Esiste la possibilità di dialogo tra scienza e religione? Oppure non c'è alcuna vicinanza tra il "ragionar di Dio" e "il ragionar sulla natura"? Il dibattito culturale attuale è spesso polarizzato tra chi considera completamente antitetici l'approccio scientifico alla realtà e quello religioso (in particolare quello delle religioni storiche come il cristianesimo), e chi tenta di strumentalmente di piegare risultati scientifici a tesi teologiche. Il presente volume vorrebbe invece fondare il dialogo tra sapere scientifico e discorso teologico a partire da una comune eredità. All'interno delle idee della scienza (in particolare nella più fondamentale delle scienze, cioè la fisica) e di quelle con cui l'uomo dice e pensa Dio (in particolare il Dio cristiano) esistono strutture di pensiero che sono comuni ad entrambe le esperienze. Esse sono talmente radicate in profondità che suggeriscono un'ipotesi a prima vista sorprendente: la scienza è un'eresia cristiana, l'ultima grande eresia cristiana. Il testo prende in esame alcune categorie di pensiero comuni allo sviluppo della scienza e della teologia cristiana e propone delle nuove sfide per la teologia attuale a partire dagli ultimi paradigmi della scienza moderna, che potrebbero trovare spazio all'interno di una teologia che voglia confrontarsi fino in fondo con i risultati della scienza contemporanea.
Heinrich Denifle è stato un insigne medievista, archivista, studioso della mistica tedesca e di Lutero. I suoi meriti scientifici furono riconosciuti da numerose università, che gli avevano conferito il titolo di doctor honoris causa; e varie accademie, poi, lo avevano annoverato tra i propri soci. I suoi contributi ai vari aspetti della storia del periodo compreso tra il 12 e il 16 secolo e, poi, alle vicende delle università medioevali, sono stati decisivi e su di essi si è innestata la ricerca ulteriore. L'intento di fondo è quello di offrire un contributo per la chiarificazione del suo rapporto con Brentano e di dare alla stampe il carteggio che finora ci è pervenuto. Denifle nel 1862, dopo il suo ingresso nell'ordine domenicano, ebbe come compagno di noviziato Brentano. Quei pochi mesi di convivenza nel convento di Graz furono decisivi per il suo successivo cammino intellettuale e personale. Il carteggio intercorso tra i due autori, che va dal 1867 al 1871, pone in risalto aspetti finora obliterati, e cerca di chiarire un capitolo fondamentale di una storia che riguarda tutta la cultura europea in una sua fase di profonda trasformazione, con eventi culturali che hanno connotato un'epoca e sono a monte di non poche correnti ed indirizzi filosofici (ma anche teologici) tuttora operanti e che da Brentano o da Denifle in un modo o nell'altro hanno tratto l'abbrivo.
Intendendo offrire un contributo alla riflessione che ha accompagnato la ricorrenza del cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, l'Istituto Paolo VI di Brescia ha dedicato il suo XII Colloquio Internazionale di Studio a tracciare un bilancio delle posizioni presenti nella vivace discussione attuale sull'interpretazione del Vaticano II, inteso sia come tornante fondamentale nella storia della Chiesa, sia come impulso a ripensare le forme dell'annuncio cristiano in dialogo con una cultura in profonda trasformazione. In continuità con la linea di ricerca tracciata fin dalle origini dell'Istituto, il Colloquio ha cercato di mettere in luce il significato dell'azione di Paolo VI nel portare a termine il Concilio e nell'attuarne le indicazioni e di mostrarne il rilievo per l'interpretazione storica e teologica del Vaticano II. Insieme a contributi di carattere generale sull'interpretazione del Concilio, nel volume si trovano approfondimenti dedicati a illustrare la relazione tra papa Montini e l'assemblea conciliare e i modi in cui il suo stile personale e pastorale ha influenzato quello del Vaticano II. Lo stile di Paolo VI nel guidare il Concilio e l'avvio della ricezione del suo insegnamento nella stagione postconciliare si rivela infatti con particolare evidenza nelle relazioni da lui stabilite con singoli episcopati nazionali e con gruppi organizzati all'interno dell'assemblea conciliare.
In questo numero un'analisi dei genocidi nella storia.
