Una donna di cinquant’anni viene assassinata in modo brutale nella casa in cui vive da sola; il volto è sfigurato e sul cadavere è poggiata una lettera d’amore: «Cara Pauline, sai che ti ho amato moltissimo e che ti amo ancora. Tu invece non mi ami più e io non ho avuto altra scelta se non quella di ucciderti» e sotto la firma: Demostene. Quando Aurora, una ragazza ecuadoriana che lavora come badante, viene uccisa con le stesse modalità, si comincia a sospettare che si tratti di un serial killer. Le indagini presto conducono a scoprire che entrambe le donne si erano rivolte negli ultimi tempi a un’agenzia matrimoniale di cui però pare si siano perse le tracce, una specie di agenzia fantasma dall’improbabile nome «Vita futura». Petra Delicado vorrebbe investigare a modo suo, naturalmente al fianco di Fermín Garzón con cui l’intesa è perfetta, ma stavolta non è lei a dare gli ordini perché il caso viene affidato a un ispettore della polizia regionale catalana - Roberto Fraile dei Mossos d’Esquadra -, nonostante sia più giovane di lei e abbia meno esperienza. Relegata a un ruolo subalterno l’irritazione di Petra sale presto alle stelle e la spinge a dedicarsi alle indagini con meno impegno del solito, rischiando di provocare equivoci ed errori, in un caso che si fa sempre più inquietante e delicato. Il nuovo attesissimo romanzo di Alicia Giménez-Bartlett affronta argomenti forti come la morte, la follia, la solitudine nelle grandi città, la questione catalana, ma l’umorismo dell’autrice spagnola è capace di trasformare anche la storia più nera in un’esperienza quasi felice.
Un biografo ha scritto che «una singola sillaba in Kafka può suscitare le emozioni del lettore fin nel profondo». Ecco, io sono uno di questi. Nel mio caso si tratta di una parola, benché a variare siano solo due sillabe. La parola è Strassenlampen (lampioni), e sta all’inizio della seconda parte della Metamorfosi. Tutto è cominciato quando mi sono accorto che nella più classica traduzione italiana invece dei lampioni c’era un tram. Come si fa a prendere un tram per dei lampioni? Ho guardato in giro: in una quantità di traduzioni nelle più diverse lingue sbucava il fantomatico tram. Che in tedesco si chiama Strassenbahn. Se un commesso viaggiatore può svegliarsi trasformato in uno scarafaggio, direte, anche un lampione può trasformarsi in un tram. L’apparente strafalcione, tram per lampioni, era già nella prima traduzione della Metamorfosi, uscita anonima nel 1925, un anno dopo la morte di K. Risalendone la peripezia ci si imbatte nell’appropriazione indebita di quella traduzione da parte di un gran signore delle lettere universali come Jorge Luis Borges. La traduttrice vera era Margarita Nelken, una donna spagnola dalla vita brillante, tumultuosa e triste.
Non era questo però a motivare il fervore che mi aveva preso. Il fatto è che a un certo punto mi è sembrato che il tram al posto dei lampioni fosse più bello, e che illuminasse la conclusione stessa del racconto. E non fosse un errore – Strassenlampen e Strassenbahn possono confondersi – ma una variante introdotta dallo stesso Kafka. Proporre una correzione addirittura della Metamorfosi è quasi come sfidare la lettera delle sacre scritture per le quali si fanno guerre micidiali. La filologia laica risparmia lo spargimento di sangue, tutt’al più qualche spargimento di cattedre. Ma è stato bello immaginarsi alleato di Kafka contro l’ordine tipografico costituito. Lettrici e lettori scusino le pagine pedanti: si possono saltare e riprendere dove la trama – il tram – torna sui suoi binari. A. S.
