
Il volume mette a fuoco, da diverse angolature, la qualità e lo spessore dell'estetica di Maritain quale parte fondativa del suo pensiero filosofico sia in specifici approfondimenti, sia nella dimensione trasversale di sintesi e di relazione con la contemporaneità, evidenziandone l'riginalità. Se da una parte, infatti, si ha modo di ripercorrere la costruzione estetica che Maritain muove sulle poderose tracce di san Tommaso, dall'altra ci si rende subito conto quanto, in tale costruzione, sia a tema non una pura teoria ma piuttosto la vitalità di quel pensiero e il modo per raggiungerlo, in un continuo confronto con il contemporaneo, con il presente, ma soprattutto con l'esperienza degli artisti.
"Antonio Scornajenghi prende le mosse dal tipo di città che Wojtyla incontra al momento della sua elezione per ricostruire un lungo rapporto tra vescovo e diocesi, sviluppatosi per 27 anni, il più duraturo del XX secolo. La capitale alla fine degli anni '70 è una città ingrigita e piena di insicurezze. Giovanni Paolo II non accetta che la sua diocesi si rassegni a vivere il Vangelo nel privato, in sagrestia, all'interno delle sale parrocchiali, o nei dibattiti di ristretti circoli intellettuali. Si impegna da subito a cercare realtà vive nel tessuto ecclesiale romano. Rendere nuovamente vivace l'annuncio del Vangelo da parte della comunità cristiana diviene un suo obiettivo preminente. Il rapporto profondo di papa Wojtyla con la sua diocesi è ineludibile per comprendere la dimensione pastorale della sua vita giocata tra Roma e il mondo. Le pagine di Giovanni Paolo II vescovo di Roma restituiscono al lettore il dipanarsi in profondità del rapporto tra Giovanni Paolo II e la sua diocesi, mentre ripercorrono con cura alcuni dei grandi cambiamenti di Roma nell'ultimo quarto del XX secolo, illuminandoli con racconti di testimoni e preziosa documentazione. Il rapporto tra Roma e Wojtyla è in questo senso utile anche per guardare alla città con uno sguardo più ampio di quello con il quale spesso la si descrive." (dalla Presentazione di Marco Impagliazzo)
La verità è oggi temuta come una forma di violenza, specialmente da parte dei filosofi post-moderni. Questo timore spesso è dovuto a una concezione ideologica della verità come valore assoluto da imporre a tutti, mentre esso è del tutto ingiustificato rispetto alla concezione classica della verità, non riducibile alla teoria della verità come corrispondenza. In base alla teoria classica si danno diversi tipi di verità, verità di fatto e verità di ragione, verità storiche e verità scientifiche, verità di fede e verità poetiche: alcune facili da scoprire, altre implicanti complesse e faticose ricerche. In filosofia la ricerca della verità avviene in modi diversi, secondo il tipo di filosofia che si pratica, che può essere trascendentale, dialettico, fenomenologico, analitico-linguistico, ermeneutico, dialogico-confutativo. Un caso di ricerca della verità in filosofia è costituito dalla metafisica, intesa non nel senso tradizionale di ontologia o teologia razionale, bensì come metafisica problematica e dialettica, epistemologicamente debole ma logicamente forte. Esiste anche una verità pratica, che riguarda non la legge morale, ma il desiderio della felicità intesa come pieno sviluppo della persona umana, nel singolo individuo e nella polis.
Anche oggi la filosofia è chiamata a pensare l'Assoluto. La metafisica del principio e l'ermeneutica della verità lo pensano attraverso le differenti modalità dell'analogia, del simbolo e del paradosso, comprese non solo in senso logico-formale ma soprattutto in senso filosofico-teologico. Il volume indaga i rapporti che si possono instaurare tra queste tre figure teoretiche, intorno alle quali il dibattito attuale è particolarmente vivo anche grazie al contributo dei qualificati autori dei testi presentati, e intende mostrare, in particolare, i nessi di identità e di differenza esistenti tra l'analogia e il paradosso nel loro rimando al simbolo e all'abissale inesauribilità dell'Assoluto. In questa luce il libro presente si offre anche come un utile strumento per indagare la relazione tra due essenziali tradizioni di pensiero, quella metafisica e quella ermeneutica, che sono ampiamente presenti nella filosofia del Novecento e che trovano nel comune riferimento al Cristianesimo una dimensione fondamentale del loro statuto teorico.
