
Quando dalle acque tranquille di un lago del Québec affiora un involucro di plastica cono tenente resti umani, il compito di identificarli spetta a Temperance Brennan. Un lavoro di routine, per la brillante antropologa forense. Ma l’immagine di quel corpo tumefatto la inseguirà per giorni, per chilometri. L’uomo, ritrovato con indosso reggiseno e slip rosa, è morto per asfissia associata ad attività autoerotica: peccato che John Charles Lowery risulti essere già morto nel lontano 1968, mentre prestava servizio nell’inferno del Vietnam. Dove la sua passione per i ragni gli era valsa il soprannome di Spider. A chi appartengono, allora, le spoglie restituite quarant’anni prima alla famiglia Lowery e sepolte nel North Carolina? L’indagine sulle ossa senza nome porta Tempe da Montréal alle bianche spiagge delle Hawaii, dove ha sede il JPAC, l’ente responsabile dell’identificazione dei cittadini americani morti in guerra. Nei laboratori hawaiiani la vera storia di Lowery assume i contorni di uno scandalo che rischia di infangare per sempre la sua reputazione di soldato e di uomo. E di portare alla luce una trama segreta di sparizioni e identità violate che ancora oggi qualcuno è disposto a coprire a prezzo del sangue. Kathy Reichs si conferma regina della suspense con un thriller perfetto, dove ogni pagina scorre al ritmo febbrile della paura.
La mia mente s’interroga sul senso dell’uomo.
Su questi temi occorre soltanto fare silenzio
interrompendo anche lo scorrere delle parole che,
di fronte al mistero, sono inutile rumore.
Vittorino Andreoli
Dal silenzioso nulla, secondo il testo biblico, Dio creò il cosmo: un sistema in equilibrio, nel quale regnava l’armonia. Poi plasmò l’uomo che, a immagine e somiglianza di Dio, rimodellò il creato rendendolo un insieme di rumori, smog, movimento caotico e disordine: quel “mondo civilizzato” che sempre più schiaccia la natura. Ma se qualcuno si ribellasse a tutto ciò? Un uomo incapace di sopportare gli orrori della civiltà, che sogna di allontanarsi dai suoi simili per immergersi nel silenzio, è convito che esistano ancora frammenti di Eden che possono salvare il genere umano. Si mette così alla ricerca di una terra vergine, anteriore alla nascita di ogni cosa, dove la natura domini ancora incontaminata. Il luogo ideale per una seconda genesi, in cui la mano umana possa ripetere l’opera divina e tutto venga nuovamente alla luce in sette giorni, restituito alla perfezione originale. In questa sorprendente prova letteraria, Vittorino Andreoli ci fa riscoprire l’avventura della creazione vista e interpretata nella contemporaneità: una rinascita di ogni cosa che è prima di tutto la rifondazione di noi stessi.
A Vigata c’è un agitatore di folle che di nome fa Michele Sparacino. Quando scopre che l’orologio del municipio va avanti di dieci minuti aizza i lavoratori delle cave di zolfo contro i padroni che fanno i furbi e innesca uno sciopero generale che unisce panettieri e netturbini, maestri elementari e impiegati comunali. Ma questo Michele Sparacino non esiste davvero. È il risultato della fantasia di Liborio Sparuto, un giornalista pigro e bugiardo che, per spiegare ai lettori i fatti che sconvolgono Vigata, non trova di meglio che inventarsi questa imprendibile figura di fuorilegge. E però c’è anche un Michele Sparacino in carne e ossa, nato «alla mezzanotti spaccata tra il tri e il quattro di ghinnaro» del 1898. Puntualmente nel posto sbagliato al momento sbagliato, il poveretto passa la vita a scontare sulla propria pelle le bugie di Sparuto, schivando gli atroci scherzi del destino che lo porteranno fino a Caporetto, sempre inviso a commilitoni e comandanti. Andrea Camilleri infilza il suo personaggio con gli spilli di una crudele ironia e ci regala una storia troppo amara per essere vera ma troppo verosimile per non diventare lo specchio di una certa Italia. Un colloquio inedito tra Andrea Camilleri e Francesco Piccolo completa questo fulmineo capolavoro rivelando alcuni trucchi del mestiere di uno degli scrittori italiani più amati.
Atleti, intellettuali e spie:
sul palcoscenico di una Roma torrida e romantica
rivivono gli indimenticabili protagonisti
di giochi olimpici entrati nella leggenda
e del grande gioco
della politica internazionale.
“Maraniss racconta con la precisione di uno storico
e lo stile avvincente di un romanziere.
Roma 1960 si popola così di personaggi strani
e di storie segrete o dimenticate.”
– La Repubblica
“Chi ama lo sport e la politica
deve avere questo libro.”
