
Una cosa è certa: viviamo in un Paese da sempre abituato agli eccessi. Alle nostre spalle abbiamo una Storia millenaria, fatta di personaggi geniali e sregolati, crudeli e compassionevoli, candidi e loschi. A quanto pare le vie di mezzo non ci sono mai riuscite bene. E anche il nostro presente ci ha abituati a ogni tipo di esagerazione: dalla Tv che ha fatto a pezzi la privacy a una politica che ha fatto del vizio privato una pubblica virtù. E forse questa tradizione di eccessi, nel bene e nel male, ci ha disabituati a un concetto molto semplice e forse proprio per questo difficile da afferrare: la normalità. Quella cosa per cui un treno arrivato in orario non è un evento da festeggiare, quel principio in base al quale un lavoro sicuro e giustamente retribuito non è un obiettivo irrealizzabile, quella abitudine a vedere in chi è diverso da noi un compagno di strada e non una minaccia. In queste pagine Biagi delinea il profilo di un’Italia inconsueta eppure così facile da immaginare, un’Italia che sa stare composta non solo a tavola, ma anche nella vita di ogni giorno. E lo fa citando esempi concreti di oggi e di ieri, come i tanti eroi senza nome che sotto i nostri occhi spesso indifferenti salvano vite umane (o le rallegrano) o i nomi illustri che nel tempo ci hanno insegnato a essere persone migliori. Con la consueta semplicità che l’ha reso celebre, Biagi ci spiega cosa dovremmo fare per guadagnarci quello che ci meritiamo: un Paese normale.
Enzo Biagi, giornalista e scrittore. Tra le sue opere, tradotte in tutti i principali Paesi del mondo, ricordiamo: Un anno una vita, La disfatta, “I” come italiani, L’albero dai fi ori bianchi, Il fatto, Lunga è la notte, Quante donne, La bella vita, Sogni perduti, Scusate, dimenticavo, Ma che tempi, Cara Italia, Racconto di un secolo, Odore di cipria, Come si dice amore, Giro del mondo, Dizionario del Novecento, Un giorno ancora, Addio a questi mondi, Cose loro & fatti nostri, Il Signor Fiat (nuova edizione 2003), La mia America, Lettera d’amore a una ragazza di una volta, L’Italia domanda (con qualche risposta), e insieme a Loris Mazzetti, Era ieri, Quello che non si doveva dire, Io c’ero e I quattordici mesi.
Salvatore Giannella, giornalista, ha diretto “Genius”, “L’Europeo”, “Airone” e ha curato le pagine di cultura di “Oggi” (2000-2007). Ha scritto libri e sceneggiato documentari per La Storia siamo noi.
“Il giorno più lungo”, come lo definì Rommel, sta per iniziare. Sono le ore 0.00 del 6 giugno 1944 e le truppe vengono allertate: è il D-Day, gli Alleati stanno per sbarcare in Normandia. L’obiettivo è la resa incondizionata della Germania nazista. Il contingente coinvolto è massiccio: 5000 navi e mezzi anfibi, 104 cacciatorpedinieri, 130.000 soldati che quella notte si avvicineranno via mare alla costa francese e 20.000 uomini paracadutati. Nonostante i dubbi di Churchill sull’invasione dell’Europa attraverso la Manica e l’arroganza del generale Montgomery, Eisenhower fuma nervoso mentre scrive, oltre all’annuncio della vittoria, una dichiarazione in cui si assume ogni responsabilità dell’operazione Overlord, che poteva rivelarsi un disastro. Cosa andò storto? Cosa rese la battaglia che salvò l’Europa un selvaggio spargimento di sangue? Lettere dal fronte, diari e memorie personali delle truppe alleate si intrecciano con la documentazione ufficiale della grande Storia, in questo libro che è la ricostruzione definitiva della battaglia sulla spiaggia di Omaha: Antony Beevor sa dare spazio alle voci autorevoli della storiografia, ma anche all’orrore del soldato atterrato incolume che assiste allo schianto di 18 uomini lanciati dall’aereo a quota talmente bassa da impedire ai loro paracadute di aprirsi. E dalla carneficina del 6 giugno alle teorie neonaziste di un complotto contro Hitler, ripercorre la storia di una campagna sanguinosa, durata tre mesi, che dal D-Day culmina nella liberazione di Parigi il 25 agosto 1944. Un resoconto crudo e incalzante di un evento bellico inciso a fuoco nella memoria collettiva d’Europa.
