Facendo seguito alla sua diagnosi delle eresie e degli esorcismi della politica economica italiana, pubblicata, nel 2012 per gli stessi tipi, che ha raccolto molti consensi. Le ricevuto due riconoscimenti autorevoli, con questa nuova raccolta di scritti l'autore traccia un quadro organico dei problemi urgenti che l'Italia deve affrontare al suo interno e in Europa. Egli muove tre J'accuse ai Governi che si sono succeduti dal 2008, data di inizio della crisi finanziaria mondiale: quella di aver trascurato di riaccendere il secondo importante motore della crescita italiana, le costruzioni, come hanno fatto gli Stati Uniti e la Germania; quella di considerare la crescita reale come il principale problema italiano, mentre lo è la spaccatura economica e politica tra il Nord e il Sud; quella di aver aumentato imposte e tasse per sanare la finanza pubblica, mentre le ha usate per accrescere la spesa pubblica primaria. Completano il quadro quattro lettere aperte destinate ai protagonisti della crisi - Juncker, Draghi, Visco, Padoan - già pubblicate e una nuova rivolta al Governo e alla Banca d'Italia, invitandoli a cambiare obbiettivi perseguiti e strumenti usati al fine di invertire la traiettoria verso il sottosviluppo del Paese.
Nei sei anni che separano il 150° anniversario ormai trascorso della nascita di Max Weber (Erfurt 21 aprile 1864), dal 100° della sua morte (Monaco 14 giugno 1920), sarà completata la gigantesca edizione critica della sua opera omnia. A quel punto la Weber-Forschung disporrà di tutti gli elementi per realizzare in concreto i propositi di "ripensamento", "riesame", "nuovo sguardo" che si sono infittiti negli ultimi anni, sull'onda dell'opera pionieristica di W. Hennis negli anni '80, che rivelò l' esistenza di questo Grundriss 1898, unico testo di Weber sull'Economia politica generale "teoretica", rimasto sconosciuto per circa un secolo. la sua pubblicazione anastatica nel 1990, e la sua riedizione critica nel 2009, hanno posto fine al macroscopico omissis nella "biografia dell'opera" che ha avuto enormi conseguenze distorsive sull'interpretazione del pensiero complessivo di Weber.
Il pontificato di Paolo VI è stato determinante per la storia della Chiesa contemporanea, in una stagione ponte in cui vengono definiti i "decreti attuativi" delle grandi costituzioni conciliari, frutto dell'aggiornamento voluto dal Vaticano II. Questo volume intende ricostruire una delle dimensioni, spesso rimaste in ombra negli studi sul pontificato: il suo decisivo contributo a quel processo di profondo rinnovamento, tanto sul terreno metodologico, che dei contenuti della Dottrina sociale della Chiesa, espressione di quel nuovo umanesimo integrale, plenario, solidale e aperto al trascendente che è stato la bussola con cui ha cercato, lungo tutta la sua vita, di riconciliare quella scissione tra fede e cultura, stabilendo un dialogo con la modernità. Un contributo originale e innovativo, che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno riconosciuto come vincolante, il punto di riferimento, la pietra miliare del magistero sociale della Chiesa del XX e XXI secolo.
Il lettore ha tra le mani il frutto delle conversazioni svolte da Chesterton sul programma radiofonico della BBC tra l'autunno del 1932 e la primavera del 1936. È corretto parlare di frutto perché il volume non raccoglie solo le trascrizioni delle trasmissioni radiofoniche pubblicate sul settimanale della BBC, The Listener (rimasto in vita sino al 1991), ma anche di ciò che esse generarono e cioè le lettere e soprattutto una partecipazione viva dei lettori-ascoltatori, le risposte di Gilbert e i contributi polemici originati dalle trasmissioni di Chesterton. È un errore considerarlo un polemista. Era in realtà un amante della Verità in ogni sua possibile veste e declinazione. Questa raccolta lo dimostra. Al di là dei fuochi d'artificio che legittimamente si concedeva, dell'umorismo piacevole e frizzante che praticava con larghezza, Gilbert aveva l'"arma segreta": entrava davvero nelle case e soprattutto nei cuori delle persone. Introduzione di Marco Sermarini.
La Storia della Romania (e implicitamente del popolo romeno), dall'antichità alle controverse vicende della "rivoluzione" del dicembre del 1989, è una sintesi scritta con la convinzione più volte espressa dall'autore che "i peccati di oggi sono, in tanti casi, i peccati di ieri, ripetuti, aggravati, proprio perché nascosti, taciuti dagli storici, per paura di essere biasimati per mancanza di patriottismo". Florin Constantiniu si è assunto l'impegno di prescindere dai dogmi, dai tabù, dalle distorsioni della vulgata storiografica "ufficiale" imposta dal regime precedente l'89, presentando una visione personale, non neutrale dal punto di vista identitario, tuttavia lontana da tentazioni nazionalistiche, "una visione dettata dal desiderio sincero di mostrare ciò che di positivo e negativo è accaduto nel divenire dei romeni come nazione e Stato". Lo storico romeno espone il succedersi degli eventi senza condizionamenti ideologici, strutturando la narrazione storica con l'analisi sia dei rapporti di forza tra gli Stati, sia di quelli fra cittadini-sudditi e potere, presi in esame da diverse prospettive (giuridica, militare, religiosa, culturale ed economica), ponendo in rilievo la questione agraria che ha attraversato tutto l'arco della storia romena.
