“Ripensandoci, fin da bambina avrei
dovuto capire che Enzo Biagi non era
un padre tradizionale.”
Il 6 novembre 2007 una folla si raccoglie in un cortile di via Quadronno a Milano: davanti alla camera ardente di Enzo Biagi parenti e amici sono attorniati da centinaia di persone, venute a porgere l’ultimo saluto a uno dei più grandi giornalisti del Novecento. In quel momento le sorelle Biagi si accorgono di far parte di una famiglia molto più grande, e iniziano un giro dell’Italia – tra tributi di gratitudine, celebrazioni e inaugurazioni – che l’autrice racconta in questo diario, con pagine limpide, accorate, ironiche e lievi. Incontrando con la sorella gli amici del padre, i suoi colleghi di ieri e i giovani di oggi che si ispirano a lui, riaffiorano alla memoria i ricordi d’infanzia, la cura premurosa di un papà “precursore dei tempi”. In viaggio con mio padre è il ritratto inedito di un uomo che per oltre mezzo secolo di lavoro ha considerato il giornalismo come un servizio che si rende al Paese e che ha lasciato in eredità alle sue figlie una passione smisurata per la libertà.
Come si accende un’intuizione?
Che cos’è la devozione distaccata? E il flusso?
In che famiglie nascono le persone creative?
Più talento, più curiosità o più tenacia?
Che rapporto c’è tra creatività e follia?
Il cervello creativo pesa di più?
Come si evitano le trappole del pensiero?
È più creativo un polpo o una gallina?
Un computer può fare una scoperta scientifica?
Le menti creative vanno bene a scuola?
Che cosa muove la creatività?
La si può misurare?
E definire?
Scienza, arte o impresa?
Introversione, apertura o humour?
Caso, caos o competenza?
“Nuovo e utile”, in che senso?
Creativi si nasce o si diventa?
Spiegare la creatività è, prima ancora che impossibile, insensato: non esiste niente di più inafferrabile. C’è la creatività dei geni, che cambia il mondo, e c’è quella quotidiana, che ci illumina la vita. Quella degli animali. Quella degli imprenditori e quella delle donne. Quella dei vecchi, dei folli, dei bambini. E c’è la creatività propria del linguaggio. Ma una ricetta – univoca, coerente, oggettiva – per definirla, riprodurla, governarla non esiste. La creatività è un’intuizione che si accende al di là della consapevolezza, ma se non si accompagna alla conoscenza, alla competenza, alla fatica, resta un barlume senza esito. La creatività non è solo talento ma anche allenamento, non è solo natura ma anche cultura. E deve produrre qualcosa di utile, oltre che di nuovo, per la collettività. Questo libro non promette di rendere più creativi i suoi lettori, ma offre una visione al volo del territorio vasto che chiamiamo “creatività”. Un volo che, scoprendo tracce, coordinate, percorsi, ci aiuta a riconoscerla, a rispettarla e a coltivarla. E che, connettendo punti luminosi, ricostruisce una trama fatta di mille trame: quella che, nella mente umana, unisce illuminazioni fino a configurare un concetto nuovo, e quella che a sua volta lo lega a chi l’ha pensato e alla sua storia personale. Quella che salda l’individuo al suo tempo e alla società in cui vive. E che, confrontando le visioni di scienziati, artisti, economisti, forma il disegno scintillante che chiamiamo progresso. Questo libro non pretende di cambiare le cose ma prova a dare qualche strumento per immaginare piccoli e grandi cambiamenti. In un’epoca, come la nostra, di passioni tristi, forse è il momento giusto perché ognuno diventi responsabile della creatività che ha in sé e, disegnando la trama dei propri pensieri, delle scelte e delle azioni, contribuisca alla trama mutevole che lo unisce a tutto il resto. E, poco o tanto, la modifichi, rendendola più luminosa.