– International Herald Tribune
“Roma, nel 1960, fu spazzata dalle Olimpiadi come da una ventata di freschezza.” In una città che cerca di scrollarsi di dosso le pesanti eredità del fascismo, già immersa nella Dolce Vita e nel boom economico, approdano dai quattro angoli della Terra le delegazioni sportive di quelle che passeranno alla storia come le prime Olimpiadi dal dopoguerra a tornare ai fasti del passato, ma nel contempo le ultime dell’era romantica, ispirate ancora a una concezione aristocratica e “non professionista” dei Giochi. In questo periodo cominciano infatti a emergere nuove forze destinate a mutare profondamente lo sport in generale: gli sponsor, le tecnologie, il doping. “Eravamo galletti ruspanti e non bronzi di Riace” ricorda Livio Berruti, oro nei 200 metri, “ora anche il più sano ha bisogno di supporti medici specializzati.” E le prime Olimpiadi in mondovisione sono anche il palcoscenico di un equilibrio politico mondiale in rapida evoluzione, con Usa e Urss al centro di una sfida a suon di medaglie e di propaganda, un altro volto di quella Guerra fredda che nel giro di due anni porterà alla crisi dei missili. Roma 1960 intreccia le cronache mozzafiato e le personalità eccezionali di quei diciotto giorni a scenari politici e questioni sociali che avrebbero segnato i decenni successivi, ricostruendo il ritratto collettivo di un’Italia perduta, popolata per un’intensa stagione da personaggi entrati nel mito. La medaglia gettata da Cassius Clay; la riscossa degli atleti delle ex colonie di cui Abebe Bikila, il “corridore scalzo” etiope, diventa il simbolo; le leggendarie Tigerbelles, afroamericane che sfidano, vincendo, i pregiudizi maschilisti e razziali del pianeta intero. Senza dimenticare le gesta meno confessabili degli ambigui personaggi che nell’ombra inseguivano il potere o il denaro, ben consapevoli che quel “semplice” evento sportivo stava scrivendo una pagina fondamentale nella storia del secolo breve.
“Chi volesse sapere come sarebbe stata l’Italia di Walter Veltroni può
leggere questo libro, il suo più bello, dove gli riesce in forma di romanzo
l’impresa fallita in tanti anni dalla politica della sinistra: comunicare l’idea
e l’emozione di quello che l’Italia è stata e potrebbe essere.”
— Curzio Maltese
1943: il quattordicenne Giovanni fissa sull’album da disegno gli ultimi giorni del fascismo, Roma bombardata il 19 luglio, la deportazione degli ebrei il 16 ottobre. 1963: Andrea, tredici anni, attraversa col padre, su un Maggiolino decappottabile, l’Italia del boom. 1980: l’undicenne Luca registra sulle cassette del suo mangianastri l’anno terribile del terremoto in Irpinia, del terrorismo, dell’assassinio di John Lennon. 2025: l’adolescente Nina vuole costruire la sua vita preservando le esperienze uniche e irripetibili di coloro che l’hanno preceduta. Quattro generazioni della stessa famiglia, quattro ragazzi colti ciascuno in un punto di svolta (l’esperienza della morte e della distruzione, la malattia di una madre perduta e ritrovata, il tradimento degli affetti, la rivelazione dell’amore) che coincide con momenti decisivi della recente storia italiana, o si proietta in un futuro di inquietudini e speranze. Il romanzo di Walter Veltroni intreccia voci, ricordi, eventi, oggetti-simbolo, canzoni, film e sentimenti che vengono da giorni e luoghi perduti, eppure così familiari. Forse perché quelle voci siamo Noi.
Abbiamo individuato un’organizzazione criminale costituita per lo smaltimento illecito di rifiuti radioattivi e altre sostanze nocive atte ad attentare all’incolumità dell’intera popolazione mondiale.
Antonino Greco
capo del Nucleo operativo provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria
Al largo delle coste italiane, davanti a spiagge affollate di bagnanti e in tratti battuti quotidianamente dai pescherecci, giacciono navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, affondate dalla mafia. I primi sospetti risalgono al 1994, ma è con le rivelazioni, dieci anni dopo, del boss pentito della ’ndrangheta Francesco Fonti che la questione esplode. Fonti indica infatti la zona davanti a Cetraro, lungo la costa tirrenica della Calabria, dove da anni si registrano valori allarmanti nelle incidenze di alcuni tumori, come un sito di affondamenti criminali. Le indagini partono, ma subito la notizia viene smentita anche da alte cariche dello Stato. L’ennesimo caso montato da media irresponsabili? Riccardo Bocca, che dal 2004 si espone denunciando i lati oscuri di questa vicenda, dimostra definitivamente in questo libro che non si tratta di un’ipotesi assurda: le navi ci sono e sono tante. Un sistema clandestino di smaltimento dei rifiuti al quale partecipano cosche, aziende, armatori, Servizi segreti. Chi cerca la verità viene depistato, fermato per vie ufficiali o, come il capitano Natale De Grazia, muore misteriosamente. Intanto nuovi documenti – pubblicati qui per la prima volta – mostrano che il governo italiano ha pagato il pentito Fonti, per collaborazioni segrete. Un’inchiesta forte, per non permettere che un grande disastro internazionale venga insabbiato.