Antony Beevor ex ufficiale dell’esercito britannico, è romanziere e saggista specializzato in storia militare. I suoi libri sono stati tradotti in 29 Paesi. In Italia sono usciti per Rizzoli il bestseller internazionale Stalingrado (1998), Berlino 1945 (2002) e Creta. 1941-1945: la battaglia e la resistenza (2003), tutti disponibili in BUR.
Nel 1990, dimenticata tra polvere e incrostazioni presso una casa di gesuiti in Irlanda, viene riconosciuta la Cattura di Cristo, una tela del Caravaggio dispersa da secoli e nota solo attraverso alcune copie. Autore della scoperta è Sergio Benedetti, restauratore della National Gallery di Dublino che ha saputo unire i tasselli di una ricerca lunga e complicata, partita da Roma con le intuizioni del prestigioso storico dell’arte Denis Mahon e le ricerche d’archivio della giovane studiosa Francesca Cappelletti. Jonathan Harr ci racconta la storia di un ritrovamento fra i più importanti del Novecento, con grande talento narrativo ma senza scostarsi mai dalla precisa ricostruzione dei fatti; e ci fornisce anche il quadro della vita turbolenta di uno dei più grandi e controversi geni pittorici italiani, fino alla morte misteriosa e improvvisa e alla scomparsa di gran parte dei suoi lavori. Indizi, intuizioni, rivalità e colpi di scena degni di una detective story da un maestro della saggistica narrativa. Jonathan Harr, giornalista investigativo, vincitore di importanti premi negli Stati Uniti, è l’autore di Azione civile (Rizzoli 1997), da cui è stato tratto un film con John Travolta. Le sue inchieste sono uscite sul “New Yorker” e sul “New York Times Magazine”. Vive e lavora a Northampton, nel Massachusetts.
Jonathan Harr, giornalista investigativo, vincitore di importanti premi negli Stati Uniti, è l’autore di Azione civile (Rizzoli 1997), da cui è stato tratto un film con John Travolta. Le sue inchieste sono uscite sul “New Yorker” e sul “New York Times Magazine”. Vive e lavora a Northampton, nel Massachusetts.
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SAIGON E COSÌ SIA, dal titolo di un famoso articolo di Oriana Fallaci pubblicato da “L’Europeo” nel maggio 1975, raccoglie per la prima volta in volume i reportage dal Vietnam del Nord e dalla Cambogia (1969-1970), alcune celebri interviste ai protagonisti di quel conflitto e lo straordinario resoconto della caduta di Saigon. Come scrive Ferruccio de Bortoli nella Prefazione, “è l’ideale continuazione di Niente e così sia, un diario preciso, un racconto fedele. Che comincia con una delusione, cocente. Con la sensazione, dolorosa (quando Oriana sbarca ad Hanoi), che quel Paese avvolto in ‘un silenzio disumano’ fosse molto diverso dall’immagine eroica e antimperialista che ne aveva gran parte dell’Occidente, e che aveva sedotto anche lei”. Quest’opera molto attesa, alla cui preparazione la Fallaci aveva messo mano più volte, ancora nei mesi precedenti la sua scomparsa, completa l’eccezionale testimonianza della guerra nel Sud-Est asiatico. “Gli elementari diritti delle creature sono infranti sia a Saigon che ad Hanoi, da nessuna parte della barricata v’è la risposta alle nostre speranze.” È il governo comunista di Ho Chi Minh a invitare Oriana, nel 1969, dopo i reportage dal Vietnam del Sud pubblicati da “L’Europeo” e tradotti nel mondo intero. La Fallaci incontra il generale Giap, parla con le giovani donne impegnate nella difesa antiaerea, intervista due prigionieri americani. Così come nel Sud aveva condannato la politica estera della Casa Bianca, qui sarà la prima a esprimere posizioni critiche su un regime immobile, cupo, “chiuso a chiave in una muraglia ideologica”. Quando la guerra si sposta in Cambogia, dopo aver registrato i travagli dell’opinione pubblica negli Stati Uniti e gli inutili sforzi del processo di pace, Oriana raggiunge Phnom Penh per raccontare i Khmer rossi e il corrotto e astutissimo re Sihanouk. Infine, torna a Saigon per documentare l’avanzata di nordvietnamiti e vietcong: “… gli angeli vendicatori giungeranno tra poco, con la loro voce di gelo, i loro occhi di marmo, la loro spietata incorruttibilità, a dare una bella ripulita e a punire. È davvero la fine”. Pagine uniche che mantengono a distanza di anni e manterranno nel tempo la loro profonda umanità, parole che condannano ogni forma di guerra, rivelando una volta ancora il coraggio delle idee e la forza della verità.