Le scosse di terremoto che continuano a scuotere l’Abruzzo non sono tali da preoccupare, ma purtroppo, a causa di imbecilli che si divertono a diffondere notizie false, siamo costretti a mobilitare la comunità scientifica per rassicurare i cittadini.
Guido Bertolaso
31 marzo 2009 (sei giorni prima del sisma)
La Protezione civile, nata per proteggere gli italiani in situazioni di emergenza, è stata svuotata di ogni reale funzione, diventando un calderone di interessi finanziari che costa agli italiani due miliardi di euro all’anno. È il cosiddetto “modello Bertolaso”: la gestione dei grandi eventi assimilata a quella delle crisi, il disprezzo totale per leggi e norme comunitarie, il budget illimitato e incontrollabile, il rapporto esclusivo con Berlusconi e Letta e prima ancora Prodi e Rutelli, la tentata trasformazione in Spa. Il risultato di un simile scempio è sotto gli occhi di tutti: un “sistema gelatinoso”, come è stato definito dai magistrati, fatto di imprenditori disonesti, appalti truccati e tangenti sessuali, che non solo non riesce a far fronte alle catastrofi, ma lucra su di esse arrivando perfino a festeggiare la notizia del terremoto abruzzese. Grazie all’acquisizione di documenti riservati e ai colloqui con funzionari e operatori, Piero Messina racconta dalle origini fino alle ultime inchieste la storia scandalosa di una macchina mai all’altezza degli eventi, ma sempre puntuale alla spartizione dei soldi.
Centotredici parlamentari con doppi, tripli e quadrupli
incarichi, un politico alla presidenza di una
banca che finanzia i suoi amici, funzionari pubblici e imprenditori
con mogli e figli soci in affari, l’assessore alla
sanità che vende apparecchiature mediche agli ospedali,
il capo di una compagnia statale che diventa presidente
della società privata di cui è cliente, avvocati di destra e
di sinistra che litigano in tribunale ma poi in parlamento
fanno le leggi insieme, il figlio del ministro che apre una
ditta nel settore controllato dal ministero di papà…
Un'inchiesta senza peli
sulla lingua nel paese dove
il confine fra l'interesse
di tutti e gli affari di
pochi ormai non esiste più.
Lo scandalo che ha coinvolto i vertici della Protezione civile ha acceso i riflettori su un gruppo di affaristi, imprenditori, magistrati, funzionari e familiari di una compagnia male assortita, che gestiva appalti pubblici in un micidiale coacervo di conflitti d’interesse. Un intreccio sfrontato, portato avanti con la consapevolezza dell’impunità. Perché in Italia, quando si nomina il conflitto d’interessi il pensiero corre subito a Silvio Berlusconi, al suo strapotere televisivo, alle leggi ad personam, ma il Cavaliere è solo l’ultimo erede di un sistema consolidato, che comprende tutti: politici, professionisti, manager, sportivi, giornalisti. I casi si sprecano: magistrati che si arricchiscono con gli arbitrati, rettori universitari che amministrano gli atenei come beni di famiglia, imprenditori finanziati da banche di cui sono azionisti, società di brokeraggio presiedute dai loro clienti, medici che diventano strumento per aumentare i profitti delle case farmaceutiche, deputati e senatori che piegano con destrezza le leggi ai loro disegni. Per farsi la pensione d’oro, sistemare una fabbrica, assumere qualche amico, basta un provvedimento ad hoc… Nella giungla di enti, ministeri, aziende statali e parastatali e ordini professionali si annida una classe dirigente abituata a usare il Paese per fare gli affari propri.
“Un libro utile per le donne…
indispensabile per gli uomini!”
Daniel Goleman sul Cervello delle donne
• Nel cervello dei maschi lo spazio dedicato all’impulso
sessuale è due volte e mezzo maggiore rispetto a quello
delle donne. Che lo hanno sempre sospettato.
