
Intento del volume è quello di presentare in forma sintetica il pensiero di J. Derrida.
L’aggettivo «sintetico» deve essere inteso in un duplice significato. Innanzitutto nel senso di «parziale»: di fronte ad una produzione come quella del filosofo francese (più di cinquanta volumi, centinaia di articoli, decine di interviste ed interventi vari), questo saggio sceglie di soffermarsi solo su alcuni dei termini e delle questioni che hanno impegnato la complessa opera derridiana. Tuttavia queste pagine articolano una lettura che intende essere sintetica soprattutto nel senso di «essenziale»: attraversando la riflessione che Derrida ha sviluppato attorno a concetti come quelli di scrittura, traccia, disseminazione, decostruzione, dif-ferenza,
aporia, impossibilità, ecc., il testo di Petrosino fa emergere quell’«infaticabile ed appassionata interrogazione sull’eventualità dell’evento» che rappresenta la cifra stessa del pensatore francese. In tal senso: «Che cosa significa e come è possibile essere rigorosi con un termine/concetto come quello di "evento"? O ancora più radicalmente: come il modo d’essere dell’evento obbliga a ripensare la natura stessa del logos e la forma di razionalità ad essa adeguata?»
Silvano Petrosino (1955) insegna Semiotica e Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano e Piacenza. Tra le sue opere ricordiamo: La verità nomade. Introduzione a E. Lévinas (Milano 1980, Paris 1984); Visione e desiderio. Sull’essenza dell’invidia (Milano 1992); Jacques Derrida e la legge del possibile. Un’introduzione (2a ed. Milano 1997, Paris 1994); Lo stupore (Novara 1997, Madrid 2001); Il sacrificio sospeso (Milano 2000, Paris 2008); Il dono (in collaborazione con P. Gilbert, Genova 2002, Bruxelles 2003); Babele. Architettura, filosofia e linguaggio di un delirio (Genova 2003); Piccola metafisica della luce (Milano 2004); Capovolgimenti. La casa non è una tana, l’economia non è il business (Milano 2008)
Nell’orizzonte della questione antropologica, il volume si confronta con il fenomeno che costituisce una delle grandi sfide contemporanee: la rivoluzione biotecnologica, che sta modificando i modi del pensare e dell’agire e, quindi, del vivere. Di fronte a questo fenomeno il cristiano non può non porsi la domanda su fin dove la ricerca scientifica che sfocia in una nuova cultura sia autorizzata a violare i confini della natura umana, ignorando il principio fondamentale per il quale se tutto è permesso all’uso della scienza per l’uomo, non tutto è permesso all’uso dell’uomo per la scienza. La sfida della rivoluzione biotecnologica, infatti, è la componente culturale dell’identità umana, la quale deve rapportarsi sempre alla componente naturale della medesima. Tale rapporto oggi è diventato molto problematico, perché la stessa natura umana è stata “culturalizzata”, nel senso che viene “ripensata”, rivoluzionata, trasformata. Gli interventi sono raccolti attorno a tre plessi: la dignità della persona, il suo fondamento e il dibattito bioetico da esso suscitato; i problemi specifici legati al fine vita; infine la fondazione della legge naturale.
Ignazio Sanna (1942), arcivescovo di Oristano, dottore in filosofia, teologia e diritto canonico, è stato Pro-Rettore dell’Università Lateranense e docente ordinario di Antropologia teologica presso la Facoltà di Teologia della medesima Università. È autore di numerosi saggi su riviste specializzate e di numerose voci in dizionari ed enciclopedie teologiche. Tra le sue pubblicazioni: La cristologia antropologica di Karl Rahner, Paoline, Roma 1970; L’uomo via fondamentale della Chiesa, Dehoniane, Roma 19893; Immagine di Dio e libertà umana, Città Nuova, Roma 1990; Dalla parte dell’uomo. La Chiesa e i valori umani, Paoline, Roma 1992; Chiamati per nome. Antropologia teologica, San Paolo, Cinisello Balsamo 20043; Le beatitudini del prete. Un progetto di spiritualità sacerdotale, Piemme, Casale Monferrato 1995; Fede, scienza e fine del mondo. Come sperare oggi, Queriniana, Brescia 1996; La teologia e l’esperienza di Dio. La prospettiva cristologica di Karl Rahner, Queriniana, Brescia 1997; Karl Rahner, Morcelliana, Brescia 2000; L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Queriniana, Brescia 2004; L’identità aperta, Queriniana, Brescia 2006. Per le nostre edizioni ha curato i volumi: La sfida del post-umano (2005), Legge di natura e interculturalità (2006) e Emergenze umanistiche e fondamentalismi religiosi. Con quale dialogo? (2008).
