo che è fattore d'identità e al tempo stesso garanzia dei diritti dell'altro e dello straniero.
Nella storia della chiesa la memoria delle comunità delle origini ha sempre funto di volta in volta da modello, da esempio, da ideale, talora anche da mito: in particolare in periodi critici, la possibilità di un ritorno all'antico e alle origini si ripropone con vigore sempre nuovo. Il saggio di Pier Cesare Bori colma una lacuna nella storia della ricerca, affrontando sistematicamente il tema del modello della chiesa primitiva nell'antichità cristiana, della maggiore o minore normatività dell'immagine della chiesa delle origini nella coscienza della chiesa antica. Al centro di quest'opera sta la questione di come e in quale misura tra il terzo e il quinto secolo sia l'Oriente sia l'Occidente abbiano concepito la chiesa del Nuovo Testamento come esemplare e normativa, e di come e in quale misura, pur nella certezza della continuità, in quei secoli si sia percepita una sorta di distanza dalle origini, non solo nel tempo ma anche nella qualità dell'esistenza religiosa.
La Regola della Comunità è una delle opere più significative del corpus qumranico. Nelle undici colonne di cui si compone, questo testo esprime una teologia complessa e profonda e insieme offre squarci di vita della comunità di Qumran. La Regola è strutturata in parti facilmente individuabili, di autori e tempi diversi, e si conclude con un inno che con la sua ascesi a Dio sembra essere il punto d'arrivo della vita spirituale della comunità. Nella sua edizione della Regola della Comunità Paolo Sacchi si interessa alla comprensione generale del pensiero dell'opera nel contesto della storia del pensiero ebraico dei due secoli precristiani. La traduzione mira a rendere il pensiero antico per mezzo di termini meno lontani dal lessico comune, nel tentativo di poter così risultare più vicina al testo originale e al tempo stesso più chiara per il lettore odierno.
Dalla scoperta dei manoscritti del Mar Morto il problema delle attese messianiche della comunità di Qumran non ha cessato di calamitare l'interesse generale. Troppo spesso, tuttavia, ci si è lasciati prendere da una prospettiva fuorviante: l'affannoso desiderio di rintracciare negli scritti messianici di Qumran le origini del messianismo cristiano. Abbandonata quest'ottica, il saggio di Ludwig Monti riporta la questione nel contesto che le è proprio, tentando di dipanare le concezioni messianiche qumraniche lungo i due secoli dell'esistenza della comunità del Mar Morto. Si scopre così che accanto all'attesa di figure messianiche individuali i qumranici nutrivano una speranza di carattere collettivo, imperniata sulla comunità in quanto soggetto messianico che si pensava alla fine della storia: servendosi della comunità messianica qumranica Dio avrebbe fatto irruzione nella storia affrettando il compimento del tempo. Sono gli anni in cui Gesù di Nazaret va dicendo ai suoi discepoli: "Vi sono alcuni tra voi che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza".
Fino a tempi recenti la Galilea è stata considerata sullo sfondo del modello delle origini cristiane, interessato a spiegare il distacco del "cristianesimo" dal "giudaismo". Secondo questo modello, in quanto luogo delle origini e del ministero di Gesù la Galilea è lo sfondo della prima tappa della vicenda di Gesù. Soltanto da poco si è giunti a riconoscere che l'immagine della Galilea, e in generale del giudaismo antico, è stata fin qui elaborata all'interno di un paradigma storico molto discutibile. Il primo passo verso una seria ricerca storica sulla Galilea antica è quindi di cogliere le caratteristiche principali del paradigma dominante secondo cui nella ricerca europea e americana si sono concepiti il "giudaismo", con i suoi farisei e le sue sinagoghe, e Gesù e i suoi seguaci, fondatori del "cristianesimo". Lo studio di R.A. Horsley da una parte ricostruisce la storia della ricerca che ha condotto a molti luoghi comuni su una Galilea culla di grandi religioni, dall'altra ne ripercorre la storia sociale e culturale oltre che politica così da giungere a un'immagine più veritiera della Galilea come terra di frontiera.
Quale forma ebbero materialmente i primi scritti cristiani? come e da chi venivano trascritti? per quali vie un testo era pubblicato e raggiungeva i lettori? in che modo questi libri venivano riprodotti e messi in circolazione? con quale rapidità e quale diffusione erano accessibili alle comunità cristiane? chi erano i promotori e i custodi di questi testi? come venivano trasportati, conservati, raccolti e utilizzati? chi li poteva leggere ed effettivamente li leggeva, in quali circostanze e a quali scopi? Se intento di H.Y. Gamble è di rispondere a simili domande, il risultato è una ricostruzione dei primi libri cristiani. Questo saggio si muove tra letteratura classica e letteratura cristiana antica, tra la storia sociale, della teologia e delle istituzioni delle prime chiese cristiane e la paleografia, la critica testuale e la codicologia, fornendo un'immagine per molti versi inedita delle pratiche librarie dei cristiani delle prime generazioni, illustrate nelle loro affinità e peculiarità rispetto alla cultura giudaica e a quella greca e romana.
Il quarto libro dei Maccabei è uno dei cosiddetti apocrifi dell'Antico Testamento che ha potuto salvarsi grazie alla raccolta della Bibbia greca dei Settanta, dove figura come ultimo dei libri storici. È uno scritto anonimo (anche se per secoli attribuito a Flavio Giuseppe), che apparentemente si distingue per i suoi obiettivi filosofici e che si presenta con una lingua interessante, non parlata ne praticata nelle scuole, ma composita e artefatta, con gran sfoggio di neologismi, dalla quale traspare un'assidua frequentazione della letteratura classica greca. Il commento linguistico e filologico di Giuseppe Scarpat mira a illustrare le peculiarità di una lingua tanto singolare ed è preceduto da una corposa introduzione in cui si affrontano le questioni della paternità e della datazione dell'opera, oltre che dei motivi intorno ai quali l'autore sviluppa la propria argomentazione con la vicenda dei martiri Maccabei. Apre il volume una nota storica di Giulio Firpo in cui si forniscono le coordinate storiche dei tempi e della temperie politica e culturale degli eventi narrati nel quarto libro dei Maccabei.