Ha cercato di vivere nascosto perché emergesse sempre di più e soltanto Gesù Cristo. Il fallimento delle illusioni della sua epoca e quello dei suoi progetti di missionario nel deserto del Sahara fu chiaro anche ai suoi occhi, ma il Signore lo ha trasformato in profeta per il nostro tempo. Eremita e missionario tra i tuareg musulmani dell'Algeria, senza enfatizzare il dialogo teologico e culturale con l'islam, ha accettato di perdersi senza contropartita. Ricordato da Paolo VI nella Populorum progressio, proclamato beato da Benedetto XVI, Charles de Foucauld è stato un punto di riferimento per la missione e per i martiri del nostro tempo. Come il profeta Elia, riscoprendo il suo Dio come brezza, aiutò i credenti del suo tempo a sperare, così il mormorio leggero dello Spirito sperimentato da fr. Carlo aiuterà oggi i cristiani a riscoprire il Signore Gesù. Il volume contiene anche un primo commento sistematico sulla Lettera dei 138 saggi musulmani a Benedetto XVI e alle guide delle comunità cristiane e si pone nel solco del discernimento conciliare sui credenti musulmani.
A partire da una ricerca trasversale in scienza, filosofia e religione, questo trattato offre interessanti stimoli di riflessione sulla spiritualità, sulla sua natura e sulle teorie che, nel corso degli anni, ne hanno tratto fondamento. Un percorso che comincia intorno alla metà del secolo scorso, quando le filosofie orientali, cariche di misticismo ed esoterismo, cominciarono ad avere risonanza e a influenzare il mondo occidentale.
Qual è il significato umano e spirituale del desiderio? È un ostacolo da eliminare o elemento da approfondire? Si può vivere senza affetti? Cosa significa "valere"? E quali risvolti può comportare per la vita spirituale? Rabbia e aggressività sono nemici da fuggire o degli alleati indispensabili? Perché hanno un rapporto così notevole con la speranza e la depressione? Che fare quando arriva il momento della crisi? È solo smarrimento o un'offerta di possibilità nuove? Perché il deserto, luogo di desolazione e morte, stranamente, è anche il simbolo-principe della crisi e della maturità spirituale? Il senso dell'umorismo può essere un segno di salute mentale e spirituale? E quando l'amicizia può considerarsi un aiuto per la propria vita? Quanto incide la paura nelle nostre scelte e nella più generale rappresentazione della vita, della società e della relazione con Dio? In questo libro, che esce in una nuova edizione, aggiornata e ampliata, si cerca di dare una risposta a questi ed altri interrogativi con cui, bene o male, ognuno di noi è chiamato a fare i conti: essi vengono presi in considerazione nel loro rapporto con la vita spirituale, senza con questo trascurare il contributo offerto dalle scienze umane. Scopo di questo confronto è di giungere ad una visione più vera e riconciliata con la propria affettività: un ideale non certo facile e tuttavia necessario.
Le lettere familiari hanno costituito finora la più frammentaria e trascurata sezione dell'epistolario verghiano. Il corpus qui raccolto, relativo alla fase fondamentale della vicenda umana e letteraria dello scrittore catanese (dal 1851, anno della prima lettera nota di un Verga 'puer', al 1880, anno di conclusione del lavoro sui Malavoglia), si presenta come un'edizione critica conservativa, arricchita da un ampio commento biografico e storico-linguistico. Vengono recuperati numerosi inediti alla madre e ai fratelli, ma anche acquisite (con pazienti ricerche d'archivio) significative lettere dei familiari dello scrittore (padre, madre, fratelli). L'insieme può assurgere legittimamente alla coerenza di una testimonianza epistolare fra le più significative della letteratura ottocentesca, e ciò sia per la sua priorità e specificità rispetto al resto delle lettere verghiane note, che per l'interesse oggettivo dei testi. Essi infatti ci presentano un Verga sostanzialmente inedito, sempre alle prese con i problemi della quotidianità e della gestione economica di sé lontano e della famiglia a Catania.
