A Sesto, in Val Pusteria, Christine Leiter, mamma e studiosa di teologia, ha celebrato lo scorso ottobre 2019 il primo funerale officiato da una donna in una chiesa cattolica. Nella diocesi di Cefalù, il vescovo ha affidato la parrocchia di San Paolo Apostolo a un gruppo di laici. Non sono come si potrebbe immaginare bizzarrie o mosche bianche. Il Vaticano la scorsa estate ha dato mandato alle parrocchie di ricorrere ai laici per la celebrazione di funerali, matrimoni e battesimi qualora non vi fosse la disponibilità di un sacerdote. L'Italia dei mille campanili, in cui ogni quartiere di ogni città, ogni paesino per quanto sperduto ha goduto della presenza stabile di un parroco, è destinata a diventare un ricordo: la scarsità di vocazioni sacerdotali e l'età media sempre più avanzata dei sacerdoti porterà nei prossimi anni la Chiesa a rivedere la sua organizzazione territoriale, spingendo i fedeli a forme inedite di partecipazione alla vita delle parrocchie. In questo libro Domenico Agasso, vaticanista del quotidiano «La Stampa», ci conduce in un viaggio in questa Italia senza pastori, sulle vie dello Spirito che nella sua "fantasia" apre strade nuove in quello che a tutti appare un deserto.
Ripensare Alvaro, come ci aiutano a capire i saggi presenti in questo volume – dove si considerano aspetti, di solito ignorati o considerati secondari, come il suo muoversi tra Aspromonte ed Europa, i suoi legami con scrittori della sua terra e grandi intellettuali organizzatori di cultura nazionale, la sua incisiva presenza nel teatro, nella radio, come nel cinema e nelle grandi questioni del suo tempo – significa abbandonare ogni pigrizia intellettuale, rinunciare a mitologie e a retoriche identitarie, farsi guidare dalla potenza e dalla forza, dall’etica, di una scrittura letteraria raffinata ed elegante, che era insieme originale etnografia, ricerca e salvaguardia per il futuro di mondo scomparso, memorie e vita, antropologia delle genti di Calabria e del Sud Italia, che vanno inseriti in quella nazione italiana, Mediterraneo e in quell’Europa alle quali egli sentiva, con convinzione, di appartenere. Forse questa Calabria e questa Italia e questa Europa, sempre più sconosciute a se stesse, desacralizzate, giunte alla fine di un lunga storia, hanno bisogno di inventare un senso di comunità e di ritrovare un’anima anche a partire da autori come Alvaro.
Politica e religione: binomio apparentemente difficile da coniugare, soprattutto se considerato secondo le facili schematizzazioni della religione intesa come semplice sovrastruttura ideologica da un lato o della “sacralità” del ministero politico dall’altro. Il presente volume propone un’analisi dei rapporti tra pensiero politico e religione così come è sorto dalla modernità – in modo particolare a partire dalle Riforme – cercando di evidenziare le strade, spesso tortuose, che hanno prodotto il processo di secolarizzazione, processo, in realtà, sempre presente nel corso della storia. Si tratta di un fenomeno che può essere considerato da diversi punti di vista e che, se inteso in certo modo, può presentare anche risvolti positivi.
Il libro affronta il tema del rapporto tra la Chiesa ed il fenomeno della criminalità organizzata. Esso viene sviscerato partendo dall'analisi dei pronunciamenti offerti dai Pontefici e dai Vescovi sulla piaga delle mafie, evidenziando come, seppur a tratti in modo faticoso, la denuncia ecclesiale si sia gradualmente affermata fino ad essere ai giorni nostri incontrovertibile, con l'attestazione della totale incompatibilità tra l'appartenenza cristiana e quella mafiosa. Da tale constatazione, con particolare riferimento alla "scomunica" di Papa Francesco in Calabria del 2014, si cerca di appurare quali concreti provvedimenti tale denuncia abbia generato, per rilevare l'assenza di una vera norma penale canonica che colpisca i fedeli mafiosi. Si prospetta perciò il percorso da seguire per giungere ad un possibile intervento normativo canonico, cosa potrebbe motivarlo a partire dalla grave condotta morale degli aderenti alle mafie e quale ne sarebbe la finalità.
«Vorrei un angelo che segua ognuno di voi, in ogni istante, una presenza fedele e attenta, una carezza di eterno nel dolore delle vostre stanze, nella solitudine delle vostre notti, nel rumore delle vostre vite, dei vostri uffici, delle vostre aule, delle vostre macchine. Vi donerei la voce dell'anima, canto e silenzio: che magnifico dono sarebbe! L'abbraccio di un angelo per ognuno di voi, unico prezioso, infinito...» Don Mimmo. Presentazione di Mons. Bregantini.
"Figli della colpa, concepiti fra parrocchie e conventi. Nascite occulte, frutto di relazioni proibite e perfino di violenze sessuali. È un esercito, sparso per il mondo, formato da "irregolari". Chi sono? Quanti sono? Migliaia o forse decine di migliaia. Centinaia in Italia. Cifre approssimative, raccolte da associazioni impegnate a svelare un fenomeno antico e sommerso, che travolge la regola (contestata) del celibato e i voti di castità, vigenti nella Chiesa Cattolica Romana. Più che le statistiche qui interessano le vite difficili dei protagonisti: figli di preti, per lo più. E di monache che, forzatamente o non, hanno ceduto ai desideri di maschi prepotenti. Persone segnate nel profondo, spesso psicologicamente fragili, inseguite dalla vergogna delle proprie origini. Ma in queste pagine vi sono anche figli che hanno superato il trauma. Combattivi, a testa alta rivendicano verità e diritti. Di più: alcuni di loro si mostrano orgogliosi nell'affermare "mio padre è un sacerdote"." Prefazione di Ernesto Miragoli. Postfazione di Lucetta Scaraffia.