Il Venerdì Santo del 1890, durante la sacra rappresentazione che si tiene nei giorni della Settimana Santa, definita popolarmente il «Mortorio», il ragioniere Antonio Patò, che interpreta il personaggio di Giuda, scompare nella botola predisposta sul palcoscenico. Solo che al momento di ricevere gli applausi, del ragionier Patò non c’è più traccia. Che fine ha fatto? Il caso diventa l’argomento del giorno per i giornali locali, «l’Araldo di Montelusa» e la «Gazzetta dell’Isola». Delle indagini si occupano sia il Delegato di Pubblica Sicurezza che il Maresciallo dei Carabinieri che attraversano tutte le ipotesi, dalla perdita di memoria alla fuga d’amore, dal delitto di mafia, a problemi legati alla Banca di Trinacria di cui Patò è direttore, e non mancano supposizioni eccentriche, a metà tra la scienza e il mistero. Lasciamo la parola allo stesso Camilleri: «Questo libro intende essere una sorta di summa di temi che mi sono cari. Però, una volta tanto, volti decisamente al divertimento. Si tratta di un’indagine portata avanti congiuntamente dalla polizia e dai carabinieri dell’epoca al fine di arrivare al bandolo di questa matassa. Mi sono inventato una quantità di cose, partendo solo da questo esile spunto. Questo Patò, ragioniere scomparso, in realtà è il nipote di un senatore, che è sottosegretario agli interni. Per questa scomparsa si mobilita il mobilitabile. Il senatore è abbastanza chiacchierato, e pare che si serva del nipote, direttore della filiale di Vigàta di una banca, per gestire i suoi loschi traffici. Quindi, tutto è possibile sulla scomparsa di Patò. Naturalmente, la verità poi sarà rivelata da due poveracci indagatori, che partiti come il cane e il gatto all’inizio, veri nemici giurati, si ritrovano sempre più affratellati, via via che questa indagine dimostra la pericolosità delle loro carriere». s
Ghezzi e Carella, Monterossi e Falcone: due coppie di detective e un delitto nella Milano ricca. Tra ironia e amara analisi sociale, un thriller intrecciato con mano sicura da un abile narratore.
«E ho pensato che avevo sbagliato vita, che così non andava bene, e che intanto mi ero perso delle cose, e moltissime altre, forse più importanti... cose... persone... a cui ho pensato sempre...».
Umberto Serrani è un elegante, anziano, ricco signore cullato dai suoi rimpianti. Riservato, distaccato, finalmente padrone del suo tempo dopo una vita passata a «mettere al sicuro» le fortune altrui, specie se sospette e ingombranti, un lavoro che gli ha permesso di tessere legami invisibili che arrivano dappertutto.
Quando apprende della morte di Giulia – un amore di venticinque anni prima, intenso, totale, un rimpianto mai sopito – decide di capire, agire, pagare vecchi debiti. Vuole sapere di quella morte assurda che sembra uno scippo finito male, chi è stato, perché. E vuole sapere tutto di quella donna per tanti anni amata nel silenzio e nella lontananza, della sua vita solitaria e ordinata, delle sue speranze e delle sue difficoltà, della figlia Sonia, promettente soprano.
Assolda per questo una coppia di strani investigatori, Carlo Monterossi e Oscar Falcone: il primo è un mago della televisione, che però odia; il secondo sa nuotare in tutti gli ambienti e ha uno speciale sesto senso per le cause giuste. Intanto, sull’omicidio lavorano anche Ghezzi e Carella, sovrintendenti di polizia, «due cani da polpaccio», che vogliono chiudere il caso, fare giustizia, capire.
I quattro, indipendentemente gli uni dagli altri, dragheranno le acque fetide che hanno inghiottito Giulia, con il sottofondo delle arie d’opera in cui la giovane Sonia si esercita per realizzare il suo sogno.
