Secondo un ricorrente adagio la storia è finita; chi propugna questa tesi vede nell'accelerarsi degli eventi, nel contrarsi delle epoche come spazi unitari di senso e nel prevalere della dimensione della simultaneità sulla sequenzialità, altrettanti argomenti a favore di essa. Alla fine del mondo storico si accompagna inesorabilmente la fine dell'uomo come centro di imputazione di scelte e come donatore di senso, le azioni dei singoli non veicolando più alcuna sintesi o incarnando alcun universale, ma riducendosi a puro medium di un operare sistematico anonimo e reticolare. Anche il fondamento della democrazia muta.
Quale idea abbiamo del mondo? Se pensiamo al nostro mondo personale, oppure al mondo circostante, all'intero orbe terracqueo o all'universo tutto, ci accorgiamo di averne numerose e differenti. Qual è, allora, l'essenza vera "del" mondo" o di "un" mondo? Dall'antichità classica fino alla modernità degli ultimi quattro secoli si sono intrecciate o distinte molteplici teorie del mondo, coinvolgendo fisica e metafisica, geografia e storia, astronomia e astrologia, scienze sociali e religione, ecologia ed economia, filosofia e arte. Ma le interpretazioni del mondo, via via costruite, decostruite e ricostruite, quale forma del mondo hanno potuto evocare? Il libro di Mario Gennari, attraverso il tempo e lo spazio, porta le tre domande sull'idea, l'essenza e la forma del mondo verso ciò che le riassume: "L'eidos del mondo". Questo fa da titolo al libro, conducendo il lettore oltre il labirinto delle cosmologie, delle poetiche e delle enciclopedie, fino a giungere al duplice rispecchiamento tra la formazione del mondo e il mondo della formazione.
In questo libro, Luce Irigaray, uno dei più innovativi pensatori del nostro tempo, torna a interrogare il rapporto con l'alterità. Siamo infatti abituati a considerare l'altro come un individuo tra tanti senza dedicare abbastanza attenzione al mondo e alla cultura a cui appartiene. La nostra maniera di vivere l'alterità risulta quindi sottoposta ai nostri propri valori e l'altro, sia esso il nostro compagno o la nostra compagna, un figlio, un amico, un'amica, oppure uno straniero, è avvicinato come un simile. La differenza tra noi è allora percepita in modo esclusivamente quantitativo, non qualitativamente, e questo non favorisce la coesistenza, la pace, l'amore. Dopo la critica nietzcheana alla tradizione culturale dell'Occidente e la decostruzione heideggeriana della nostra concezione della verità, Luce Irigaray, in quanto donna, chiama in causa la validità dei concetti di similitudine, similarità, identità e, perfino, uguaglianza, che stanno alla base della logica occidentale. L'autrice spiega come, prima di cercare la trascendenza in qualche ideale soprasensibile, che non corrisponde alla nostra totale e universale umanità, sia necessario rispettare la trascendenza dell'altro, qui e vicino a noi, cioè la sua irriducibile alterità.
Fin da piccoli abbiamo imparato che 2+2=4, probabilmente senza mai chiederci di che cosa stiamo parlando. Esiste davvero il "2"? E, se sì, che oggetto è e "dove" si trova? Quanto le nostre intuizioni preteoriche sull'esistenza siano incerte lo si può verificare prendendo in considerazione molte asserzioni ordinarie, non solo scientifiche. Impariamo, ad esempio, che "Enea fuggì da Troia portando il vecchio padre Anchise sulle spalle", ma se Enea non esiste di che cosa stiamo parlando? Ci verrebbe da dire che "Enea" è il nome di un'idea poetica, ma pensarci bene, un'idea che cos'è? L'ontologia cerca di dotarci di qualche strumento per riflettere, in modo meno ingenuo, su problemi di questo tipo. Con questo libro, Paolo Valore ci offre una guida allo studio dell'ontologia pensata appositamente per un pubblico di profani. L'idea di questo volume è quella di raccogliere gli strumenti concettuali di base, senza eccessive preoccupazioni di ricostruzione storica o genetica, e di mostrarne le applicazioni possibili mediante esemplificazioni e problemi aperti.
La lettura di Hannah Arendt, interprete straordinaria della dimensione politica moderna, è importante in una società che sembra aver perso il senso della politica come spazio pubblico. Nei tempi inquieti della crisi della politica e della perdita del concetto di pubblico il bisogno di coraggio civile trova nel suo pensiero una metodologia che rende possibile l'operare una critica profonda nei confronti della storia del pensiero filosofico, per procedere, poi, a una riabilitazione del politico, come spazio condiviso.
Sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento si sviluppò in Germania un intenso dibattito intorno ai rapporti tra pensiero ed esperienza che, a partire dalla teoria dei due mondi di Lotze, coinvolse la corrente psicologista, il neokantismo, Dilthey, Lask e la fenomenologia. Attraverso le analisi husserliane, Heidegger poté abbozzare un programma di superamento delle contraddizioni contenute in tale discussione, in particolare riflettendo sulle condizioni di possibilità dell’intenzionalità, che riconducevano a un contesto finito costituito dall’apertura di un mondo. Si sviluppa così una prospettiva teoretica che riconduce il giudizio e il significato al mondo, inteso come totalità governata da regole di coerenza. In questo modo, i pensieri cessano di essere fatti coscienziali, poiché vengono resi possibili da un certo contesto di esperienza, la quale, tuttavia, non si contrappone al linguaggio in generale, ma solo all’uso che del linguaggio viene fatto nel giudizio. Di conseguenza, l’esperienza da cui procede il pensiero è costituita dagli enunciati d’azione, che si radicano nella vita del mondo. Heidegger delinea dunque una prospettiva che da un lato considera i significati qualcosa di ‘oggettivo’, poiché essi non sono relativi ai soggetti, e dall’altro evita di ritenerli ‘intemporali’, dato che i mondi all’interno dei quali essi possono apparire si danno temporalmente. Dal punto di vista della questione della verità, si avanza così l’ipotesi che l’impostazione heideggeriana, pur mantenendosi distante e critica verso una concezione soggettivista della verità, indichi tuttavia una posizione fondamentalmente antirealista.
Vincenzo Costa (San Cono, CT, 1964) insegna Storia della filosofia contemporanea presso la sede piacentina dell’Università Cattolica. Si è occupato della filosofia tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento, della filosofia francese contemporanea e della fenomenologia, alla cui analisi ha contribuito con numerosi saggi. Ha tradotto le “Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl” (Milano 1992) e curato “Il problema della genesi nella filosofia di Husserl di J. Derida” (Milano 1992), il “Libro dello spazio” (Milano 1996) e le “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia” (Torino 2002) di Husserl. Ha pubblicato “La generazione della forma” (Milano 1996), “L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl” (Vita e Pensiero, Milano 1999) e (con P. Spinicci e E. Franzini) “La fenomenologia” (Torino 2002).