«In questo libro si ritrova nella sua interezza una figura singolare e rilevante di protagonista della vita pubblica italiana e, insieme, una rappresentazione genuina, coraggiosa, non scontata, di due decenni cruciali, quelli nei quali si avviò a conclusione e si chiuse una intera fase storica dell'Italia repubblicana». Così, il 4 ottobre 2011, Giorgio Napolitano scriveva sulle pagine del Corriere della sera. Un mese dopo la scomparsa di Mino Martinazzoli l'allora presidente della Repubblica tratteggiava, attraverso le parole della prima edizione di questo volume, la figura dell'uomo che cercò di salvare la storia della Democrazia cristiana insieme con una concezione della politica a servizio del bene comune e dello sviluppo del Paese. Il rapporto con Aldo Moro, lo scandalo Lockheed, il giallo di Ustica e la morte di Sindona. Il maxi processo alla mafia e i rapporti con Giovanni Falcone, la contestazione della legge Mammì sugli assetti radiotelevisivi culminate nelle dimissioni di cinque ministri compresi Martinazzoli e Sergio Mattarella, la fine della Dc, i rapporti con la Lega e con Berlusconi. A dieci anni dalla sua morte riproponiamo, arricchite dalle testimonianze dei politici di ieri e di oggi e dalle sue stesse parole che la prima stesura non aveva incluso, i ricordi di un politico atipico che tentò di cambiare le sorti del nostro Paese e la degenerazione di una politica sempre più asservita al culto della personalità. Con la sua ironia, a tratti irriverente, Martinazzoli disegna l'Italia che fu, che è e che forse sarà. Il quadro complesso di una Repubblica sempre in bilico fra ascesi e dannazione.
In pieno lockdown, intenti come tutta Italia a fare propositi per quando si sarebbe tornati a riveder le stelle, quatto amici - un prete, un politico e due giornalisti - decidono d'intraprendere un cammino. Proprio come quello, mitico, che da Saint-Jean-Pied-de-Port conduce al cospetto della Cattedrale di Santiago di Compostela, ma stavolta tutto italiano, geograficamente e non solo. È il Cammino di San Benedetto, itinerario fisico e spirituale che attraversando Umbria e Lazio, sfiorando Abruzzo e Campania, da Norcia porta a Montecassino. Il libro, traendo spunto dal diario di questa "impresa", si addentra nel significato anche metaforico degli odierni "cammini" in contrapposizione con i miti sessantottini, a cominciare da quello della "strada". E, all'esito di un viaggio anche ideale nell'Italia di mezzo ferita da terremoti e spopolamento, traccia un programma di sviluppo socio-economico per quelle aree interne del Paese che custodiscono le nostre radici e per le quali l'uscita dall'emergenza Covid potrebbe rappresentare una formidabile occasione di riscatto.
La lettura di Emigranti (pubblicato per la prima volta nel 1928 da Mondadori) è una pura immersione nella grande letteratura. Ci troviamo dinanzi a un affresco grandioso del mondo contadino e pastorale dell’Aspromonte; e, in quanto «mondo», non solo degli uomini, delle donne e delle loro quotidiane tribolazioni, ma anche della natura e dei paesaggi che li circondano. Vi è in Emigranti una straordinaria conoscenza dei luoghi e un profondo amore per l’Aspromonte. Vi è una finissima introspezione psicologica dei personaggi. Vi è un incalzante ritmo narrativo. Ma vi sono anche momenti di pura contemplazione estetica del mondo della natura. Anche in Emigranti, come in tutte le altre storie della letteratura del Novecento calabrese, un senso di morte aleggia sulla vicenda narrata. Tuttavia, non c’è spazio per la disperazione perché non c’è morte senza rinascita.
L'anno della Pandemia è stato per la Chiesa Italiana, un difficile banco di prova, alcune criticità latenti da anni, come lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l'irrilevanza nel pensiero socio-politico, sono emerse con decisione e hanno rafforzato un senso di smarrimento che comunque veniva da lontano. È sembrato importante interpretare questo segno dei tempi, utilizzarlo come fosse uno stress test o, per usare un termine tradizionale, un esame di coscienza, un discernimento per ripartire poi con maggior vigore e consapevolezza. Una Chiesa che parla prevalentemente "ai suoi" e si fa portatrice solo di valori "suoi", che non sa fare sintesi delle tante iniziative sociali che nascono nel suo ambito, finisce per essere una Chiesa che parla senza contare e agisce senza parlare. Occorre tornare nel Mondo, riscoprire il destino comune che lega Chiesa e società, rioccupare quell'area di confine tra l'essere nel mondo e l'essere del mondo, nello spirito di aiutarsi tutti, di riscoprire e far riscoprire la reciprocità e l'interdipendenza, cercando di essere lucidi e generosi; tornando a far ardere i cuori più che a insegnare dottrine. Mettere un piede fuori dal suo recinto aiuterà la Chiesa a non cadere e permetterà alla società di riconoscerla e forse di imitarla in quella presa di coscienza per cui nessuno si salva da solo. È compito anche dei laici attivarsi per un'emancipazione della coscienza fraterna che dia coraggio e un maggiore senso di responsabilità nel dare, nel ricevere e nell'illuminarsi vicendevolmente. In questo difficile momento di ricostruzione civile, aiutarsi tutti non è allora sinonimo di aiutare tutti, ma è l'impegno per una ricostruzione basata sull'aiuto vicendevole.