
Friedrich A. von Hayek è stato nel Novecento il maggiore esponente della cultura liberale. Egli offre qui un suggestivo e agile affresco delle idee che si trovano alla base del liberalismo e delle vicende storiche prodotte dal movimento liberale. Il liberalismo è libertà individuale di scelta, che si rende possibile solo tramite la limitazione della sfera d'intervento del potere pubblico. È il "governo della legge", che si sostituisce al "governo degli uomini". E tuttavia lo schieramento liberale ha due anime: quella rigorosamente evoluzionistica, prevalente nella tradizione britannica, e quella razionalistica, prevalente nella tradizione continentale europea. Esse hanno trovato convergenza su alcuni "postulati essenziali", quali la libertà di pensiero, di parola, di stampa. Ma l'accordo ha carattere "meramente verbale": perché il liberalismo di tipo britannico ha assunto come "valore supremo" la libertà individuale, mentre il liberalismo di tipo continentale si è venuto quasi a identificare con il movimento democratico. Il che complica le cose. La democrazia e il liberalismo si occupano infatti di due differenti problemi. La prima si chiede a chi spetti governare; e la sua risposta è che tocca ai cittadini nel loro insieme. Il secondo pone invece la questione relativa all'estensione dell'intervento del potere pubblico; e la sua risposta è che quel potere deve svolgere un compito residuale, in modo da dare spazio alla più libera cooperazione sociale. Prefazione di Lorenzo Infantino.
Un volto inconfondibile che si presta a delle imprevedibili trasformazioni grazie a una sottile capacità di introspezione del personaggio da interpretare: Sergio Castellitto è l'erede dei mostri sacri del cinema italiano, attori in grado di calarsi in ogni ruolo mantenendo una precisa identità, in un gioco di immedesimazione che punta tutto sulla sottigliezza recitativa piuttosto che sul camaleontismo fisico. L'apparente normalità della recitazione, una naturalezza di gesti ed espressioni raggiunta grazie allo studio e all'applicazione, con decisive esperienze teatrali alle spalle. Questa naturalezza ha consentito a Castellitto di prestare il suo volto ad alcuni dei personaggi più amati dagli italiani, come Fausto Coppi, Enzo Ferrari e padre Pio, ed è in queste interpretazioni che l'attore svela un altro lato del suo carattere: l'umanità che abbatte qualsiasi mito e mistificazione. Un attore di estrema finezza che ha contribuito, negli ultimi trent'anni, al rinnovamento del cinema italiano legando il suo nome a quello di registi come Amelio, Bellocchio, Scola, Tornatore, Virzì, per poi imporsi anche all'estero, con una presenza ormai costante nel cinema francese, dove ha modo di farsi apprezzare da Jacques Rivette. Il libro ricostruisce minuziosamente la carriera di Castellitto con saggi e approfondimenti critici, che spaziano dalla recitazione alla regia, fino all'attività teatrale, e interviste allo stesso attore e ad alcuni dei registi che lo hanno diretto.
Una breve storia d'Inghilterra non è un testo per specialisti ma l'intervento di uno dei più importanti intellettuali del tempo che sente il bisogno di scrivere per illuminare il lato nascosto, dimenticato della storia del suo Paese. Due i bersagli polemici scelti: il primo si connette alla falsa origine anglosassone del popolo inglese sovrapposta dagli storici dell'Ottocento, con un'abile operazione culturale, al passato romano e cristiano, il secondo concerne il controverso ruolo assunto dall'aristocrazia nel Settecento; se per un verso fu la protagonista della definitiva affermazione del parlamento e della costruzione dell'impero, per un altro legò sempre più le sorti del Paese alla Germania contribuendo al definitivo distacco dell'Inghilterra dalle sue origini cristiane.