Oriana Fallaci (1929-2006), fiorentina, è stata definita “uno degli autori più letti ed amati del mondo” dal rettore del Columbia College of Chicago che le ha conferito la laurea ad honorem in letteratura. Ha intervistato i grandi della Terra e come corrispondente di guerra ha seguito i conflitti più importanti del nostro tempo, dal Vietnam al Medio Oriente. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Nel 2008 Rizzoli ha pubblicato il suo romanzo postumo Un cappello pieno di ciliege (BUR 2009) e nel 2009 l’inedito Intervista con il Potere. Il piano di pubblicazione della nuova collana BUR delle Opere di Oriana Fallaci comprende le riedizioni di: I sette peccati di Hollywood (1958), Il sesso inutile (1961), Penelope alla guerra (1962), Gli antipatici (1963), Se il Sole muore (1965), Niente e così sia (1969), Quel giorno sulla Luna (1970), Inter vista con la storia (1974), Lettera a un bambino mai nato (1975) sia in volume sia nella forma dell’audio libro registrato nel 1993, Un uomo (1979), Insciallah (1990) e la Trilogia composta da La Rabbia e l’Orgoglio (2001), La Forza della Ragione (2004) e Oriana Fallaci intervista sé stessa — L’Apocalisse (2004). Ogni volume è presentato con una nuova Prefazione.
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Il diavolo è il padre della menzogna, ma i moderni hanno introdotto in quest’arte grandi innovazioni. Strumento di sopraffazione per i vincitori e ultimo appiglio per gli sconfitti, il falso dilaga in ogni momento di confusione sociale. Nasce così, secondo Swift, la figura del “bugiardo politico”, una specie di mentitore a sé, al quale basta essere creduto per un’ora: finita la beffa e ottenuto l’effetto, quando gli uomini arrivano a ricredersi, è ormai troppo tardi.
Le pupille di Sandrino diventano laser.
«Non c’è mai stato nessuno, e mai ce ne
sarà un altro, come il Coppi. Se vuoi ti
racconto la sua storia. Io la so tutta. Non
c’è giorno che non la ripassi. Ho paura di
scordare i dettagli. Non voglio dimenticare
niente. Da quando è morto, e sono ormai
cinquant’anni, ho incominciato a morire
un po’ anch’io. Sono nato per fare sacrifici,
quei ricordi per me sono tutto.»