Riccardo Bocca (Milano 1964) è giornalista dell’“Espresso”, incaricato delle inchieste e dei servizi speciali per la redazione attualità. I suoi ultimi libri sono Tutta un’altra strage (BUR Futuropassato 2007) e Gli anni feroci (Rizzoli 2009).
Maeve Brennan (1917-1993), nata a Dublino, ha vissuto fin dall’adolescenza negli Stati Uniti. Bellissima e inquieta, ha pubblicato sul “New Yorker” racconti tra i più ammirati della sua epoca, prima di perdersi in anni di solitudine e depressione. BUR ha pubblicato La visitatrice (2005) e Il principio dell’amore (2006).
Al posto del sipario,
la copertina.
Al posto del palcoscenico,
le pagine.
Al posto degli attori,
la vostra fantasia.
Solo shakespeare
resta shakespeare.
Anche quando
diventa un racconto.
Karol Wojtyla dall'età di ventisei anni viveva delle autentiche esperienze mistiche. È questa una delle notizie che il libro di Antonio Socci offre, con testimonianze di prima mano, sull'uomo che più ha impressionato e commosso la nostra generazione. La natura di queste esperienze e le "rivelazioni" soprannaturali che egli custodiva spiegano anche i suoi gesti profetici? E illuminano il suo giudizio sul carattere "apocalittico" dei nostri anni? Giovanni Paolo II è il primo slavo sulla Cattedra di Pietro, primo straniero da 500 anni, uno dei papi più giovani per uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa, un Papa proveniente da un Paese dell'Est, il Papa che ha abbattuto i sistemi totalitari del blocco comunista, cambiando la storia del mondo, il Papa che ha portato la Chiesa nel terzo millennio e che, con la sua personalità, ha ridato forza al Papato suscitando lo stupore e l'ammirazione di tanti popoli, insieme all'odio di chi ha cercato di assassinarlo sul luogo stesso del martirio di San Pietro. Ma il suo è anche un pontificato misteriosamente annunciato e accompagnato da una serie stupefacente di profezie, di mistici, di avvenimenti soprannaturali e di manifestazioni della Madonna. Perché? Tanti segni e messaggi concordano nell'indicare il nostro tempo come lo scenario di drammatiche prove. Cosa sapeva Karol Wojtyla? E vero che lui stesso è riuscito a scongiurare un'immane tragedia che minacciava l'umanità? E come?
I fuggiaschi avanzavano sempre
di notte, nel gelo, per paura dei posti
di blocco cinesi. L’unica luce sul loro
cammino erano le stelle, oppure,
poco prima dell’alba, ma solo allora,
la luna nuova. Le montagne colossali
si stagliavano nere contro un cielo
scuro, solo qua e là si indovinavano
chiazze di neve, pareti rocciose
e brandelli di nubi.
“Quando l’uccello di ferro solcherà i cieli e i cavalli avanzeranno su ruote, il popolo dei tibetani si spargerà per il mondo come le formiche, e la dottrina del Buddha raggiungerà la terra degli uomini rossi”: quest’antica profezia risuona finalmente chiara quando la Cina invade il Tibet e tenta di sradicarne la cultura secolare. Mola e il marito Tsering, entrambi monaci, non possono accettare la violenta repressione dei culti che praticano da sempre e sfidano in pieno inverno le nevi dell’Himalaya per raggiungere il Dalai Lama nel suo esilio indiano. Poco cibo sulle spalle, abiti leggeri e due bambine al seguito — una delle quali muore nella fuga — è tutto quello che hanno con sé. Ad accoglierli, un Paese in fermento, poverissimo, che riserva loro solo miseria e lavori pesanti per sopravvivere. E infine il trasferimento in Svizzera, la promessa di una vita nuova e la timida scoperta del mondo occidentale. Yangzom Brauen, ultima erede di questo viaggio, ripercorre l’epopea della sua famiglia attraverso la vita di due donne: la nonna Mola, monaca e madre dalle mille risorse, che ha conosciuto la morte da bambina, ha scelto la meditazione da ragazza e da allora è diventata la tenace depositaria di un antico buddismo popolare destinato a sparire con la sua generazione; e Sonam Dölma, sua figlia, che giovanissima abbandona la realtà che conosceva per seguire il futuro marito. Dai loro ricordi Yangzom ha imparato ad amare un Tibet ormai scomparso — quello delle capanne di frasche degli eremiti, delle lampade a burro, del fumo delle offerte che si innalza verso il cielo dai monasteri in alta quota — ma che si è impresso come una ferita aperta nella memoria di chi l’ha vissuto e nella coscienza di un popolo ancora in lotta per salvarlo.
Yangzom Brauen (1980) è un’attrice, modella e attivista pro Tibet. Figlia di una profuga tibetana e di un etnologo svizzero, è cresciuta a cavallo tra due culture, tra l’Europa e il retaggio buddista della sua famiglia. Oggi vive tra Los Angeles, New York, Berlino e Zurigo, lavorando nell’industria