Gli anni compresi tra lo scoppio della prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo rappresentarono per Roma una fase di straordinario cambiamento. La nascita dello Stato-nazione, infatti, riportando Roma al suo ruolo di centro del dibattito politico-culturale e della dimensione simbolica nazionale, innescava tutta una serie di progetti di trasformazione e modernizzazione destinati a cambiare profondamente l’aspetto della capitale e della sua grande provincia.
Il volume affronta con un approccio multidisciplinare diversi aspetti di questo processo, soffermandosi sui principali nodi della trasformazione ambientale e territoriale, sulla modernizzazione (o mancata modernizzazione) delle forze politiche, su alcuni risvolti, infine, di una realtà economico-sociale in profondo fermento a causa della crisi di mobilitazione delle masse generata dall’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale.
La quasi totalità degli interventi delle Congregazioni pontificie che nel Seicento si occuparono del governo effettivo della Chiesa universale riguardò l’Italia, e soprattutto l’Italia meridionale.
Perché si verificava questo? Perché il resto del mondo cattolico per tante, rilevanti istanze non faceva riferimento all’istituzione papale? Nel tentativo di rispondere a tali domande, si vengono a delineare i contorni di una Chiesa cattolica che appare essenzialmente una federazione, una sorta di Commonwealth di Chiese nazionali, tutt’altro che compatte attorno al papa e agli organismi curiali.
Quello che emerge è un quadro complesso e per tanti aspetti sorprendente, che svela un mondo composto da ecclesiastici zelanti ma anche, e soprattutto nel Sud, da chierici di vario tipo («coniugati», «selvatici», ecc.), senza vocazione, indisciplinati, se non addirittura inclini al crimine, garantiti per di più da un foro assai benevolo nei loro confronti. Di contro i laici, intenti a premere, sovente senza risultati, sulle autorità ecclesiastiche, perché intervenissero a normalizzare la situazione, magari applicando i canoni tridentini. Anche in questo il libro si addentra, sulla scorta di una ricca documentazione d’archivio, che consente di tracciare un’immagine sostanzialmente inedita dell’Italia religiosa in età moderna.
Nell’ottobre 1926 le celebrazioni per la ricorrenza del settimo centenario della morte di san Francesco d’Assisi davano modo ai rappresentanti della S. Sede e del governo italiano di incontrarsi e mettevano in moto il processo che portò alla “conciliazione” del 1929. A dieci anni di distanza, il 18 giugno 1939, pochi mesi prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, papa Pio XII proclamava patroni d’Italia santa Caterina da Siena e san Francesco d’Assisi, che definiva «il più Santo degli italiani, il più italiano dei Santi».
Nel nesso sempre più stretto che si instaurava in Italia fra patria e nazione, la figura del santo di Assisi assumeva, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, un volto alquanto diverso dalla sua riscoperta romantica ottocentesca, e il francescanesimo si inseriva all’interno dei nuovi orientamenti del cattolicesimo, di cui restano simbolo due francescani, pur diversissimi tra loro, quali Pio da Pietrelcina e il medico Agostino Gemelli, fondatore del l’Università Cattolica. La storiografia, l’arte, il cinema, la radio, in Italia come all’estero, esploravano nuovi volti del Poverello.
La storia sociale e politica dell’Europa del tardo medioevo e della prima età moderna fu caratterizzata da dinamiche conflittuali, cui le comunità erano spesso in grado di porre rimedio senza l’intervento dei poteri giudiziari, attraverso strategie di tipo mediatorio e informale. Nell’ambito di questa “giustizia negoziata” un ruolo a sé fu svolto dal ceto nobiliare il quale, in obbedienza ad un comportamento ancestrale, metastorico, difendeva la propria prerogativa di farsi giustizia attraverso la vendetta e il duello.