Ci sono incontri casuali che ti trascinano in un altro mondo. È quello che accade ad Antonio e Andrea, padre separato e figlio alle soglie dell’adolescenza, un sabato qualunque, mentre vanno in visita all’anziana nonna nell’Alessandrino. Entrando in un bar anonimo, Antonio rimane colpito da un omone in canottiera blu e pantaloncini, solo un po’ ricurvo per l’età avanzata. È come se l’avesse già visto in tanti anni passati a fare il giornalista sportivo. Ma certo: è Sandro Torino, grande gregario di Fausto Coppi, anche lui di quelle colline. Basta un breve scambio di battute per capire che è un’occasione irripetibile per tutti: per il vecchio gregario di regalare a due menti entusiaste la storia preziosa di un’amicizia lunga una vita, per Antonio e, specialmente, per Andrea di immergersi nel mito più emozionante del ciclismo. In una serie di incontri sulle sedie di plastica del bar, fra spuma nera e calici di bianco, Sandro evoca l’epopea di Coppi, dalla prima bici — la Trifusì — al Giro del ’40 vinto quando ancora era gregario di Bartali, dalla leggendaria Milano-Sanremo del ’46, in cui staccò inesorabilmente tutti, agli anni mirabili 1949 e 1952 delle doppiette Giro e Tour, alla romantica, scandalosa follia della Dama Bianca… E dalle belle storie d’un tempo nascono altre belle storie d’oggi che parlano di poesie nascoste sotto un sellino, di un amore che sboccia, di corridori-ragazzini e di alberi felici.
“Ripensandoci, fin da bambina avrei
dovuto capire che Enzo Biagi non era
un padre tradizionale.”
Il 6 novembre 2007 una folla si raccoglie in un cortile di via Quadronno a Milano: davanti alla camera ardente di Enzo Biagi parenti e amici sono attorniati da centinaia di persone, venute a porgere l’ultimo saluto a uno dei più grandi giornalisti del Novecento. In quel momento le sorelle Biagi si accorgono di far parte di una famiglia molto più grande, e iniziano un giro dell’Italia – tra tributi di gratitudine, celebrazioni e inaugurazioni – che l’autrice racconta in questo diario, con pagine limpide, accorate, ironiche e lievi. Incontrando con la sorella gli amici del padre, i suoi colleghi di ieri e i giovani di oggi che si ispirano a lui, riaffiorano alla memoria i ricordi d’infanzia, la cura premurosa di un papà “precursore dei tempi”. In viaggio con mio padre è il ritratto inedito di un uomo che per oltre mezzo secolo di lavoro ha considerato il giornalismo come un servizio che si rende al Paese e che ha lasciato in eredità alle sue figlie una passione smisurata per la libertà.
Come si accende un’intuizione?
Che cos’è la devozione distaccata? E il flusso?
In che famiglie nascono le persone creative?
Più talento, più curiosità o più tenacia?
Che rapporto c’è tra creatività e follia?
Il cervello creativo pesa di più?
Come si evitano le trappole del pensiero?
È più creativo un polpo o una gallina?
Un computer può fare una scoperta scientifica?
Le menti creative vanno bene a scuola?
Che cosa muove la creatività?
La si può misurare?
E definire?
Scienza, arte o impresa?
Introversione, apertura o humour?
Caso, caos o competenza?
“Nuovo e utile”, in che senso?
Creativi si nasce o si diventa?
Spiegare la creatività è, prima ancora che impossibile, insensato: non esiste niente di più inafferrabile. C’è la creatività dei geni, che cambia il mondo, e c’è quella quotidiana, che ci illumina la vita. Quella degli animali. Quella degli imprenditori e quella delle donne. Quella dei vecchi, dei folli, dei bambini. E c’è la creatività propria del linguaggio. Ma una ricetta – univoca, coerente, oggettiva – per definirla, riprodurla, governarla non esiste. La creatività è un’intuizione che si accende al di là della consapevolezza, ma se non si accompagna alla conoscenza, alla competenza, alla fatica, resta un barlume senza esito. La creatività non è solo talento ma anche allenamento, non è solo natura ma anche cultura. E deve produrre qualcosa di utile, oltre che di nuovo, per la collettività. Questo libro non promette di rendere più creativi i suoi lettori, ma offre una visione al volo del territorio vasto che chiamiamo “creatività”. Un volo che, scoprendo tracce, coordinate, percorsi, ci aiuta a riconoscerla, a rispettarla e a coltivarla. E che, connettendo punti luminosi, ricostruisce una trama fatta di mille trame: quella che, nella mente umana, unisce illuminazioni fino a configurare un concetto nuovo, e quella che a sua volta lo lega a chi l’ha pensato e alla sua storia personale. Quella che salda l’individuo al suo tempo e alla società in cui vive. E che, confrontando le visioni di scienziati, artisti, economisti, forma il disegno scintillante che chiamiamo progresso. Questo libro non pretende di cambiare le cose ma prova a dare qualche strumento per immaginare piccoli e grandi cambiamenti. In un’epoca, come la nostra, di passioni tristi, forse è il momento giusto perché ognuno diventi responsabile della creatività che ha in sé e, disegnando la trama dei propri pensieri, delle scelte e delle azioni, contribuisca alla trama mutevole che lo unisce a tutto il resto. E, poco o tanto, la modifichi, rendendola più luminosa.
