«Le due città non sono riconoscibili in questo fluire dei tempi e sono fra di loro commischiate, fino a che non siano separate dall'ultimo giudizio». Con queste parole Agostino consegna alla cultura occidentale la prima proposta, da un punto di vista cristiano, di una visione organica della storia nella quale bene e male - la città di Dio e la città terrena - sono da sempre presenti e profondamente legati. È alla luce della rivelazione trinitaria che sarà possibile rileggere la storia in un'ottica pienamente positiva in cui dall'esperienza del male vinto emergerà l'Amore, lo stesso che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nel periodo delle invasioni barbariche che sconvolsero l'Impero Romano, le riflessioni dell'Ipponate gettano le basi per costruire una nuova epoca e forniscono una prospettiva epistemologica che diverrà il fondamento di gran parte del pensiero filosofico e teologico. Dal Medioevo al Rinascimento, fino alle incertezze tipiche della contemporaneità indecisa fra postmoderno e dopomoderno: l'eredità di Agostino attraversa i secoli - un'eredità qui esemplificata attraverso Scoto Eriugena, Guglielmo di Saint-Thierry, il Cinquecento spagnolo, Fichte, Rosmini, Scheler, Sciacca, Ricoeur, Chrétien, Marrou e Marion - e offre spunti sempre attuali per riflettere sul rapporto tra Dio e il mondo, tra eternità e tempo.
Sant'Agostino, eccezionale testimone e maestro di bellezza, ce ne tratteggia il triplice volto: quello della bellezza fisica, definita "estetica" appunto perché "percepita" dai sensi, a partire dagli occhi e dall'udito; quello della bellezza interiore, costituita dalle virtù, in particolare dalla giustizia, dalla sapienza, dall'amore, dalla verità, intercettata dalla mente; quello della bellezza escatologica, cioè della bellezza che caratterizza l'essere umano nel mondo dei risorti anche nel suo corpo, svelata dalla Parola di Dio. Ma ad Agostino sta a cuore segnalare il Mistero della Bellezza, personificazione e fonte della bellezza, in Dio Trinità, di cui le bellezze create sono una sorta di sacramento.
Agostino ci suggerisce che un'opera non si capisce veramente se non la si legge più volte. Facendo tesoro di queste parole, l'autore conduce attraverso una lettura attenta dei Dialogi agostiniani. Essi vengono presi in esame singolarmente, per coglierne la struttura e sottolineare i passaggi maggiormente significativi del discorso fatto a più voci. L'obiettivo è quello di cogliere appieno il pensiero di san'Agostino, evitando di incorrere nelle mancanze che sovente hanno caratterizzato altre interpretazioni di questi testi: una non perfetta conoscenza della vita del Santo e della sua conversione, un'insufficiente ricerca delle fonti, sia pagane che cristiane, una trascurata nozione delle norme che regolavano il genere letterario dei dialoghi. Il testo viene ora offerto in una nuova edizione aggiornata rispetto alla precedente del 2013.
Era sessantenne Agostino, nella sua piena maturità teologico pastorale, quando predicò i 124 Trattati sul Vangelo di Giovanni, a cui ha aggiunto 10 Trattati sulla prima Epistola di Giovanni. Il suo uditorio era costituito dai suoi stessi fedeli di Ippona, che in quel momento, dopo un prolungato e profondo travaglio provocato soprattutto dall’impatto con eresie e scismi, avevano bisogno di una sostanziosa cura pastorale.
Attingendo ispirazione dall’evangelista Giovanni, ha consegnato loro, come singolare atto di amore pastorale, il distillato teologico, pastorale e spirituale, di molte delle sue opere, come la Città di Dio, la Trinità, opere polemiche, lettere poderose, piccoli ma interessanti trattati, principalmente sulla fede nel Mistero della Trinità, nel Mistero di Cristo, Verbo incarnato, nel Mistero della Chiesa, suo corpo, sua sposa, e sull’amore fraterno. Li ha incontrati per un anno intero, due o tre volte alla settimana, il sabato, la domenica e, spesso, il lunedì. L’esito si è tradotto in un percorso spirituale che potremmo definire da anno ignaziano, finalizzato a sintonizzare la vita della sua gente con la Parola di Dio.
