
La necessità di tornare a formulare le esigenze etiche anche nel campo economico ha richiesto la rimessa in discussione della relazione tra etica ed economia. Un contributo significativo teso a conferire alla visione della «ricchezza» e dello «sviluppo» una declinazione antropologica ed etica è certamente quello di Amartya K. Sen, economista indiano, premio Nobel per l'economia nel 1998. Il confronto con la visione di Amartya K. Sen intende contribuire alla elaborazione di una proposta teorica in grado di rendere conto della prospettiva dello sviluppo umano sulla base di principi non esclusivamente economici.
La contestazione cattolica esplosa dopo il Concilio vaticano II scosse in profondità l'intera Chiesa, con tensioni che fecero apparire prossima una lacerazione insanabile dei due esiti estremi, scisma e abbandono. Tra gli anni Sessanta e Settanta, i numerosi gruppi del dissenso cattolico progressista, come i meno diffusi circoli tradizionalisti, si caratterizzarono per il loro radicalismo politico e religioso, con iniziative spesso clamorose che si alimentarono e diffusero a contatto con le manifestazioni del sessantotto. Il libro ricostruisce, anche attraverso documenti inediti, le vicende dei gruppi cattolici che in Europa occidentale e, in particolare, in Italia intesero rivoluzionare il presente per costruire la Chiesa e la società del futuro. Si trattò di una stagione di conflitti, breve e intensa, che non fu senza conseguenze: l'onda lunga delle trasformazioni maturate in quegli anni, attraverso traiettorie anche molto diverse, è arrivata fino ad oggi.
Il problema del rapporto col potere politico è una costante nella storia della Chiesa. Nel Novecento il problema ha manifestato profili nuovi, conseguenti ai due diversi volti assunti dallo Stato: ideologico nelle grandi dittature, secolarizzato e laico nelle democrazie pluraliste. Il confronto con queste due diverse espressioni ha provocato nell'esperienza giuridica della Chiesa rilevanti modificazioni per la codificazione canonica e la pratica concordataria. In particolare, se il codice canonico del 1917 risulta costruito sul paradigma del rapporto con uno Stato caratterizzato dalle pretese giurisdizionalistiche, la codificazione del 1983 segna l'affronto della Chiesa con il secolarismo e l'insinuante tentazione laicistica, talora ammantata delle vesti della laicità. Quanto ai concordati, si nota una metamorfosi profonda rispetto alla tradizione forgiata dal Concordato napoleonico del 1801. Essa attiene ai soggetti contraenti, ai contenuti delle disposizioni, ai beneficiari di queste. In sostanza questi accordi internazionali tendono a divenire una delle espressioni d'elezione di una Chiesa che rivendica per tutti, e non solo per sé, la libertà religiosa individuale, collettiva, istituzionale e che tende a rivestire a livello planetario il ruolo di "difensore d'ufficio" dell'uomo.
Il volume costituisce un'introduzione al senso della teologia fondamentale e ripercorre storicamente come la teologia ha cercato di dare forma all'esortazione dell'autore sacro di "rendere ragione della speranza cristiana". I capitoli del testo si occupano dei momenti più significativi per la disciplina: l'età dei padri della Chiesa (con l'analisi di autori come Tertulliano, Giustino, Clemente, Origene, Eusebio, Agostino), la teologia medievale (Anselmo, Bonaventura, Tommaso), quindi lo snodo decisivo della modernità in cui l'apologetica a seguito della critica soprattutto deista della rivelazione progressivamente assume la struttura della triplice "demonstratio" durata fino al Novecento. Senza trascurare posizioni diverse come quelle di Pascal e Newman, l'analisi si concentra poi su alcuni modelli di teologia fondamentale nel sec. XX (Blondel, Rahner, Alfaro, Balthasar, Verweyen, Waldenfels), alcuni dei quali sorti dalla crisi del modello neoscolastico. Infine viene presentata un'idea di teologia fondamentale che articola la disciplina in un momento fondativo ed in uno contestuale. Prefazione di Giuseppe Lorizio.
Aperto ancora da un saggio interpretativo e chiuso da una prosopografia dei personaggi e delle istituzioni più rilevanti dei tre tomi procurata da Alessandro Angelo Persico e Goffredo Zanchi, il volume dedicato agli anni 1913-1914 conclude il trittico dei contributi di Angelo Giuseppe Roncalli a «La vita diocesana». Dopo il volume borromaico e il tomo centrato sul confronto con il moderno, "Anni di prova" testimonia il declino dell'attività di Roncalli redattore. Questo declino fu giustificato dal contesto generale e dalle circostanze particolari nelle quali il segretario di Radini Tedeschi si trovò a vivere. Il contesto generale è quello che portò allo scoppio del primo conflitto mondiale; la rapida accelerazione degli eventi - che sembrò in un primo momento non toccare l'Italia - si saldò alle circostanze particolari del declino fisico del vescovo di Bergamo. Il futuro papa Giovanni XXIII aveva scritto molto negli anni in cui l'attività del suo vescovo fu più intensa, poiché egli non poteva sapere che a tale attivismo sarebbe seguito un progressivo esaurimento. Le pagine della «Vita diocesana» dedicate alla morte di Radini mostrano fino a che punto gli anni 1913 e 1914 siano stati per Angelo Roncalli davvero "Anni di prova", a conclusione di una esperienza redazionale che fu anche una esperienza umana, destinata a segnare in profondità il punto di vista roncalliano sulla realtà.
