
Segnali nuovi per chi si interroga su come evolverà la transizione politica italiana. A Roma, un governo di emergenza rilegittima l'Italia nel mondo. Ma su riforme e crescita sente, oltre alla crisi, il fiato corto della politica nazionale. A Milano, città-portale dell'internazionalità italiana, si discute su questioni che interessano la nostra democrazia. La sinistra esprime capacità di governo senza cadere in antiche rissosità ideologiche? La destra all'opposizione ha un nuovo progetto? Soprattutto regge il patto tra società e partiti nella gestione "alla pari" del potere istituzionale? Nell'Italia, intanto più disunita, si prospettano scelte difficili. Dobbiamo credere nella riforma della democrazia rappresentativa o lottare di più per modelli di democrazia partecipativa e diretta? Dobbiamo aspettare la terza Repubblica dei trasformisti (complici massimalisti e reazionari di sempre) o riunire chi crede alla riformabilità in nome degli interessi generali? Dobbiamo continuare nella passività riottosa verso l'Europa o imboccare da protagonisti, insieme al federalismo interno, la strada di una nuova statualità europea? Da qui un'indagine su fatti e opinioni dell'ultimo anno per valutare se politica e poteri sono condannati a incrociarsi nel cinismo e nell'affarismo. Oppure se possono trovare, anche in un paese non impeccabile come l'Italia, un equilibrio etico accettabile. Con prefazioni di Giuliano Pisapia e Fabrizio Barca.
Il volume è un'analisi dei temi e delle figure letterarie che fondano nei secoli l'unità della nazione in cammino. L'Italia nasce linguisticamente e letterariamente con Dante, battezzata dal poeta come "giardin dell'impero" e fin dal principio trasfigurata in un'allegoria letteraria. In seguito più volte battezzata e visualizzata in figura di donna, il "bel corpo" petrarchesco martoriato dalle "piaghe mortali", di giovane matrona sventurata percorsa e violata dagli eserciti stranieri. Da Petrarca a Bembo a Carducci, l'Italia viene effigiata come un'espressione letteraria, alla quale la rude realpolitik di Metternich opponeva quella sprezzante e politicamente obiettiva di espressione geografica. L'unità linguistico-letteraria, preesiste all'Unità politica, la sostituisce a lungo nel tempo, la prepara, attivandosi allorché il moto politico del Risorgimento innesta anche la marcia della poesia, del racconto e romanzo epico, della letteratura. Anche Mazzini era un letterato. E Garibaldi leggeva e imitava Foscolo e scriveva versi e romanzi non poi così disprezzabili. Raramente la letteratura ha avuto un ruolo così centrale e anche fattivo, pragmatico, di vera e propria utilità, come in quella circostanza storica. Il Risorgimento è anche un evento letterario, ed è al contempo una manifestazione del romanticismo.
Friedrich A. von Hayek è stato nel Novecento il maggiore esponente della cultura liberale. Egli offre qui un suggestivo e agile affresco delle idee che si trovano alla base del liberalismo e delle vicende storiche prodotte dal movimento liberale. Il liberalismo è libertà individuale di scelta, che si rende possibile solo tramite la limitazione della sfera d'intervento del potere pubblico. È il "governo della legge", che si sostituisce al "governo degli uomini". E tuttavia lo schieramento liberale ha due anime: quella rigorosamente evoluzionistica, prevalente nella tradizione britannica, e quella razionalistica, prevalente nella tradizione continentale europea. Esse hanno trovato convergenza su alcuni "postulati essenziali", quali la libertà di pensiero, di parola, di stampa. Ma l'accordo ha carattere "meramente verbale": perché il liberalismo di tipo britannico ha assunto come "valore supremo" la libertà individuale, mentre il liberalismo di tipo continentale si è venuto quasi a identificare con il movimento democratico. Il che complica le cose. La democrazia e il liberalismo si occupano infatti di due differenti problemi. La prima si chiede a chi spetti governare; e la sua risposta è che tocca ai cittadini nel loro insieme. Il secondo pone invece la questione relativa all'estensione dell'intervento del potere pubblico; e la sua risposta è che quel potere deve svolgere un compito residuale, in modo da dare spazio alla più libera cooperazione sociale. Prefazione di Lorenzo Infantino.