Obiettivo del volume è di analizzare la complessità di tali fenomeni, sia attraverso la comparazione tra distinti contesti europei (antichi Stati italiani, Monarchia spagnola, Francia, Inghilterra, Impero), sia cercando di cogliere i diversi ambiti in cui il concetto di “pace” si è inserito e ha prodotto i suoi effetti: le pratiche di giustizia nelle loro interazioni con le negoziazioni informali; l’idea di nobiltà e la sua armonizzazione con le esigenze del nascente assolutismo e dei processi di confessionalizzazione; l’evoluzione del concetto di uso delle armi in relazione all’idea di onore; il contributo dottrinale, nei suoi diversi campi, alla definizione della pace e all’opera di progressiva delimitazione del ricorso alla vendetta privata.
Pochi personaggi storici hanno segnato i loro tempi e quelli successivi quanto papa Innocenzo III (1198-1216). Dell’infaticabile e poliedrica attività di questo grande pontefice i Gesta – di cui qui viene pubblicata la prima traduzione italiana – offrono una testimonianza eccezionale, indispensabile per comprendere il mondo medievale.
Il testo, il cui impianto è chiaramente biografico, illustra i primi dieci anni del pontificato innocenziano, attingendo largamente ai Registri delle sue lettere, e ripercorrendo i grandi temi della politica pontificia di quegli anni: dalla difficile tutela del giovane Federico II, erede minorenne del Regno di Sicilia, all’organizzazione della Quarta Crociata, fallita nel suo obiettivo di riconquista di Gerusalemme ma all’origine dell’effimera riunificazione fra le Chiese di Roma e Costantinopoli.
Al fascino dell’opera contribuisce certamente anche la personalità dell’anonimo autore dei Gesta, personaggio molto vicino ad Innocenzo e forse addirittura suo parente.
Il 27 gennaio 1559 papa Paolo IV Carafa allontanò tutti i suoi parenti dalla corte di Roma, compreso l’onnipotente cardinal nipote Carlo Carafa. Poco dopo, il 3 febbraio, istituì il Sacro Consiglio – un organo collegiale composto da due cardinali e da un nobile romano di casa Orsini – che sarebbe rimasto in attività fino al 18 agosto 1559, giorno della sua morte. Che significato ebbero questi mutamenti nel governo dello Stato della Chiesa durante l’ultimo scorcio del pontificato di Paolo IV Carafa? La soppressione del Sacro Consiglio, avvenuta lo stesso giorno della morte del papa, coincise con la definitiva scomparsa della politica sperimentata in quei mesi? Il volume cerca di rispondere a queste domande, fondamentali per com- prendere l’evoluzione storica e politica dello Stato pontificio, centrando l’attenzione proprio sul Sacro Consiglio, di cui analizza dettagliatamente la documentazione prodotta. Si scopre così come esso prese decisamente in mano le redini del governo, perseguendo consapevolmente l’obiettivo dell’integrazione dei compositi domini pontifici in un’unica realtà statuale. Fu un’esperienza breve, all’insegna delle ambizioni teocratiche di Paolo IV, ma non effimera: i poteri del sovrintendente generale dello Stato ecclesiastico (in carica dal 1566 al 1692) e della congregazione della Sacra Consulta (istituita nel 1588) coincidono infatti in molti punti con le funzioni esercitate dal Sacro Consiglio di papa Carafa.
Gli alberi e le figure geometriche di Gioacchino da Fiore sono simboli, immagini e tracciati che aprono la strada verso la storia biblica o la storia della salvezza: una chiave fondamentale per comprendere in profondità il suo pensiero. Si tratta di diagrammi elaborati in tempi diversi, composti da disegni e parole scritte, con un significato preciso attribuito alle figure come pure ai colori, alle posizioni e alle contrapposizioni, ai nessi che integrano disegno e testo scritto. Gli studi raccolti nel volume costituiscono un contributo innovativo al fine di mostrare come la raccolta del "Liber figurarum" rappresenti un elemento di rilievo nell'insieme delle opere del monaco calabrese.