"L'Università rischia la dimenticanza? I problemi sembrano essere altri, teorici e pratici, rispetto ai programmi, a tematiche di cui è stata compresa l'imprescindibilità rispetto a punti di vista sui quali parrebbe prevalsa l'obsolescenza del sapere. Chi frequenti le aule universitarie o anche soltanto np raccolga echi di non sicura autorevolezza, il problema deve porselo. Si può prescindere da qualcosa di sostanziale, è raffigurabile un apprendere lacunoso, discontinuo, affidato alla curiosità e non alla scelta, e ancor prima alla convivenza sinottica del diverso? I devoti all'Università, quelli che vi hanno cercato e spesso trovato novità insospettate, implicazioni illuminanti, e all'opposto fondamenti fallaci almeno da rettificare a vantaggio dell'intero sapere, costoro formano un esercito - il termine può far sorridere, ma eccede assai meno di quanto sembri - che impedirà l'oblio, il passare accanto irridente e saccente. Proprio così. La scuola universitaria ha impartito lezioni che altri, dopo averle ascoltate, ha potuto convertire, a condizione di non opporvisi, in un'evidenza che potrebbe chiamarsi originaria o, ancor meglio, originante. Che la prassi o il cosiddetto modo di vivere possano rifiutarsi di rinunciare alla consapevolezza di un sapere che fornisce motivate risposte a quesiti semplicemente oggettivi, ai quali può se mai chiedersi la gradualità del chiedere, è legittimo e ovvio. Ma perché chiedere, se non ci fosse l'inevidente accanto all'ovvio e l'assoluto accanto al precario? L'Università, questo è vero, ne ha un imprescindibile bisogno. Chi tutto voglia relativizzare, si trova nell'impossibilità di esistere, che ha pur sempre la dignità di essere tale, e non puramente o semplicemente la casualità di un evento fortuito. E non basta restare quel che si è: occorre crescere, sollevare problemi, aver l'aria di lavorare contro i propri gusti e interessi. Comanda il pensiero, diciamolo francamente: «in principo erat Verbum»..." (Vincenzo Cappelletti)
L'importanza trasversale che le tecnologie digitali hanno raggiunto all'interno dei diversi livelli di organizzazione sociale non è andata del tutto ad intaccare o destabilizzare forme e modelli di comunicazione in essi ormai consolidati. Accanto alle innovazioni introdotte dai digitai media, forme e modelli della comunicazione di tipo più tradizionale e mainstream mantengono una loro validità euristica. Ciò nella misura in cui essi si rivelano coerenti all'organizzazione sociale all'interno della quale trovano spazio di espressione. I saggi raccolti nel volume si sviluppano attorno a tra aree di interesse: la comunicazione, l'interculturalità e le organizzazioni complesse, individuando diversi ambiti di osservazione. In ciascuno di essi si analizzano le opportunità e le insidie connesse all'applicazione di strategie comunicative che fanno da ponte tra il vecchio e il nuovo, evidenziando come potenzialità e criticità possono essere comprese e analizzate solo se adeguatamente contestualizzate. L'idea attorno a cui convergono le riflessioni degli autori è quella della necessità di competenze comunicative di tipo specialistico, rispettose delle istanze che ciascuno degli ambiti presi in esame solleva e capaci di leggere ed intercettare i mutamenti a cui i diversi livelli di organizzazione sociale oggi sono chiamati a far fronte.
Il monaco benedettino Henri Le Saux (1910-1973) è stato protagonista di una delle vicende teologiche e spirituali più singolari del Novecento. Egli, infatti, nel 1950, insieme a Jules Monchanin, ha prima fondato in India l'ashram di Shantivanam - che rappresenta a tutt'oggi una pionieristica testimonianza di inculturazione monastica -, ed ha successivamente condiviso la vita ascetica degli eremiti e dei monaci itineranti indù, giungendo a sperimentare, come prete e monaco cattolico, l'esperienza spirituale dell'advaita, ovverosia quell'unione mistica col divino che l'induismo vedantico legge in termini di non-dualità, che egli ha cercato di ricomprendere in chiave cristologica e trinitaria.
In un editoriale non firmato del 27 marzo 1957, «L'Osservatore Romano» parlava dell'«avvenimento politico più importante e più significativo della storia moderna della Città eterna». A sessant'anni di distanza dalla firma dei Trattati di Roma (25 marzo 1957), il presente volume indaga sul contributo della Santa Sede e degli ambienti cattolici (vescovi, preti, religiosi, movimenti e associazioni laicali, partiti di ispirazione democristiana) alla nascita delle prime istituzioni europee (Consiglio d'Europa, CECA, CED, CEE). L'Unione europea è stata vista per un lungo tempo come un "club cristiano", quando non come una "impresa del Vaticano". All'inizio degli anni cinquanta il mito di un'"Europa vaticana" ha conosciuto una singolare fortuna. Nel suo "Journal du septennat" (1951), il presidente della repubblica francese Vincent Auriol ricordava «la triplice alleanza, Adenauer, Schuman, De Gasperi, tre tonsure sotto lo stesso zucchetto». Se questo studio da un lato ridimensiona il ruolo svolto dai cattolici nella costruzione dell'Europa unita sul piano istituzionale tra il 1947 e il 1957, dall'altro tende a dimostrare l'apporto decisivo della Chiesa di Pio XII come forza transnazionale nella diffusione di un autentico "spirito europeo" dopo la seconda guerra mondiale. Di fronte al rischio di una frammentazione dell'Europa e del ritorno dei nazionalismi mortiferi della prima metà del secolo scorso, si fa sentire, viva e urgente più che mai, la necessità di "reiventare l'Europa" ritornando al messaggio dei padri fondatori.