Questo studio si apre con l'analisi di un film italiano, Ossessione (1943) di Luchino Visconti, e si conclude con l'analisi di una altro film italiano, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini. In mezzo c'è la storia del cinema europeo sviluppatasi nell'arco di tempo compreso tra la fine del secondo conflitto mondiale e i primi anni Sessanta del Novecento (nella vicinanza di un passaggio epocale per la cultura occidentale, il sessantotto). Il confronto con alcuni film «esemplari» - essendo le opere cinematografiche un prezioso «documento» per interpretare la storia - consente un avvicinamento alle questioni di maggior rilievo dell'epoca della secolarizzazione. Il neorealismo rappresenta la rivoluzione estetica dalla quale prende avvio il cinema moderno. La politica degli autori a livello teorico, la successiva nouvelle vague e soprattutto il nuovo cinema d'autore affermatosi negli anni Sessanta, non rappresentano solo una «forma» nuova. La «forma» naturalmente ha una rilevanza non trascurabile. Ma dietro le questioni meramente formali, se si amplia il campo di osservazione, si scorgono le profonde mutazioni antropologiche. Il neorealismo è animato dal desiderio di guardare in faccia le tragedie umane, per mettere a fuoco l'identità stessa dell'uomo. Il passo successivo compiuto dal cinema d'autore dell'autodeterminazione, tratto peculiare della modernità, le cui conseguenze sono intimamente connesse alla «trasvalutazione dei valori» in atto nella società europea. Alla conclusione dello straordinario decennio - gli anni Sessanta - di effervescenza, originalità, profondità e creatività incarnate dal cinema d'autore europeo, proprio nel ribollente crogiolo culturale del Sessantotto, alla disumanizzazione estetica finisce per legarsi una virulenta ideologia politica. Il risultato finale, oltre a favorire il progressivo torpore (determinandone la scarsa rilevanza a livello internazionale) del cinema europeo (torpore dal quale ancora non si è ripreso), è la tragica fine delle illusioni, così ben rappresentata nell'ultimo film di un geniale e tormentato protagonista del tempo moderno, Pier Paolo Pasolini, che rivolge lo sguardo al Marchese de Sade per addentrarsi nell'inarrestabile processo di dissoluzione dell'umanità.
"Vale la pena di apprezzare la tenacia letteraria dimostrata da [...] narratori cristiani i quali, anche quando la società letteraria li snobbava, si sentivano in pace con loro stessi nel voler scrivere bene e nel raccontare degli umili e degli sconfitti o di grandi figure esemplari della Chiesa. I grandi passaggi civili e religiosi dell'Italia repubblicana in cui vissero dal fascismo alla democrazia, dalla ricostruzione al consumismo, dal papato ieratico di Pio XII alla collegialità del Concilio Vaticano II - non furono fatti banali tanto è vero che continuano ad emanare, come brace sotto la cenere, un calore che scalda ancora la nostra storia. Leggere di scrittori italiani non dogmatici, ma nemmeno eretici, che insieme ai classici della letteratura praticavano i Vangeli, la patristica e gli autori francesi, le riunioni di partito e le redazioni o le chiese, vuol dire rivivere un'esperienza collettiva che oggi, nel settantesimo della Repubblica, appare ancora autentica. E questo libro di Nigro può essere letto come la mappa di una geografia letteraria che non risponde ai canoni di una scienza astratta ma a quelli della vita". (dalla premessa di Giuseppe Tognon)
Un volume che non è solo un'antologia di testi selezionati dagli articoli, dalle conferenze, dalle omelie, dalle lettere pastorali di Giovanni Battista Montini - Paolo VI, ma una vera e propria ricostruzione della sua riflessione che, attraverso la filosofia, la teologia e la mistica, si estende sui diversi campi del sapere, dai problemi morali a quelli politici ed economici, da quelli della ricerca scientifica a quelli della meditazione religiosa. La raccolta segue l'ordine cronologico dei testi di Montini: parte dai primi scritti, al tempo del suo servizio come Assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, quando raccomanda ai giovani di avere fiducia nella ragione illuminata dalla fede per resistere di fronte all'idealismo, che risolve tutto nel pensiero, e allo scetticismo, che nega la possibilità di conoscere la verità. Passa, poi, al periodo dell'episcopato milanese, analizzando nelle Lettere pastorali lo strutturarsi della coscienza morale nelle sue diverse fasi. E si conclude con il periodo pontificio, quando con la lettera Lumen Ecclesiae (1974) presenta il tomismo come un "realismo critico" in grado di raccordare l'oggettività del sapere affermata dalla filosofia antica e medioevale con la soggettività del conoscere sottolineata dalla filosofia moderna e contemporanea. Montini non è uno storico della filosofia, ma nei suoi studi e nel suo insegnamento trovano un posto adeguato Platone, Aristotele, san Paolo, sant'Ambrogio, sant'Agostino, san Tommaso, Cartesio...