La Slovenia rimane un’entità poco nota e conosciuta in Italia.
Nonostante gli stretti rapporti culturali, politici ed economici con il nostro Paese, scarsa attenzione è stata dedicata al giovane Stato nato dalla disgregazione della Jugoslavia. Insieme con l’ignoranza coesiste un sentimento d’estraneità. Che lo Stato italiano confini a Nord-Est con la Repubblica di Slovenia è paradossalmente una nozione di difficile apprendimento per molti: a più di quindici anni dalla sua dissoluzione, rimane viva nella coscienza di molti italiani la presunta esistenza di una realtà jugoslava o, al limite, ex jugoslava, senza che si riconosca la specifica presenza di nuovi Stati indipendenti.
La diffusa ignoranza sull’esistenza e sui caratteri dello Stato sloveno è una delle tante manifestazioni della scarsa attenzione di gran parte della classe politica e intellettuale italiana verso i popoli dell’Europa centro-orientale.
La finalità di questo volume è di fornire al pubblico italiano un insieme di informazioni e di analisi
sulla Slovenia contemporanea e sulle relazioni italo-slovene: il tutto al fine di favorire una migliore conoscenza reciproca fra i due Paesi, pur senza mascherare le differenze e i diversi punti di
vista su determinati momenti storici e sui problemi ancora irrisolti.
L’ambizione è di leggere in maniera nuova, non più conflittuale, ma fondata sull’idea di collaborazione e amicizia, la complessa e intricata storia delle relazioni fra le due nazioni.
Massimo Bucarelli, docente in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università «La Sapienza » di Roma, è autore di vari saggi e lavori dedicati alle relazioni italo-jugoslave nel Novecento, tra cui le monografie Mussolini e la Jugoslavia 1922-1939 (Bari 2006) e La “questione jugoslava” nella politica estera dell’Italia repubblicana 1945-1999 (Roma 2008).
Luciano Monzali è professore associato in Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari. È autore dei volumi: L’Etiopia nella politica estera italiana (1896-1915) (Parma 1996); Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra (Firenze 2004); Italiani di Dalmazia (1914-1924) (Firenze 2007); Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato (Padova 2008).
In genere, chi lasciava la campagna per trasferirsi in città, lo faceva perché aveva trovato un lavoro più stabile o meno faticoso o sperava di trovarlo con più facilità, o perché immaginava che, vivendo insieme con molte più persone, avrebbe sperimentato una esistenza con maggiori opportunità, per sé e per la propria famiglia, in una auspicata dimensione protettiva, non solo economica e sociale, ma anche culturale, religiosa e politica. Oggi però il cambiamento è oggettivamente in contraddizione con quelle intenzioni originarie del costruire le città e con quelle aspettative di chi aveva deciso di abitarle. La città era prima un luogo, oggi è più luoghi; era prima un tempo unico, oggi è più tempi e vi è differenza tra il tempo del giorno e il tempo della notte perché la città del buio è decisamente diversa dalla città della luce. Prima, la città era una sola e unica città, mentre ora si ritrovano in essa molte altre città o perlomeno "un'altra città", come affermano gli autori di questo pregevole saggio, che con coraggio denunciano una situazione che rende precario il rapporto tra civiltà ed essere umano e che reclama, in una ritrovata presenza unitaria e in un nuovo slancio politico, il rispetto dei diritti proclamati in molti manifesti e dichiarazioni contemporanei." (dalla Prefazione del Prefetto Carlo Mosca)
La lettura delle opere di Edith Stein suscita stupore e ammirazione per la capacità da lei dimostrata di spaziare in molti campi del sapere, ma, soprattutto, per la sensibilità che le consente di esaminare tutti i “fenomeni” – tutto ciò che si presenta all’essere umano e, in primo luogo, se stesso come fenomeno – con occhi disincantati, con grande realismo e atteggiamento critico, senza sottacere nulla, anche ciò che può apparire sgradevole. Tuttavia, mentre emerge il grande sforzo intellettuale e morale di mettere in evidenza ciò che è positivo, si manifesta con altrettanto vigore l’intento di ricercare l’equilibrio, l’armonia.