L’opera è di estrema attualità anche per i Laici.
L'oggetto di questo libro è la simbologia musicale negli scritti di Agostino. È forse la prima volta nella storiografia che il tema dell'immagine musicale come metafora teologica e antropologica è affrontato direttamente, nel corpo a corpo attivato da Laurence Wuidar coi testi del grande filosofo cristiano. Ne risulta illustrata in chiave musicologica un'ampia silloge di immagini simboliche di contenuto teologico, filosofico e antropologico-musicale. Nei commenti ai Salmi Agostino costruisce uno straordinario laboratorio linguistico e ermeneutico che fa degli elementi fondanti della musica - il ritmo, il tempo, l'ascolto, il suono, la voce, il canto, gli strumenti con cui far musica - i veicoli simbolici esplicativi di concetti teologici - la Mente divina, il Verbo, l'Eternità, la figura di Cristo, la Croce, la Trasfigurazione, il Santo o il Profeta. In questo febbrile esercizio esegetico la musica assume un rilievo straordinario, in quanto più d'ogni altra riflessione o discorso essa si mostra capace di avviare la conoscenza umana ai misteri della fede cristiana.
Il concetto di intentio ha occupato finora un posto molto particolare negli studi agostiniani proprio a motivo delle posizioni divergenti esistenti tra gli studiosi dell'interpretazione del suo status epistemologico. La posizione prevalente è quella di trascurare il significato conoscitivo dell'intentio per il suo legame con gli atti volontari (volontà, desiderio, amore, ecc.), mentre l'altra posizione consiste nell'identificarla con il concetto moderno di intenzionalità. In questo contesto complesso, la presente ricerca si dedica a raggiungere il significato fondamentale dell'intentio per descrivere semanticamente l'uso del termine, per via induttiva, analizzando le sue occorrenze nei dialoghi filosofici (prima parte) e nel De trinitate (seconda parte). Per tale strada, sulla base del concetto agostiniano di intentio, che costituisce la struttura conoscitiva dell'anima, e riflette quella ontologica, si giungerà a chiarire il nesso dinamico della conoscenza sia con l'amore sia con l'essere stesso dell'anima, dimostrando infine la correlazione conoscitiva e ontologica tra l'anima e la Trinità.
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze.» (Dall'Introduzione di Franco Buzzi)
Se Dio esiste non può essere ostaggio della cultura o dell'erudizione, deve essere comprensibile nella sua esistenza anche per chi non ha familiarità con dotte argomentazioni di carattere strettamente filosofico e scientifico. Attraverso le storie concrete delle persone, queste pagine fanno emergere come Dio sia inscritto nell'interiorità di ogni uomo e come e perché oggi non se ne trovi più traccia. Cos'è il male? Perché il dolore? Perché l'amare? Dove trovare il senso di ogni nascere per capire ogni morire? Dov'è Dio in questa "oscura selva" dell'umanità? L'uomo è in "sé stesso" prova dell'esistenza di Dio, molto più di tutto ciò che lo circonda, perché "egli stesso" è la via a Dio.
«La riflessione nelle pagine che seguono vorrebbe suggerire alcuni spunti di discussione circa quello che oggi si percepisce come una crisi. All'alba del XXI secolo sembrano emergere vari livelli di crisi: certamente vi è, in generale, una crisi economica, una crisi nata dalla pandemia di Covid-19, una crisi sociale (ad esempio quella data dalla crescente solitudine compensata con mezzi digitali o televisivi), e, certo, anche una crisi della politica. Oggi si percepisce una crisi in generale, sia per quanto riguarda il modello democratico dei paesi "occidentali", ma, anche, in forme diverse, per tutti gli altri modelli alternativi (pensiamo alle monarchie arabe, ai sistemi post-comunisti e totalitari, alle altre forme di stati con ristretta partecipazione dei cittadini...). Oggi sembra in profonda crisi sia l'idea storica di stato nazionale, sia quella più recente di governo ispirato da ideologie, o altri modelli non basati sulla sovranità di uno specifico paese (come ad esempio il progetto europeo). Forse siamo di fronte alla crisi, in effetti, dell'identità personale dell'uomo» (per la II Parte del volume vedasi l'Introduzione guida iniziale).