
Nato in Valtellina in una famiglia di origini meridionali, Pasquale Saraceno (1903-1991) è stato un tecnico prestato alla politica. Laureatosi in economia presso la Bocconi, dove insegnò per poi passare all'Università Cattolica e, infine, alla Ca' Foscari, fu portato da Donato Menichella all'IRI, divenendo uno dei massimi dirigenti dell'Istituto. Superando semplificazioni ancora correnti, in particolare l'immagine stereotipata di economista "statalista", il volume ricostruisce il percorso che dagli anni della sua formazione, a contatto con l'intellighenzia dell'IRI e con i giovani cattolici del Movimento Laureati, è giunto alla maturazione del progetto storico da lui tenacemente perseguito per tutta la vita: il completamento del processo risorgimentale, attraverso l'unificazione economica della nazione. Soluzione degli squilibri territoriali e piena maturazione civile del paese erano possibili attraverso un modello di economia mista, in grado di regolare il mercato in funzione degli obiettivi sociali. Tale progetto trovò la sua sintesi ideale nel Codice di Camaldoli, di cui Saraceno fu il principale redattore assieme a Sergio Paronetto. Il suo impegno meridionalista fu sempre declinato in una prospettiva nazionale, rappresentando il filo conduttore della sua azione nel secondo dopoguerra: i piani ricostruttivi, l'intervento straordinario, lo Schema Schema Vanoni, il centro-sinistra, la programmazione economica. In questi passaggi il suo apporto fu determinante.
Nonostante se ne parli sempre di più, i laici mantengono un ruolo marginale all'interno dell'ordinamento della Chiesa cattolica, che si identifica pienamente con i chierici. La partecipazione dei laici alla vita della Chiesa è una partecipazione tutt'al più vicaria ma mai piena e consapevole come invece avrebbe voluto lo stesso Concilio Vaticano II. Eppure la forma di Chiesa che conosciamo e che sembra così difficile da riformare (pensiamo solo al grande dibattito interrotto su un maggiore coinvolgimento e partecipazione delle donne) non è l'unica forma che sia mai esistita. In questo erudito quanto agile saggio, don Ubaldo Cortoni, monaco camaldolese e storico della Chiesa, dimostra come, attraverso lo studio attento delle fonti storiche e attraverso una rivalutazione priva di pregiudizi degli stessi movimenti ereticali, sia possibile rinvenire nel passato della Chiesa alcune soluzioni a problemi che sembrano invece nuovi e inattesi: dal rapporto tra laici e clero, al ministero delle donne, dalla pluralità della riflessione teologica alla compresenza di forme liturgiche diverse.
La ricerca condotta su documenti originali della Banca Mondiale, messi a disposizione degli studiosi di recente, affronta il tema dell'intervento straordinario in una prospettiva internazionale. Il filo conduttore del lavoro è una visione aggiornata dei problemi del Mezzogiorno e delle soluzioni proposte per la "questione meridionale" negli anni successivi alla ricostruzione postbellica, dando luogo all'unico periodo di convergenza - in tutta la storia unitaria - del Sud con il Nord dell'Italia, durante la golden age. Nella fase iniziale, che apriva le porte al miracolo economico italiano, si verificò una singolare triangolazione di interessi tra il governo italiano, la Banca Mondiale e la Cassa per il Mezzogiorno, costruendo un modello inedito di sviluppo. Il sistema dei prestiti internazionali contribuì a realizzare un circuito virtuoso, con l'industrializzazione del Sud e la modernizzazione produttiva del Paese. Solo quando prevalse una pressione politica impropria, in seguito anche all'avvento delle Regioni, l'azione della Cassa per il Mezzogiorno mutò il suo carattere originario. Il volume contribuisce alla comprensione di questa fase decisiva della storia economica italiana e internazionale, non mancando di fornire elementi di notevole utilità per l'analisi delle vicende attuali del Mezzogiorno e dell'Italia.