Ripercorrendo la sua vita e i suoi scritti è possibile mostrare come “cose” che sembrano fra loro opposte sono da lei armonizzate nella concretezza della sua esistenza e nella sua indagine teorica, perché ella ha scoperto che al fondo di tutto c’è un’unica verità. Il “mettere armonia” è rintracciabile, pertanto, nella continuità da lei vissuta fra ebraismo e cristianesimo, nell’analisi della complessità dell’essere umano, in riferimento al quale corpo e anima, maschile e femminile, individuo e comunità solo apparentemente sono in contrasto, nella conciliazione fra ragione ed esperienza religiosa, fra filosofia e mistica. Non si tratta di ignorare le differenze, che sono, anzi, analizzate con grande acutezza, ma di scoprire, al di là di esse, la possibilità di un accordo, sofferto, perché esso si presenta come una sfida per l’essere umano.
L’intento di questo libro è di mostrare tutto ciò attraverso un percorso documentato nei brani antologici, che sono parte integrante dell’indagine e che ne costituiscono il sostegno teorico. Attraverso di essi il lettore, infatti, può saggiare facilmente e personalmente la validità dell’operazione del “mettere armonia”, proposta dalla pensatrice tedesca.
Angela Ales Bello è professore ordinario di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Lateranense, già decano della Facoltà di Filosofia, ed è professore a contratto presso la LUMSA. Dirige il Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche con sede in Roma, affiliato a The World Phenomenology Institute (Hanover, N.H. USA), e fa parte del comitato di redazione di numerose riviste italiane e straniere, fra le quali «Inquiry» (USA). Le sue pubblicazioni sono rivolte ad indagare la fenomenologia tedesca in rapporto alle altre correnti del pensiero contemporaneo sotto il profilo storico e teoretico.
È co-curatrice della traduzione italiana delle Opere di Edith Stein. Fra i suoi libri più recenti: L’universo nella coscienza. Introduzione alla fenomenologia di Edmund Husserl, Edith Stein, Hedwig Conrad-Martius, ETS, Pisa 2007² e The Divine in Husserl and Other Explorations, Analecta Husserliana, vol. XCVIII, Springer, Dordrecht 2008.
Per lo studioso francese Pierre Sorlin, «L’America ha creato uno stile che, oggi, può essere definito “classico”.
Lo stile “classico” non è di facile definizione, ma basandosi sull’esperienza personale è possibile dedurre quali siano le caratteristiche di un film classico: immagini chiare, una colonna sonora che accompagna lo spettatore nel racconto senza diminuire il suo piacere, un dialogo comprensibile, buoni attori e, soprattutto, una storia ben definita, con una situazione che, rivelata dall’inizio, si sviluppa in modo logico e si conclude senza ambiguità».
Il cinema classico hollywoodiano, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, ha conquistato il mondo. Attraverso commedie e opere drammatiche, film di genere western, noir, gangster, horror, musical, è riuscito ad imporre un modello di riferimento prettamente americano, pur se valido per l’intero Occidente.
Gli spettatori, di qua come di là dall’oceano, sono stati rapiti dai tanti film prodotti ad Hollywood, e soprattutto sono stati sedotti dai divi che ne sono stati protagonisti.
Le innumerevoli interpretazioni riguardanti la storia del cinema classico americano non di rado sorvolano su un aspetto determinante: l’etica presente nelle singole opere. Il film hollywoodiano avrebbe trionfato per la forza della produzione e del mercato statunitensi; per la bravura di registi (molti di loro provenienti dall’Europa), attori, scrittori, sceneggiatori, musicisti e costumisti; per l’astuzia, la determinazione e il senso degli affari dei produttori; per la potenza e l’innovazione dell’apparato tecnologico e industriale.
Tutto vero. Ma se Hollywood è diventata un “impero”, lo deve anche all’etica americana. Per lo storico Ernesto Galli della Loggia il cinema hollywoodiano è stato capace di parlare «all’uomo comune non ponendosi da nessun punto di vista particolare, settoriale, ma solo dal punto di vista dei valori universalmente umani. E non a caso tale punto si è rivelato come il più adatto ad incontrarsi con il mercato.
Anche nella tensione-attenzione al mercato del suo cinema si è espressa, infatti, la vocazione modernamente democratica di una cultura come quella statunitense, non toccata dalle mitologie classiste e programmaticamente eticopedagogiche, proprie della tradizione culturale europea. […] Non solo, ma nei film statunitensi si manifesta in pieno una ulteriore caratteristica della cultura di quel Paese che, tradotta in immagini, è destinata ad assicurare loro un carattere eminentemente popolare, e dunque un enorme successo. Il fatto cioè che si tratta dell’unica cultura nazionale moderna che, pur essendo tale, non ha perso un rapporto reale con la dimensione religiosa, con l’aspirazione etica del monoteismo giudaico-cristiano e che, tra l’altro, proprio per questo è riuscita a restare immune dal fascismo e dal comunismo. Proprio per questo è stata l’unica cultura che ha saputo e sa produrre sceneggiature e pellicole capaci di esprimere, senza vergognarsi, una limpida fiducia nei valori della legalità, dell’onestà individuale, della fraternità senza barriere ideologiche, della democrazia».