Un volto inconfondibile che si presta a delle imprevedibili trasformazioni grazie a una sottile capacità di introspezione del personaggio da interpretare: Sergio Castellitto è l'erede dei mostri sacri del cinema italiano, attori in grado di calarsi in ogni ruolo mantenendo una precisa identità, in un gioco di immedesimazione che punta tutto sulla sottigliezza recitativa piuttosto che sul camaleontismo fisico. L'apparente normalità della recitazione, una naturalezza di gesti ed espressioni raggiunta grazie allo studio e all'applicazione, con decisive esperienze teatrali alle spalle. Questa naturalezza ha consentito a Castellitto di prestare il suo volto ad alcuni dei personaggi più amati dagli italiani, come Fausto Coppi, Enzo Ferrari e padre Pio, ed è in queste interpretazioni che l'attore svela un altro lato del suo carattere: l'umanità che abbatte qualsiasi mito e mistificazione. Un attore di estrema finezza che ha contribuito, negli ultimi trent'anni, al rinnovamento del cinema italiano legando il suo nome a quello di registi come Amelio, Bellocchio, Scola, Tornatore, Virzì, per poi imporsi anche all'estero, con una presenza ormai costante nel cinema francese, dove ha modo di farsi apprezzare da Jacques Rivette. Il libro ricostruisce minuziosamente la carriera di Castellitto con saggi e approfondimenti critici, che spaziano dalla recitazione alla regia, fino all'attività teatrale, e interviste allo stesso attore e ad alcuni dei registi che lo hanno diretto.
Una breve storia d'Inghilterra non è un testo per specialisti ma l'intervento di uno dei più importanti intellettuali del tempo che sente il bisogno di scrivere per illuminare il lato nascosto, dimenticato della storia del suo Paese. Due i bersagli polemici scelti: il primo si connette alla falsa origine anglosassone del popolo inglese sovrapposta dagli storici dell'Ottocento, con un'abile operazione culturale, al passato romano e cristiano, il secondo concerne il controverso ruolo assunto dall'aristocrazia nel Settecento; se per un verso fu la protagonista della definitiva affermazione del parlamento e della costruzione dell'impero, per un altro legò sempre più le sorti del Paese alla Germania contribuendo al definitivo distacco dell'Inghilterra dalle sue origini cristiane.
Gilbert K. Chesterton dedicò questa importante biografia letteraria finora inedita in Italia a Robert Louis Stevenson, l'autore de "L'isola del tesoro" e de "Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde". Da questo saggio, Stevenson emerge come un testimone inconsapevole di verità, "un pagano altamente onorevole, responsabile e valoroso, in un mondo traboccante di pagani che erano per la maggior parte molto meno cavalieri e onorevoli". Di più, Chesterton lo considera alla stregua di un teologo cristiano che restituisce nei suoi personaggi votati all'avventura l'inquietudine della caduta e la moralità della ricerca di senso in un mondo che attende di essere esplorato. L'intera sua opera appare a Chesterton una difesa della possibilità di essere felici, e una risposta alla domanda di felicità dell'uomo, che può essere assolta solo ritornando piccoli e capaci di stupore. Il brusco ritorno alla semplicità dell'infanzia, come espressione del profondo desiderio di raggiungere la felicità, è un fatto ricorrente in tutta la storia umana. E in questo sta, per Chesterton, "l'importanza del posto che Stevenson occupa nella storia letteraria".