Le scosse di terremoto che continuano a scuotere l’Abruzzo non sono tali da preoccupare, ma purtroppo, a causa di imbecilli che si divertono a diffondere notizie false, siamo costretti a mobilitare la comunità scientifica per rassicurare i cittadini.
Guido Bertolaso
31 marzo 2009 (sei giorni prima del sisma)
La Protezione civile, nata per proteggere gli italiani in situazioni di emergenza, è stata svuotata di ogni reale funzione, diventando un calderone di interessi finanziari che costa agli italiani due miliardi di euro all’anno. È il cosiddetto “modello Bertolaso”: la gestione dei grandi eventi assimilata a quella delle crisi, il disprezzo totale per leggi e norme comunitarie, il budget illimitato e incontrollabile, il rapporto esclusivo con Berlusconi e Letta e prima ancora Prodi e Rutelli, la tentata trasformazione in Spa. Il risultato di un simile scempio è sotto gli occhi di tutti: un “sistema gelatinoso”, come è stato definito dai magistrati, fatto di imprenditori disonesti, appalti truccati e tangenti sessuali, che non solo non riesce a far fronte alle catastrofi, ma lucra su di esse arrivando perfino a festeggiare la notizia del terremoto abruzzese. Grazie all’acquisizione di documenti riservati e ai colloqui con funzionari e operatori, Piero Messina racconta dalle origini fino alle ultime inchieste la storia scandalosa di una macchina mai all’altezza degli eventi, ma sempre puntuale alla spartizione dei soldi.
Centotredici parlamentari con doppi, tripli e quadrupli
incarichi, un politico alla presidenza di una
banca che finanzia i suoi amici, funzionari pubblici e imprenditori
con mogli e figli soci in affari, l’assessore alla
sanità che vende apparecchiature mediche agli ospedali,
il capo di una compagnia statale che diventa presidente
della società privata di cui è cliente, avvocati di destra e
di sinistra che litigano in tribunale ma poi in parlamento
fanno le leggi insieme, il figlio del ministro che apre una
ditta nel settore controllato dal ministero di papà…
Un'inchiesta senza peli
sulla lingua nel paese dove
il confine fra l'interesse
di tutti e gli affari di
pochi ormai non esiste più.
Lo scandalo che ha coinvolto i vertici della Protezione civile ha acceso i riflettori su un gruppo di affaristi, imprenditori, magistrati, funzionari e familiari di una compagnia male assortita, che gestiva appalti pubblici in un micidiale coacervo di conflitti d’interesse. Un intreccio sfrontato, portato avanti con la consapevolezza dell’impunità. Perché in Italia, quando si nomina il conflitto d’interessi il pensiero corre subito a Silvio Berlusconi, al suo strapotere televisivo, alle leggi ad personam, ma il Cavaliere è solo l’ultimo erede di un sistema consolidato, che comprende tutti: politici, professionisti, manager, sportivi, giornalisti. I casi si sprecano: magistrati che si arricchiscono con gli arbitrati, rettori universitari che amministrano gli atenei come beni di famiglia, imprenditori finanziati da banche di cui sono azionisti, società di brokeraggio presiedute dai loro clienti, medici che diventano strumento per aumentare i profitti delle case farmaceutiche, deputati e senatori che piegano con destrezza le leggi ai loro disegni. Per farsi la pensione d’oro, sistemare una fabbrica, assumere qualche amico, basta un provvedimento ad hoc… Nella giungla di enti, ministeri, aziende statali e parastatali e ordini professionali si annida una classe dirigente abituata a usare il Paese per fare gli affari propri.