Ogni libro di Alessandro Robecchi contiene personaggi, intrecci e tanta materia narrativa da poterne ricavare più romanzi; dialoghi tesi, un parlato da duri e un esemplare umorismo di costume sui nostri tempi. E le sue storie traggono sempre spunto da un’amara osservazione sociale e umana. In Follia maggiore c’è l’agonia silenziosa del ceto medio che attrae appetiti criminali, e un malinconico «discorso dei rimpianti» sulle cose perdute che non torneranno. Mai.
Si può curare il cuore spezzato con Emily Brontè e il mal d'amore con Fenoglio, l'arroganza con Jane Austen e il mal di testa con Hemingway, l'impotenza con "Il bell'Antonio" di Vitaliano Brancati, i reumatismi con il "Marcovaldo" di Italo Calvino, o invece ci si può concedere un massaggio con Murakami e scoprire il romanzo perfetto per alleviare la solitudine o un forte tonico letterario per rinvigorire lo spirito. Questo suggeriscono le ricette di un libro di medicina molto speciale, un vero e proprio breviario di terapie romanzesche, antibiotici narrativi, medicamenti di carta e inchiostro, ideato e scritto da due argute e coltissime autrici inglesi e adattato per l'Italia da Fabio Stassi, e che oggi viene presentato in una nuova edizione accresciuta con circa trenta nuove ricette delle autrici e altrettante del curatore italiano. Se letto nel momento giusto un romanzo può davvero cambiarci la vita, e questo prontuario è una celebrazione del potere curativo della letteratura di ogni tempo e paese, dai classici ai contemporanei, dai romanzi famosissimi ai libri più rari e di culto, di ogni genere e ambizione. Queste ricette per l'anima e il corpo, scritte con passione, autorevolezza ed elegante umorismo, propongono un libro e un autore a rimedio di ogni nostro malanno, che si tratti di raffreddore o influenza, di un dito del piede annerito da un calcio maldestro o di un severo caso di malinconia. Le prescrizioni raccontano le vicende e i personaggi di innumerevoli opere, svelano aneddoti, tratteggiano biografie di scrittori illustri e misconosciuti, in un invito ad amare la letteratura che ha la convinzione di poter curare con efficacia ogni nostro acciacco. Non mancano consigli per guarire le idiosincrasie tipiche della lettura, come il sentirsi sopraffatti dal numero infinito di volumi che ci opprimono da ogni scaffale e libreria, o il vizio apparentemente insanabile di lasciare un romanzo a metà.
Un anno in giallo raccoglie 12 racconti, uno per ogni mese dell’anno; ogni autore ha scelto il «suo» mese, ambientando lì, in quel tempo dell’anno, una storia con il «suo» investigatore. Ad aprire la raccolta con il mese di gennaio è naturalmente Andrea Camilleri, il capostipite, colui che ha impresso al romanzo giallo un segno irripetibile, creando con il commissario Montalbano un personaggio che è ben saldo nella mente e nel cuore dei suoi infiniti lettori di ogni parte del mondo. Poi, mese dopo mese, tutti gli altri investigatori: quelli istituzionali come il vicequestore Schiavone di Antonio Manzini, l’ispettrice Petra Delicado con il vice Fermín di Alicia Giménez-Bartlett. I detective per caso: i sicilianissimi Saverio Lamanna e Lorenzo La Marca così simili ai loro autori, Gaetano Savatteri e Santo Piazzese, il biblioterapeuta Vince Corso inventato da Fabio Stassi, l’autore televisivo Carlo Monterossi, personaggio di Alessandro Robecchi, e Kati Hirschel, la libraia di Istanbul, patria di Esmahan Aykol. Infine gli investigatori corali: il condominio della casa di ringhiera capeggiato da Amedeo Consonni di Francesco Recami e i goliardici vecchietti del BarLume di Marco Malvaldi. Due personaggi fanno qui la loro comparsa per la prima volta: l’avvocato Cornelia Zac, frutto della fantasia e della professione legale di Simonetta Agnello Hornby, e la poliziotta Angela Mazzola, in servizio alla sezione antirapina della Mobile di Palermo, creatura di Gian Mauro Costa. Le due nuove detective di cui facciamo conoscenza in questa antologia saranno presto protagoniste di romanzi.