Queste pagine intendono rispondere all’esigenza di offrire un’immagine il più possibile aggiornata, completa e unitaria dell’uomo, che tenga conto delle acquisizioni delle scienze e della filosofia e sia integrale nell’approccio, ma senza essere eccessivamente specialistica. Dal punto di vista del metodo la tesi fondamentale del volume è che l’uomo si conosce nella sua specificità riflettendo sulla sua esperienza, sulle sue opere, sulle sue azioni e sulle dimensioni corrispettive, e coniugando questa riflessione con i dati delle scienze in continua evoluzione. Il testo è preceduto da una sintetica storia dell’antropologia filosofica e da un’introduzione di carattere metodologico. I capitoli dal II al V sono espositivi: l’uomo si comprende tra psiche e corporeità, tra ragione e tendenza, tra natura e cultura, tra sé e gli altri, tra passato e futuro. Gli ultimi due capitoli costituiscono una ripresa sintetica in chiave riflessiva, epistemologica e metafisica del discorso svolto in precedenza. Il testo si chiude con un interrogativo particolarmente attuale alla luce dei progressi della tecnologia: in che misura è possibile una trasformazione radicale dell’uomo senza dissolvere la sua identità? Benché tutte le principali concezioni antropologiche siano considerate nell’esposizione, il volume privilegia una prospettiva integrale che si pone in continuità con la tradizione classica.
C’è una storia del pensiero liberale che è diversa, almeno in parte, da quella comunemente raccontata qui in Italia. È una storia in cui, per fare solo qualche esempio, Montesquieu è importante quanto e più di Locke; Humboldt ha un posto che non ha nulla da invidiare a quello di Stuart Mill, che d’altronde ha ispirato; Tocqueville assume un ruolo centrale; Berlin, piuttosto che Hayek o Rawls, è l’autore più significativo dell’ultimo dopoguerra. Questo volume propone un liberalismo che non rincorre teorie o risposte definitive, ma si ridefinisce ogni volta a seconda delle situazioni e dei problemi storici. Più che il liberalismo per l’autore esiste la continua lotta degli uomini per conquistare sempre nuovi e diversi e più ampi spazi di libertà. Leggere la storia del pensiero liberale dal punto di vista qui sviluppato porta ad insistere su termini-concetto come dubbio, spirito critico, pluralismo, piuttosto che su individuo, mercato, diritti.
In questo libro gli autori documentano che la società italiana, pur essendo entrata nella famiglia delle società industriali avanzate, continua ad essere caratterizzata da un diffuso e radicato analfabetismo scientifico quotidianamente alimentato dalla esiziale presenza attiva di ideologie radicalmente ostili alla scienza, alla tecnica e al mercato. Il che costituisce uno sconcertante paradosso storico, dal momento che sono proprio la scienza, la tecnica e il mercato i potenti motori di quella epocale rivoluzione in permanenza che siamo soliti chiamare modernizzazione. Il risultato è un libro indispensabile per prendere coscienza di ciò che il nostro Paese ha bisogno per evitare la deriva della regressione storica e per garantire un futuro alle nuove generazioni.
Allorché l'Europa sperimenta la crisi della sua "costruzione" comune e della scienza o dell'opinione che è giunta a orientarla e a legittimarla, ci si interroga nuovamente sulla natura delle associazioni umane e sull'avvenire dei popoli europei. Raymond Aron ha accompagnato l'esperienza novecentesca dell'Europa pensando le idee che hanno trovato in essa asilo e il suo destino sempre sospeso all'alba della storia universale. I saggi raccolti in questo volume illustrano le perduranti lezioni di quella riflessione. Aron discute la natura e l'avvenire delle nazioni - fatto fondamentale della politica europea situandosi nell'elemento dell'azione, ma anche in un orizzonte più vasto in cui la figura spirituale e la matrice politica del Vecchio Continente sono considerate congiuntamente e nel loro significato universale. Lucida testimonianza di un grande pensatore, questa antologia restituisce l'esercizio di responsabilità nella Città di un "buon europeo" e la riflessione imparziale di un classico che non ha smesso di educare tanto il cittadino quanto l'uomo. Pensare l'idea europea, la sua fedeltà storica e il suo compito presente significa ancora pensarla politicamente. Comprendere la vita in comune degli uomini significa ancora meditare la sua fragile architettura, la sottile arte politica che essa richiede, la dialettica che continua a percorrerla tra l'esperienza delle nazioni e la questione della vera unità umana. Prefazione di Alessandro Campi.