• Sono gli ormoni rilasciati dal suo cervello a far
cadere l’uomo in un sonno profondo dopo il sesso.
Da tenere a mente se lei invece è in cerca di coccole.
• Gli adolescenti hanno il cervello così pieno di testosterone
da percepire i volti altrui più aggressivi di quanto sono
in realtà. Ecco perché ce l’hanno con il mondo.
L’amore, il sesso, il tradimento, la paternità: non sono solo il carattere e le circostanze sociali, ma anche e soprattutto i geni e gli ormoni a determinare cosa succede nell’universo complesso e affascinante che è il cervello maschile. La neuroscienza ha scoperto per esempio che gli uomini usano circuiti cerebrali alternativi rispetto alle donne per elaborare informazioni connesse a difficoltà emotive: ecco perché, davanti alle lacrime di lei, la mente di lui attiverà il processo “soluzione del problema” e non quello “comprensione e consolazione”, e cominceranno a volare le stoviglie. La risonanza magnetica evidenzia che nel maschio l’organo sessuale recepisce l’attrazione più rapidamente del cervello: se lei è abbastanza vicina, può quindi accorgersi che gli piace un attimo prima che se ne accorga lui. Ricerche sui topi hanno decretato che esiste un ormone della monogamia: se lui tradisce non è colpa solo di “quella scostumata”. Con molti esempi concreti tratti dalla sua lunga esperienza di neuropsichiatra, Brizendine svela finalmente i segreti dell’organo maschile più incompreso. Che non resta immutato dall’infanzia alla vecchiaia: il cervello inondato di testosterone dell’adolescente è molto diverso da quello di un neopapà, addolcito da un’incursione di ormoni femminili, ma anche da quello di un innamorato o di un pensionato. Rendersi conto che incompatibilità e catastrofi relazionali sono in gran parte il risultato di “incomprensioni chimiche” è dunque il primo passo per fare la pace con se stessi e con le proprie pulsioni. E magari per farla finita con l’eterno e forse ingiusto grido di esasperazione femminile: “Ma non capisci proprio niente!”.
Caterina, la nonna che con il proprio fastidio per fascisti, comunisti e democristiani ha rappresentato il primo esempio di un revisionismo non fazioso; l’amore di Gianna, l’orgogliosa figlia di un fascista rapata a zero per la vendetta dei “vincitori”; i corpi dei partigiani fucilati e dei fascisti impiccati. E ancora i personaggi più influenti di tutta una stagione politica e giornalistica: Giulio De Benedetti, Eugenio Scalfari, Claudio Rinaldi, Junio Valerio Borghese, Almirante dagli occhi magnetici e il doppio Fortebraccio dell’“Unità”. Il revisionista è un formidabile ritratto, affollato di esseri umani, del nostro Paese dal dopoguerra a oggi. Ed è anche il racconto autobiografico dell’avventura umana e intellettuale di Pansa, alla ricerca di verità dimenticate o scomode. Il più controverso tra i giornalisti italiani ci racconta la sua vita e la nostra Storia, viste con gli occhi di chi ha saputo mantenersi sempre fedele ai fatti e lontano dalle ideologie politiche di ogni colore.
Il neorealismo di Berto non era un’obbedienza alla moda
corrente dei neorealisti tesserati. Eterno goliardo, Berto
non si vendeva, restava imprevedibile e inclassificabile,
gregario neppure di se stesso.
Giancarlo Vigorelli
Settembre 1942-maggio 1943: è l’intervallo in cui si svolgono, sul fronte africano del secondo conflitto mondiale, le vicende raccontate da Giuseppe Berto nel suo “diario di guerra”. Biondo e scapigliato capo manipolo in camicia nera, il personaggio-Berto che anima questo memoir è un ben strano volontario, che parte a tutti i costi per l’Africa, salvo confessare subito la sua “profonda avversione per le divise”. Il resoconto di quei mesi passati sotto il cielo afri cano, dell’attesa estenuante del combattimento e dello scontro, è opera realistica e insieme di pura invenzione, romanzo che Berto stesso indicava come il “libro spartiacque” nel proprio itinerario di scrittore. La sua voce di autore irregolare, tra i più interessanti del nostro Novecento, si libera in queste pagine da qualsiasi retorica per chiedere, con sobria onestà, che “la guerra sia finalmente perdonata”.