Da secoli la fortezza silenziosa della Chiesa cattolica è la presenza delle donne: sono loro che principalmente trasmettono la fede alle nuove generazioni e sono sempre loro che con generosità portano a compimento numerosi ministeri ecclesiali. Eppure all'orizzonte appaiono i primi segni di rottura di questa intesa. Protagoniste di un tale cambiamento di rotta sono soprattutto donne che hanno tra i 20 e i 40 anni: vanno di meno a Messa, scelgono di meno il matrimonio religioso, pochissime ancora seguono una vocazione religiosa, e più in generale esprimono una certa diffidenza verso la capacità educativa degli uomini di religione. Prima che sia troppo tardi, è questa l'ora di provare a rinegoziare i termini di una nuova alleanza tra la Chiesa e le donne.
Il nichilismo giuridico ha tragicamente percorso il '900 e si prolunga nel nuovo secolo. Esso produce la fine del diritto e della giustizia, consegnati ad una volontà individuale arbitraria sciolta da ogni obbligo. Questa taglia i legami con la ragione e la persona, volgendosi alla potenza. Per fuoriuscire da tale esito occorre ripartire domandando che cosa sia diritto e che cosa nichilismo giuridico, e se esista qualcosa che non può mai diventare diritto, anche se votato da maggioranze
Il Regno delle due Sicilie terminò la sua esistenza a seguito di un processo di decomposizione interna accelerato dal moto risorgimentale che portò all'unificazione del nostro paese? Oppure a provocare il crollo del regime borbonico fu decisiva la pressione delle grandi "Potenze marittime" (Francia e Inghilterra) che, dalla metà del XIX secolo, tentarono di trasformare il Mezzogiorno in una colonia economica e in un avamposto strategico funzionale alla loro strategia mediterranea? Il volume di Eugenio Di Rienzo risponde a questi interrogativi, alla luce di una documentazione inedita, proveniente dagli archivi diplomatici francesi, inglesi, austriaci, russi, spagnoli, analizzando la lunga agonia del Regno di Napoli in una durata che va dal conflitto commerciale ingaggiato con la Gran Bretagna nel 1840, ai riflessi internazionali della rivoluzione del 1848, alla Guerra di Crimea, alla distruzione del vecchio equilibrio europeo successiva alla presa di potere di Napoleone III. Senza nessuna nostalgia neoborbonica ma con una grande attenzione ai problemi della storia presente, questo saggio suggerisce inoltre che la stessa debolezza geopolitica, che determinò il crollo del "Piccolo Stato" napoletano, avrebbe condizionato, fino ai nostri giorni, il destino della "Media Potenza" italiana nel segno di un passato destinato a non passare.
Spesso trascurata dai grandi circuiti di attenzione mediatica e considerata geopoliticamente irrilevante per la tradizionale dipendenza dalla potenza statunitense, di cui era raffigurata quale "cortile di casa", l'America Latina negli ultimi anni è andata guadagnando una maggiore centralità nello scacchiere globale. Ottimi trend di crescita economica, come testimoniato dalla presenza di tre Paesi dell'area nel G20, più ampia apertura al commercio internazionale, un apprezzabile consolidamento dei processi democratici (che allontanano il ricordo di passati regimi autoritari) propongono un'immagine nuova e dinamica del subcontinente. L'impetuosa crescita del Brasile, sul piano politico ed economico, ha inoltre dotato l'America Latina di una forza motrice per i processi di integrazione regionale che, arricchitisi di nuove iniziative (quali l'Unasur), possono favorirne stabilità e sviluppo. Dal canto suo, anche l'irrompere del Venezuela chavista e la sua politica di alleanze in un'ottica di antagonismo verso Washington ha profondamente alterato le consuete linee della geografia politica regionale. Oltre agli Stati Uniti ed ai Paesi europei, nuove forze a livello mondiale - Cina e Russia, su tutte stanno scoprendo il gusto della collaborazione con gli Stati latinoamericani e ne sono diventati partner di rilevanza strategica. Un ampio ventaglio di motivazioni giustifica pertanto l'attuale interesse che l'America Latina riesce a suscitare nell'attuale panorama "globalizzato".