Si tratta del più completo lavoro che concerne l'Epistemologia Genetica e che insieme a "Biologie et Connaissance" rappresenta le posizioni che Jean Piaget ha assunto nei confronti del problema della costruzione delle conoscenze. Gli scritti piagetiani riportati in questo lavoro sono parte di una vasta opera di 1345 pagine, nella quale hanno scritto alcuni tra i più illustri rappresentanti di varie discipline: dal premio nobel per la fisica Louis de Broglie a Seymour Papert, da Jean-Blaise Grize a Pierre Greco e molti altri studiosi del periodo compreso tra il 1950 ed il 1970. Le pagine di Piaget rappresentano un ottimo raccordo tra le varie forme di conoscenza discusse ed allo stesso tempo propongono un metodo per realizzare un modo nuovo di intendere la conoscenza, fondandola sulle nozioni di complessità, costruzione e dialettica. Da questo punto di vista il presente lavoro, dato alle stampe nel 1967, si rivela ancor oggi di una sorprendente attualità, fornendo suggerimenti ed interessanti ipotesi di lavoro.
Sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale sono due facce di un'unica medaglia. Ce lo ricorda con forza Papa Francesco: nell'enciclica Laudato si' propone il concetto di 'ecologia integrale'. Traendo dalla letteratura scientifica e istituzionale, il volume propone un percorso ove sostenibilità sociale e ambientale si intersecano e sovrappongono. L'opera è arricchita dal brillante inquadramento introduttivo di Giuseppe Chinnici, dalla Premessa problematica di Giorgio Nebbia, precursore della sensibilità ambientale, e dall'appassionata e lucida Postfazione di S.E. Mons. Filippo Santoro che, dopo aver toccato con mano le questioni socio-ambientali operando per tanti anni in Brasile, è oggi Arcivescovo di Taranto, un tempo perla della Magna Grecia e ora anch'essa linea di frattura socio-ambientale. Nel primo capitolo si prospettano i rischi ambientali e quelli socio-economici collegandoli all'imperante individualismo metodologico e invocando la ricostruzione di un modello olistico di conoscenza e azione in un nuovo umanesimo che contemperi individuo, società e natura. Poi si muove dalla natura verso l'uomo evidenziando le conseguenze del degrado ambientale in termini di impoverimento e disuguaglianze esasperate nella società. Il terzo capitolo va dall'uomo alla natura, mostrando i nessi principali in cui lo studio della povertà e della disuguaglianza si interseca con gli impatti sul sistema ambientale. Il capitolo finale sintetizza l'esempio di Dorothy Stang, martire della passione nell'uomo e nella natura, attiva per quarant'anni in Brasile a sostegno dei poveri coloni troppo spesso sopraffatti dai "rancheros" e paladina di metodi per l'uso sostenibile della foresta amazzonica, il "polmone della terra". Poco prima di essere trucidata con la Bibbia in mano dai sicari dei rancheros, Dorothy diceva: "Non voglio scappare e abbandonare la lotta di questi coloni senza protezione nella foresta. Hanno sacro diritto a una vita migliore, una terra dove possano vivere e produrre con dignità senza devastare". Dorothy è vero e proprio emblema francescano del coniugio tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale.
Quale radice spirituale ha alimentato la vita, la fede, il servigio alla Chiesa del beato Paolo VII? "Il ritratto spirituale" cerca di rispondere a questo interrogativo ripercorrendo i testi montiniani di carattere più personale, oltre a quelli più noti del suo magistero. Vengono così in luce i temi fondamentali della sua spiritualità: la scoperta della vocazione, il legame con l'apostolo Paolo, i maestri spirituali che l'hanno ispirato, la direttone spirituale, l'educazione della coscienza, la fede, la preghiera liturgica, il ministero pastorale, la Chiesa e la povertà, la cultura, la forma cristiana e la meditazione sulla sua vita consegnata nel Pensiero alla morte. In quest'ultimo testo è lo stesso Paolo VI ad offrire una prospettiva spirituale sintetica sulla propria vita di uomo, di credente e di pastore, di cui i capitoli del volume intendono esplorare le dimensioni e la profondità. Introduzione del card. Gianfranco Ravasi.