Gilbert K. Chesterton dedicò questa importante biografia letteraria finora inedita in Italia a Robert Louis Stevenson, l'autore de "L'isola del tesoro" e de "Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde". Da questo saggio, Stevenson emerge come un testimone inconsapevole di verità, "un pagano altamente onorevole, responsabile e valoroso, in un mondo traboccante di pagani che erano per la maggior parte molto meno cavalieri e onorevoli". Di più, Chesterton lo considera alla stregua di un teologo cristiano che restituisce nei suoi personaggi votati all'avventura l'inquietudine della caduta e la moralità della ricerca di senso in un mondo che attende di essere esplorato. L'intera sua opera appare a Chesterton una difesa della possibilità di essere felici, e una risposta alla domanda di felicità dell'uomo, che può essere assolta solo ritornando piccoli e capaci di stupore. Il brusco ritorno alla semplicità dell'infanzia, come espressione del profondo desiderio di raggiungere la felicità, è un fatto ricorrente in tutta la storia umana. E in questo sta, per Chesterton, "l'importanza del posto che Stevenson occupa nella storia letteraria".
Da secoli la fortezza silenziosa della Chiesa cattolica è la presenza delle donne: sono loro che principalmente trasmettono la fede alle nuove generazioni e sono sempre loro che con generosità portano a compimento numerosi ministeri ecclesiali. Eppure all'orizzonte appaiono i primi segni di rottura di questa intesa. Protagoniste di un tale cambiamento di rotta sono soprattutto donne che hanno tra i 20 e i 40 anni: vanno di meno a Messa, scelgono di meno il matrimonio religioso, pochissime ancora seguono una vocazione religiosa, e più in generale esprimono una certa diffidenza verso la capacità educativa degli uomini di religione. Prima che sia troppo tardi, è questa l'ora di provare a rinegoziare i termini di una nuova alleanza tra la Chiesa e le donne.
Il nichilismo giuridico ha tragicamente percorso il '900 e si prolunga nel nuovo secolo. Esso produce la fine del diritto e della giustizia, consegnati ad una volontà individuale arbitraria sciolta da ogni obbligo. Questa taglia i legami con la ragione e la persona, volgendosi alla potenza. Per fuoriuscire da tale esito occorre ripartire domandando che cosa sia diritto e che cosa nichilismo giuridico, e se esista qualcosa che non può mai diventare diritto, anche se votato da maggioranze
Il Regno delle due Sicilie terminò la sua esistenza a seguito di un processo di decomposizione interna accelerato dal moto risorgimentale che portò all'unificazione del nostro paese? Oppure a provocare il crollo del regime borbonico fu decisiva la pressione delle grandi "Potenze marittime" (Francia e Inghilterra) che, dalla metà del XIX secolo, tentarono di trasformare il Mezzogiorno in una colonia economica e in un avamposto strategico funzionale alla loro strategia mediterranea? Il volume di Eugenio Di Rienzo risponde a questi interrogativi, alla luce di una documentazione inedita, proveniente dagli archivi diplomatici francesi, inglesi, austriaci, russi, spagnoli, analizzando la lunga agonia del Regno di Napoli in una durata che va dal conflitto commerciale ingaggiato con la Gran Bretagna nel 1840, ai riflessi internazionali della rivoluzione del 1848, alla Guerra di Crimea, alla distruzione del vecchio equilibrio europeo successiva alla presa di potere di Napoleone III. Senza nessuna nostalgia neoborbonica ma con una grande attenzione ai problemi della storia presente, questo saggio suggerisce inoltre che la stessa debolezza geopolitica, che determinò il crollo del "Piccolo Stato" napoletano, avrebbe condizionato, fino ai nostri giorni, il destino della "Media Potenza" italiana nel segno di un passato destinato a non passare.