Claudio Siniscalchi, nato a Roma nel 1959, divide la sua attività professionale tra l’insegnamento universitario e il giornalismo. Insegna Storia e critica del cinema alla LUMSA di Roma ed è ricercatore alla Facoltà di Scienze della Comunicazione della Universidad Complutense di Madrid. Negli ultimi anni ha collaborato con diversi atenei italiani e stranieri, tra cui il Politecnico di Torino e la University of Southern California di Los Angeles, e ha insegnato presso alcune università pontificie.
Collabora con «Libero» e ha una rubrica di critica cinematografica sul quotidiano «L’Ordine» di Como. Il suo ultimo libro, pubblicato in questa collana nel 2008, è Il cinema europeo nell’epoca della secolarizzazione (1945- 1968).
In un tempo segnato dall'incertezza, la comunità rischia di smarrire il senso della comunicazione e della responsabilità. C'è che rifugge nella nostalgia di un passato che non ritorna e chi formula profezie di imminente sventura. Ma c'è anche chi apre gli occhi sul presente, sui suoi limiti e sulle sue opportunità, cercando i costruire il futuro con una vigilanza critica, approfondita e paziente. Tra costoro, nella fedeltà ad una solida tradizione di pensiero, si colloca la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci). Essa, rispetto alla strada del disincanto, dell'illusione e della rassegnazione, intende esplorare con rigore e lungimiranza nuove vie di riflessione e impegno.
Il biennio 1946-1948, uno dei più densi e decisivi nella storia dell’Italia contemporanea, delinea e accentua, come emerge anche da una sempre più ricca fioritura di studi di ambito regionale, la specificità e le anomalie del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Questa ricerca, attenta ai profili nazionali e meridionali degli eventi e dei problemi del periodo, sostenuta da un’ampia documentazione in gran parte inedita, ricompone e interpreta una pagina importante della recente storia del Molise, ricostruendo in particolare il ruolo svolto dalle forze cattoliche e dalla Democrazia Cristiana e rintracciando le radici della loro lunga egemonia politica.
Il 2008 è stato l'anno in cui si è celebrato il 60° anniversario dell'entrata in vigore della Costituzione italiana ed anche l'occasione per approfondirne - in una serie di manifestazioni celebrative e di incontri di studio - le idee ispiratrici, l’influenza sulla vita politica, economica e sociale del Paese, i pregi e i difetti
In queste pagine l'autore affronta la materia in modo rapido ed agile, anche se non organico, partendo da una verifica del contributo dato dai cattolici impegnati in politica alla formazione di testo, non limitandosi, però, alla sola attività della sinistra dossettiana, m a allargando l'orizzonte a tutto il partito dei cattolici ed in particolare alla determinante funzione assunta da Alcide De Gasperi, mediata da giuristi e costituzionalisti come Gaspare Ambrosini, Egidio Tostato, Guido Gonella, Carmelo Caristia e Giovanni Leone.
Quella classe politica fu ispirata da grandi valori, che si imposero all'attenzione delle altre forze politiche e culturali del Paese e che nulla hanno perso della loro attualità. Si tratta di valori che ancora oggi possono (e forse debbono) essere tenuti presenti nel dibattito in atto sulle riforme istituzionali e che sopravvivono alle grandi innovazioni della fine del Novecento.
Damiano Nocilla è nato a Roma nel 1942 e si è formato nell'ambiente romano, prima al Liceo Virgilio e, poi, al 'Università «La Sapienza» sotto la guida dei grandi Maestri che in quella Facoltà di Giurisprudenza hanno insegnato Diritto costituzionale e Diritto amministrativo: Carlo Esposito, Vezio Crisafulli, Aldo Sandulli. Massimo Severo Giannini., Leopoldo Elia. Ha percorso tutte le tappe della carriera accademica fino alla vittoria nel 1980 nel percorso come professore ordinario (1a fascia) di Diritto costituzionale. Nel 1970 e entrato per concorso nell'Amministrazione del Senato, divenendo Vice Segretario generale nel (1986) e, quindi, Segretario generale (1992). Dal 2002 è Consigliere di Stato e professore a contratto presso la LUISS «Guido Carli». È stato Capo dell`Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1982-83) e ha diretto il Dipartimento per le Riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio (2006-2008). È l' autore di numerosi lavori scientifici e ha svolto relazioni e conferenze in Italia e all’estero.