Dalla paura dei fantasmi ai problemi con i genitori, dal bullismo alla tempesta ormonale, vi sono occasioni in cui non esiste rimedio più efficace di leggere un bel libro. Forse perché il modo migliore per aiutare i bambini e i ragazzi a superare un momento difficile è invitarli a scoprire una storia che parli proprio di loro, di chi è tormentato a scuola, di chi si innamora per la prima volta, di chi vuole a tutti i costi un cagnolino oppure ha timore di addormentarsi da solo. I libri per bambini riescono ad affrontare problemi complessi ed emozioni profonde con immaginazione e trascinante allegria, possono far provare qualche brivido o commuovere, ma sempre regalano un’esperienza capace di arricchire la nostra vita.
Le biblioterapiste Ella Berthoud e Susan Elderkin, autrici del popolare Curarsi con i libri, consigliano i testi più belli – a partire dai volumi illustrati e dalle favole fino ai romanzi per ragazzi, – per la bambina timida e presa in giro, per la teenager che vuole essere indipendente, per chi ha il singhiozzo o ha subito una delusione d’amore, o semplicemente per tutti coloro che sono indecisi sulla prossima lettura. Allo stesso tempo Crescere con i libri si rivela prezioso per i genitori, i nonni, padrini e madrine, amici, insegnanti, bibliotecari, zii vicini e lontani, che si trovano nell’invidiabile posizione di dover scegliere cosa regalare ai loro piccoli.
Organizzato come un dizionario medico, a ogni «malanno» viene accostata una cura, un consiglio di lettura dotato di proprietà terapeutiche, sotto forma di una storia, di un racconto breve, di una saga, il tutto suddiviso per età e complessità. L’edizione italiana, curata da Fabio Stassi, è arricchita da molte voci in cui si scoprono classici senza tempo e titoli più moderni e contemporanei, famosi o dimenticati. Crescere con i libri, con la sua passione e la sua ironia, è il prontuario ideale per invitare i giovani lettori a scoprire uno dei grandi piaceri della vita.
Trenta storie, divertenti e sorprendenti, con protagonista Montalbano. «Ladri, suicidi veri e suicidi non veri, un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese» (Salvatore Silvano Nigro).
Montalbano ha talvolta una franchezza insolente. È capace di rispostacce. Ma anche di una scanzonata levità. Lo soccorre l’ironia. E l’autoironia. Il commissario vanta «sangue di sbirro», senza frenesie però. Si prodiga persino in indagini «a ritroso nel tempo», che lo convincono a lasciare sepolto nelle macerie della storia il tragico segreto da lui scoperto; oppure preferisce condurre un’inchiesta parallela, stando nell’ombra, con la consueta vigilanza, con un sorriso arguto, e una sollecitudine anonima. Arriva a sentire inappropriata la divisa del detective armato di binocolo. L’indossa, solo per ridicolizzarsi: «Era atterrito all’idea che qualcuno del paìsi potesse vederlo col coppo... e un binocolo da teatro in mano intento a scrutare, proprio in cima al molo, non l’orizzonte, ma gli scogli che stavano sotto a lui». Ricorre all’«inquadratura» dei particolari più invisibili, ma «a fiuto» e «a pelle», con l’intuito e i sensi: «In questo consistevano il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l’anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l’insieme... Nel mondo che il suo occhio inquadrava qualcosa stonava». La collaborazione tra l’olfatto, la vista, e il tatto, lo dota di percezioni sinestesiche; gli fa incrociare sfere sensoriali diverse: «l’angoscia densa, la desolazione palpabile, la disperazione visibile... fetevano di un giallo marcio». Montalbano non dismette le «travediate». Ma ricorre anche a un marchingegno letterario. Ordina in racconto convincente i risultati della sua filologia investigativa (attenta pure a