Esiste una strada poco battuta nel lungo processo di costruzione europea. Imboccarla ci farebbe uscire dal vicolo cieco in cui le nostre società e i nostri Paesi sono fermi, mentre i confusi rumori e le angosce del mondo globale ci assediano e ci fanno paura. L'archeologo Andrea Carandini, presidente del FAI, ci guida alla riscoperta di questa via europea alla serenità e forse anche alla felicità, dissotterrando una tradizione culturale ancora viva e pulsante, quella del grande illuminismo romantico di Isaiah Berlin, il cui pensiero introduce alla imperfezione migliorabile, apprezzando finalmente la molteplicità della vita e la tolleranza. Con questa guida ripercorriamo la tradizione europea tra '700 e '800, per ritrovare le idee che oggi servono, se vogliamo risorgere. Non si tratta solo di riformare una liberal-democrazia decadente quale è quella italiana, quanto di appassionare giovani e meno giovani all'uso consapevole della ragione non conformista, perché solo coltivando i sogni della ragione saremo in grado di non generare mostri, o almeno di non averne paura.
Per circa due secoli, un intero filone di ricerche intellettuali, sia sincere sia propagandistiche, ha cercato di convincerci degli errori, delle colpe e infine dell'insignificanza del cristianesimo. Oggi queste ricerche hanno esaurito la loro spinta iniziale: l'ateismo è morto di morte naturale. È morto perché non è riuscito, nonostante l'abbondante tempo a disposizione, a portare a compimento il programma di ricerca che si era assegnato. L'ateismo è morto, insomma, perché non ha saputo proporre una visione filosofica alternativa di un qualche valore e che offra un senso all'esistenza umana. È probabile che, nella sua caduta, l'ateismo trascinerà con sé anche il nichilismo, altro triste prodotto della cultura europea degli ultimi secoli. Nel silenzio dell'ateismo contemporaneo, la voce del cristianesimo torna a farsi sentire e diventa di nuovo la grande impresa intellettuale della nostra epoca.
Il liberalismo è un'idea controversa: la parola (nel suo significato attuale) è entrata nel linguaggio politico solo nella prima metà dell'Ottocento; inoltre ci sono state diverse correnti di pensiero liberale. In questo libro Bedeschi sviluppa un'ampia indagine storico-dottrinale: approfondisce in primo luogo i presupposti sociali e culturali del liberalismo (in autori come Locke, Montesquieu, Smith, Kant, Humboldt); espone e discute il liberalismo francese nell'età della Restaurazione (i "dottrinari", Constant); approfondisce il rapporto fra liberalismo e democrazia in Tocqueville e in Mill; esamina i grandi pensatori liberali del Novecento (Kelsen, Croce, Popper, von Hayek, Aron). Ne esce un quadro assai variegato e complesso, che evidenzia sia le peculiarità dei singoli pensatori liberali, sia il loro convergere su alcuni motivi di fondo, che sono ancora al centro della nostra cultura politica.
C'era un tempo in cui in difesa dello Stato di Israele e degli ebrei si schieravano i migliori intellettuali europei come Pablo Picasso e Eugene lonesco, e in Italia personaggi come Norberto Bobbio ed Eugenio Montale. La piccola repubblica israeliana era considerata un pegno della nostra libertà, che il mondo arabo-islamico voleva ghermire per la gola e annegare nel Mediterraneo. Oggi Israele è ancora sotto assedio ma è rimasto solo, delegittimato e condannato a morte dalle classi dirigenti intellettuali, dai giornalisti, dagli scrittori, dai registi, dai Premi Nobel, dai musicisti, elevato a sentina del male. Contro il popolo di Israele riecheggiano oggi, sinistre, le frasi della propaganda nazista di settant'anni fa. Il libro di Giulio Meotti ripercorre l'odio per Israele degli ultimi trent'anni. È il racconto di una grande abiura, un nuovo caso Dreyfus con il tradimento dei chierici e l'abbandono degli ebrei da parte dell'opinione pubblica europea. Uno scandalo che le falangi dei "progressisti" accolgono in silenzio. I peggiori antisemiti oggi li trovi fra la brava gente. I buoni. I rispettabili. I vanitosi dello star system. Le firme dei giornali. Gli intellettuali. Gli artisti. I filantropi. Il loro annullamento spirituale e culturale di Israele giustifica in anticipo la sua soppressione fisica. E se Israele scomparisse oggi, il popolo ebraico non potrebbe sopravvivere. Che fare allora? Solidarietà. È l'unica arma che abbiamo.
Ci sono gli scettici che dicono che non esiste nessuna verità oggettiva. Non possono avere ragione perché la verità si presenta da se stessa nella storia della persona ed in quella della comunità umana. Senza verità non è possibile vivere. Chi vorrebbe vivere un grande amore che non è però un amore vero? Poi ci sono i dogmatici, quelli che la verità ce la hanno in tasca e sono sempre pronti a condannare chi non accetta a scatola chiusa la loro verità. Anche così non è possibile vivere perché la ricerca non finisce mai e la vita apre sempre nuove prospettive che mettono in questione quello che credevamo di sapere. Questo libro cerca di aprire una diversa prospettiva: dobbiamo essere fedeli alla verità che abbiamo conosciuto ma anche aperti alla verità che si è rivelata nella esperienza dell'altro uomo per camminare insieme verso una verità più grande.