Spesso trascurata dai grandi circuiti di attenzione mediatica e considerata geopoliticamente irrilevante per la tradizionale dipendenza dalla potenza statunitense, di cui era raffigurata quale "cortile di casa", l'America Latina negli ultimi anni è andata guadagnando una maggiore centralità nello scacchiere globale. Ottimi trend di crescita economica, come testimoniato dalla presenza di tre Paesi dell'area nel G20, più ampia apertura al commercio internazionale, un apprezzabile consolidamento dei processi democratici (che allontanano il ricordo di passati regimi autoritari) propongono un'immagine nuova e dinamica del subcontinente. L'impetuosa crescita del Brasile, sul piano politico ed economico, ha inoltre dotato l'America Latina di una forza motrice per i processi di integrazione regionale che, arricchitisi di nuove iniziative (quali l'Unasur), possono favorirne stabilità e sviluppo. Dal canto suo, anche l'irrompere del Venezuela chavista e la sua politica di alleanze in un'ottica di antagonismo verso Washington ha profondamente alterato le consuete linee della geografia politica regionale. Oltre agli Stati Uniti ed ai Paesi europei, nuove forze a livello mondiale - Cina e Russia, su tutte stanno scoprendo il gusto della collaborazione con gli Stati latinoamericani e ne sono diventati partner di rilevanza strategica. Un ampio ventaglio di motivazioni giustifica pertanto l'attuale interesse che l'America Latina riesce a suscitare nell'attuale panorama "globalizzato".
Un'istituzione quale lo Stato moderno, che fin dai suoi primi passi si è autorappresentata quale sovrana e interprete di un potere assoluto (libero da ogni vincolo), è del tutto incomprensibile se non si coglie il legame che da sempre essa intrattiene con la teologia. Dal momento che pretende obbedienza e rivendica un controllo monopolistico della forza sul territorio, lo Stato intreccia insomma questioni istituzionali e religiose: prima rivendicando una legittimazione di carattere sacrale e utilizzando la religione quale instrumentum regni, poi prospettandosi come alternativa metafisica e fonte autentica di ogni possibile salvezza e, infine, interpretando il venir meno di ogni trascendenza e il trionfo dello strumentalismo. Il presente volume, che evoca un gran numero di questioni e autori senza avere la presunzione di individuare una soluzione definitiva a dibattiti tanto complessi, traccia un percorso volto a chiedersi se si possa davvero aver fede nello Stato, facendone il senso ultimo della nostra esistenza, e prestar fede a quanto affermano gli ideologi schierati a sua difesa. Il tema della teologia politica e quello della dissimulazione - dello Stato quale fonte di occultamento della realtà - sono d'altro canto strettamente legati, dato che l'aperta sfida che il potere moderno ha lanciato alle confessioni religiose propriamente dette lo ha costretto a moltiplicare le falsificazioni e gli inganni.
Il lavoro esamina le decisioni di politica economica susseguitesi in Italia dalla nazionalizzazione dell'industria elettrica in poi, definendole "eresie", ossia dottrine contrarie ai dogmi della razionalità economica, le quali hanno dato vita a puri "esorcismi", riti che hanno lasciato le cose come prima. Infatti, nonostante le promesse di tagli, la spesa pubblica è continuata a crescere imperterrita, come pure, ma meno, la pressione fiscale, facendo così lievitare l'indebitamento pubblico. Lo Stato si è impossessato di metà del reddito annuo del Paese e non pare ancora soddisfatto, dato che va aggredendo in modo indistinto la ricchezza. L'autore individua nella "manovra" la madre di tutti i mali, una pratica di cui si avvale ora anche l'Unione Europea. La crisi che stiamo vivendo è il conto che gli italiani sono chiamati a pagare per gli errori commessi dagli Stati Uniti nel dopo Bretton Woods, non avendo adeguato le regole sul piano della moneta e dei cambi, e dall'Unione Europea nel dopo Trattato di Maastricht, per non aver attuato il disegno di unificazione politica che l'aveva indotta a creare l'euro. Il lavoro indica anche le "scelte giuste" da prendere per riportare l'Italia sul sentiero della ripresa produttiva e dell'occupazione. Il lavoro si chiude con un esame critico della Manovra Monti e delle decisioni prese a Bruxelles il 9 dicembre scorso che sono la continuazione della concezione di una "vecchia" Europa.