I testi raccolti in questo volume offrono una sintesi dei valori, delle intuizioni e delle considerazioni più significative della vasta produzione scritta di Alfredo Carlo Moro. Essi segnano l'itinerario di maturazione della sua cultura, spaziando dal tema dei minori a quello della famiglia, dalla giustizia alla laicità, in un intreccio fecondo e consapevole della sua biografia con la storia del Novecento. Ne emerge la testimonianza viva ed attuale dell'impegno di un protagonista della giurisprudenza, della società e della Chiesa italiana, che ha vissuto nella storia accogliendo la modernità come occasione di crescita e restando sempre coerente ai principi della Costituzione e all'insegnamento del Concilio.
Nel 2014 ricorre il XXV anniversario dalla scomparsa di Benigno Zaccagnini e per ricordarlo si è ripercorsa la sua vita, che è un pezzo di storia del nostro paese, attraverso la pubblicazione di un volume fotografico, in cui le immagini sono accompagnate da brevissime riflessioni di chi lo ha conosciuto. Dai cassetti della famiglia Zaccagnini, da quelli della camera dei deputati, da quelli degli amici e delle organizzazioni cattoliche sono uscite tante foto; poi le riflessioni, che risentono del disagio politico dell'oggi: il figlio Carlo, gli amici di casa, Cristina Mazzavillani Muti (Presidente di Ravenna Festival), Franco Gabici (giornalista e scrittore), gli amici politici dell'area Zac Guido Bodrato, Pierluigi Castagnetti, Natalino Guerra, poi Domenico Rosati e Pierre Carniti, che hanno guidato ACLI e CISL ai tempi delle speranze di Zac, Massimo D'Alema, la cui storia familiare si è intrecciata con quella della famiglia Zaccagnini, Ernesto Olivero, Presidente dell'Arsenale di Torino, Matteo Casadio, Presidente della Società per il Porto di Ravenna, frutto della legge Zaccagnini per lo sviluppo della sua città, il cardinale Tettamanzi che mette in evidenza la grande fede che ha ispirato Zac nei momenti felici ed in quelli difficili della sua vita, Romano Prodi, la cui originale esperienza politica nasce nel novembre 1978 proprio su sollecitazione di Zac.
Dedicare un volume all'analisi del bene comune potrebbe oggi sembrare un'operazione ridondante e, per certi versi, persino inutile, vi- sto il continuo rimbalzare di articoli, interventi e riferimenti a questo tema pressoché in ogni ambito. Ma forse questa è la migliore ragione per fermarsi un attimo e provare a mettere ordine nella ridda incessante di voci e opinioni in materia. Che cos'è veramente il bene comune? È qualcosa di più di uno slogan, di un concetto preconfezionato buono per qualsiasi discorso dal sapore vagamente etico o socio-politico? Il volume intende rispondere a questi interrogativi, prendendo le mosse da quella tradizione filosofica che ha saputo cogliere il legame stretto tra bene comune e dignità della persona umana.
Gli anni del pontificato di Benedetto XVI (2005-2013) coincidono con la crisi mondiale del modello che segue al post-'89, la caduta del Muro di Berlino. Crisi della globalizzazione e dei suoi miti, a partire dal crack finanziario del 2008; crisi dell'occidentalismo teocon, naufragato nel bagno di sangue dell'Iraq; crisi della politica mediatica, senza partiti; crisi della Chiesa, travolta dagli scandali e dai giochi di potere. Un mondo senza legami è il risultato dei processi etico-politico-religiosi degli ultimi decenni. È il trionfo della "società del vuoto" (Lipovetsky), in cui virtuale e reale si confondono e l'individualismo trionfa. Ad esso il pontificato di Benedetto ha indicato un nuovo inizio, oltre il nichilismo e il manicheismo, a partire da un rinnovato incontro tra cristianesimo e modernità.
Quali che siano le opinioni circa il modo in cui sacro e potere si sono incontrati nel corso della storia, rimane fermo un punto: risulta davvero difficile tagliare fuori la teologia da qualunque riflessione, realmente profonda, intorno allo statuto del potere politico. Nell'antropologia proposta da Romano Guardini, le domande "cos'è il potere?" e "cos'è l'uomo?" sembrano in ultimo coincidere, in un sistema filosofico nel quale la pressante risposta intorno all'intima natura dell'essere umano implica inevitabilmente il quesito sul potere. Da dove proviene dunque l'autorità dello Stato? Quali processi hanno contribuiscono alla nascita delle così dette religioni della politica? In cosa consiste il nuovo compito di responsabilità al quale siamo chiamati nell'epoca post-moderna? Sono questi i nodi che Guardini cerca di sciogliere in relazione allo Zeitgeist attuale.