La democrazia non è il prerequisito della crescita
economica. Al contrario, è la crescita a essere
un prerequisito della democrazia.
E l’unica cosa di cui non ha bisogno sono gli aiuti.
L’analisi-choc del perché l’iniezione
di aiuti economici nelle casse dei paesi
africani è un’iniezione letale.
Il 13 luglio 1985 va in scena il concerto “Live Aid”, con un miliardo e mezzo di spettatori in diretta: l’apice glamour del programma di aiuti dei Paesi occidentali benestanti alle disastrate economie dell’Africa subsahariana, oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l’economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance solida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoriale. L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership sofisticata ed efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Il colosso cinese, che non deve fare i conti con un passato criminale di colonialismo e schiavismo, è infatti in grado di riconoscere l’Africa per la sua vera natura: una terra enorme ricca di materie prime e con immense opportunità di investimento. Definita l’anti-Bono per lo spietato pragmatismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.
A 25 anni Agastya pensa di sapere tutto sull'India. In fondo non si è mai mosso da lì, ha generazioni di bengalesi purosangue alle spalle e suo padre è uno stimato governatore. Perfino il nome che porta, ispirato dal Ramayana, è la quintessenza dell'indianità. Che poi gli amici lo abbiano sempre chiamato English - l'Inglese - è tutt'altro affare. Con il suo inseparabile Marco Aurelio, i dischi di Ella Fitzgerald, il jogging mattutino e un costante male di vivere tipicamente occidentale, Agastya non sospetta cosa sta per succedergli, quando ottiene un posto da funzionario nello Ias, la pachidermica macchina amministrativa indiana. Niente di ciò che ha vissuto o letto lo ha preparato a Madna, il rovente paesino del Sud dove viene spedito per il tirocinio. Improvvisamente circondato da una folla di burocrati, svitati e perditempo, alla mercé di un cuoco misteriosamente incapace di comprendere l'elementare concetto della bollitura dell'acqua, stremato da una canicola tropicale e da un muro impenetrabile di spleen, Agastya scopre poco alla volta che quasi nulla di ciò che credeva di sapere sull'India - o su stesso corrisponde al vero.
“Credo proprio di aver conosciuto
un mondo ancora immutato dalle sue origini.
Terre estreme, immense e ancora senza storia,
dove nulla muta, ma tutto si ripete
in un ciclo eterno...
Con la mente ho spaziato sognando
impossibili orizzonti fino a dare proporzioni umane
agli infiniti, fino a confondermi nell’universo.”
Ambienti naturali intoccati, sfuggiti a un destino di distruzione, o finora risparmiati, le Terre Alte illustrate in questo volume sono come quelle che da ragazzo Walter Bonatti sognava sulle pagine dei viaggiatori del passato, siti intatti e segreti che alimentavano la sua fantasia. Molti anni dopo, divenuto viaggiatore, Bonatti ha avuto l’opportunità di avvicinare quei preziosi luoghi che egli definisce come i sopravvissuti frammenti dell’origine del mondo, e di fermarli con la sua macchina fotografica. Dalle vette delle Alpi al Venezuela, da Capo Horn all’isola di Pasqua, dalle isole Vanuatu all’Himalaya, fino al vulcano Nyiragongo, il grande alpinista ed esploratore italiano ci conduce in un viaggio d’autore a 360 gradi intorno al globo. Un libro illustrato unico e prezioso, ora riproposto in edizione economica, che raccoglie le foto provenienti dall’archivio personale dell’autore.