«Democrazia dissociativa» è la metafora di origine neuro-psichiatrica che si è voluto utilizzare per caratterizzare sinteticamente i profili del nostro sistema politico negli ultimi venti anni, dominato dalla contrapposizione ossessiva fra «berlusconismo » e «anti-berlusconismo». In senso esattamente opposto al paradigma di «democrazia consociativa» – raccomandato da Arend Lijphart come forma ottimale di democrazia (e in parte sperimentato nell’Italia di Prima Repubblica) – nel nuovo corso si rompono irreparabilmente i legami di rappresentanza e rappresentatività fra una società che, se non coesa al proprio interno, si presenta tuttavia priva di conflitti irriducibili, e la politica ridotta a un’arena di lotta permanente fra «bande», interamente calata in una logica di potere fine a se stessa. Alla luce di questo schema interpretativo, il pamphlet ripercorre le fasi salienti di sviluppo e agonia della cosiddetta Seconda Repubblica, dal primo governo di centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi nel 1994, al recente governo dei tecnici affidato a Mario Monti nel 2011.
Nell'autunno 1969 la straordinaria partecipazione dei lavoratori all'azione negoziale condotta dai sindacati in una difficile stagione contrattuale ha segnato un crinale importante nella storia sociale e politica del nostro Paese. Il volume presenta studi e interpretazioni che animano il dibattito scientifico sulla soggettività sociale dei sindacati degli anni Sessanta, sulle suggestioni e sulle contraddizioni delle relazioni di lavoro dell'"autunno caldo", sui lasciti che quel periodo di rivendicazioni sindacali ha lasciato nelle relazioni industriali degli anni Settanta, sul complesso rapporto tra regolazione sociale e politica. Si ripercorrono, dunque, le problematiche della programmazione economica e del mutamento sociale, il sovrapporsi delle proposte "unitarie" nelle diverse prospettive sindacali, il cammino della legge "Statuto dei Lavoratori", l'articolazione della vertenzialità sindacale, la ricerca di nuovi paradigmi di relazioni industriali. Riflettendo sull'autunno del 1969, infine, si è condotti a riflettere sul percorso complessivo della storia italiana.
Il volume narra la storia epica e tragica della caduta della più antica repubblica del mondo. La crisi economica ha colpito San Marino in maniera molto più grave che l’Italia e, a causa della levata di scudi nei confronti dei paradisi fiscali, San Marino è stata costretta a rinunciare in pochi anni ai suoi capisaldi (anonimato societario e segreto bancario) senza aver il tempo di adeguarsi. Spariti i soldi degli evasori il bilancio dello stato si è riempito di buchi, le imprese hanno chiuso e la disoccupazione è aumentata. In molti però non hanno accettato questo cambiamento. Spariti i soldi degli evasori hanno cercato il denaro da qualche altra parte e hanno trovato il denaro della mafia. A San Marino c’è sempre stato il riciclaggio, ma quando le casse delle banche erano piene ci si poteva permettere di dire dei no. Con la crisi le banche sono arrivate ad accettare di tutto. Ma con i soldi arrivano gli uomini: i soldati, i mazzieri, gli estorsori e, cosa più preoccupante, il metodo mafioso ha finito col contagiare anche i sanmarinesi. E così è accaduto che imprenditori perfettamente normali arruolassero bande di campani o albanesi per proteggere i loro interessi. Altri imprenditori sono diventati camorristi e sono arrivati a guidare la loro banda personale, picchiando e incendiando come se fosse la naturale prosecuzione dei loro affari. Risalendo lungo questo filo si arriva molto in alto. Accanto ai mafiosi questi imprenditori pagavano lobbisti e questi lobbisti risiedevano a Roma dove pagavano campagne elettorali di politici per assicurarsi appalti. Pagavano le forze dell’ordine, per evitare i controlli ed erano riusciti persino ad influenzare giudici e commissioni tributarie per risparmiarsi condanne. Come un arto in cancrena, anche il Titano moribondo contagia tutto quello che gli sta intorno