quella singola parola che apre «un abisso di sottintesi»); e garbatamente mette in campo la «storia» raccontata per accordare le parti in causa sulla verità dei fatti: e capita che la verità esiga l’indulgenza di Montalbano per l’umana debolezza. «E ora che fare?». La verità è stata acquisita. «E poi?», dice Montalbano: doveva essere, sempre e comunque, un giustiziere? Il turbamento del commissario ha la profondità morale dell’ansia notturna dell’Innominato nei Promessi sposi: «E poi? che farò... che farò?». Un mese con Montalbano è una raccolta di trenta racconti, già pubblicata da Mondadori nel 1998. Se è vero che il racconto sta al romanzo come una fotografia sta a un film, è anche vero che la sequenza delle «situazioni» del libro si configura come un film-romanzo in trenta episodi-capitoli. Qualche flashback sugli anni giovanili del commissario completa e arricchisce il «romanzo», dentro il quale convivono ladri, suicidi veri e suicidi non veri (e non è detto che un omicidio sia davvero omicidio), un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese. Salvatore Silvano Nigro
Emilio Isgrò scrive in copertina con il gessetto, come su una lavagna, la parola “Autocurriculum”, dopo aver cancellato con la manica della giacca la parola “Autobiografia”. Con questo teatrale sabotaggio di un genere letterario, si innalza sopra il personaggio omonimo che, dentro il libro, tra le righe d’inchiostro di una finzione curriculare, si fa viandante alla costante ricerca di un lavoro e del sentimento del mondo.
In un posto isolato e bellissimo della Maremma toscana, un'enorme tenuta tra le colline e il mare, si ritrova una compagnia di persone diverse tra di loro. È un appuntamento del destino, anche se non lo sanno. Si sta decidendo se vendere o no, a un gruppo finanziario cinese, la proprietà dove dimorano. E per ciascuno di loro, Poggio alle Ghiande è qualcosa di più che un semplice grande podere. I due proprietari, i gemelli Zeno e Alfredo Cavalcanti, sono divisi, pur senza aperta discordia; l'uno è un sofisticato collezionista d'arte che si è ritirato da decenni nella sua tenuta, l'altro è un broker di mondo i cui affari non vanno sempre a gonfie vele. La questione tocca in misura diversa i vari residenti che affittano i pochi alloggi nella tenuta. Quelli che invece sono ferocemente attaccati alla terra sono due famigli: il vecchio Raimondo, una specie di fattore misantropo che è stato lunghi anni in manicomio; e Piotr, un inquietante polacco fanatico religioso che fa il cameriere. Sono ospiti della villa anche Margherita, bella filologa chiamata a ordinare la collezione di Zeno, e Piergiorgio Pazzi, un genetista. Quest'ultimo incaricato di fare da esecutore di una singolarissima scommessa dalla quale dipenderà se vendere o meno. Una notte, un incendio improvviso divora il bosco di Poggio alle Ghiande e dentro il cerchio delle fiamme si ritrova il cadavere di Raimondo. E mentre sul vecchio fattore e su una certa opera di Ligabue scomparsa cominciano a circolare dicerie, un secondo omicidio toglie ogni dubbio sulla presenza di un assassino. Il mistero di quelle morti sta negli occhi di chi guarda. Per Marco Malvaldi la cura dei personaggi riveste un ruolo fondamentale, non solo perché su di essi si impernia il gioco delle parti da commedia gialla dei suoi romanzi (l'umorismo), ma anche perché ognuno pur nella sua individualità viene a rappresentare un pezzo di mondo, un pezzo di costume, un pezzo di società (la satira). Così in questi misteri si respira una suspense un po' da Agatha Christie - con un salotto di personaggi strani messi a interagire e ognuno con il suo mistero sospetto - e un'aria frizzante un po' da Fruttero&Lucentini - con una satira di costume che non fa generalizzazioni.