Questo libro vuole essere un’occasione per vivere il tempo di Avvento leggendo, meditando e pregando quotidianamente la Parola nei testi proposti dalla liturgia feriale e festiva. La sua struttura prevede come asse portante la riflessione sull’Evangelo del giorno, con un approccio volto a coniugare il rispetto dell’alterità storico-culturale del testo con le tematiche esistenziali e antropologiche che la Scrittura pone all’uomo contemporaneo. Il momento della riflessione sul brano evangelico è incorniciato, secondo lo spirito tipico della lectio divina, da una preghiera sempre ispirata alla Parola. Inoltre, sia la presenza costante di un brano estratto dalla prima lettura prevista dalla liturgia sia l’utilizzo di citazioni da autori spirituali antichi e moderni consentono di arricchire l’esperienza spirituale quotidiana. In tal modo testo biblico e tradizione da un lato, studio e preghiera dall’altro trovano la loro opportuna integrazione.
La nostra società sovrabbonda di discussioni e dibattiti sul tema del perdono. Ma cosa significa veramente perdonare? Perché accordare questo gesto? Non è una forma di debolezza o una maniera di giustificare il male? E soprattutto: col perdono cambia davvero qualcosa? Sono queste le domande a cui il libro cerca di rispondere da un punto di vista psicologico. La tesi di fondo è che il perdono, se inteso correttamente, è una delle protezioni più potenti per fronteggiare il male e le sue conseguenze, come raccontano le vicende di chi, sorprendendo anzitutto se stesso, è riuscito a compiere questo difficile passo.
All'indomani dell'8 settembre 1943 il tenente d'Artiglieria Giovannino Guareschi, di stanza ad Alessandria, era catturato dai tedeschi e, avendo rifiutato di continuare a combattere per il Grande Reich, veniva spedito, insieme a migliaia di altri militari italiani, in un campo di concentramento nazista. Ritornò a casa il 4 settembre del 1945, respingendo le frequenti e pressanti proposte di "collaborazione". Un autentico calvario, durante il quale "io avevo in mente di scrivere un vero diario e, per due anni, annotai diligentissimamente tutto quello che facevo e non facevo, tutto quello che vedevo e pensavo. Anzi, fui ancora più accorto: e annotai anche quello che avrei dovuto pensare...". Comincia così l'avventurosa storia di questo testo, poi proseguita e completata dai figli Alberto e Carlotta nelle "Istruzioni per l'uso" che precedono il volume. Contiene, innanzitutto, la cronaca della vita quotidiana nei vari Lager in cui Guareschi venne spostato, ma raccoglie anche informazioni sull'universo dei campi di prigionia, riunendo infine una serie di testimonianze sul martirio di quanti erano avviati ai campi di sterminio. Una scrittura pacata, in cui sempre affiora una nota di struggente umorismo, che racconta l'orrore della notte più buia d'Europa in pagine di altissimo valore umano e letterario.
È nota la chiave ermeneutica proposta da Benedetto XVI per la retta interpretazione del Concilio Vaticano II: "Continuità nella riforma o nel progresso", contro l'interpretazione che vede nelle nuove dottrine del Concilio un adeguamento alla modernità, tale da smentire la dottrina cattolica precedentemente insegnata dal Magistero della Chiesa. Questa tesi della "rottura" appare una logica e normale risposta alla tendenza neomodernista e relativista che nega l'immutabilità della verità e sostiene la veritas filia temporis. Per questa corrente la verità è nel presente e negando quella del passato, che a sua volta sarà negata da quella del futuro. Dalla parte opposta abbiamo i lefebvriani, i quali, seppure consapevoli dell'immutabilità della verità di fede, non riescono a vedere nelle dottrine del Concilio una conferma ed uno sviluppo omogeneo della Tradizione, senza alcuna smentita o contraddizione. Non capiscono che la Chiesa dev'essere moderna, benché non modernista. Una distinzione da tenere presente è quella tra l'aspetto pastorale e l'aspetto dottrinale degli insegnamenti del Concilio. Mentre per quanto riguarda la dottrina si dà un'evoluzione omogenea, in quanto migliore conoscenza del dato rivelato, per quanto riguarda la pastorale esistono opportune e doverose "rotture" col passato e forse anche qualche sbaglio da correggere. Mentre il Magistero è infallibile nella dottrina, non lo è nella pastorale.
"I sacramenti sono in connessione sostanziale con la vita della Chiesa. Costituiscono la radice profonda della vita del popolo cristiano; ma la Chiesa è un popolo guidato al destino: i sacramenti sono pertanto nell'orizzonte ineludibile della vita e della funzione dell'autorità ecclesiale. Leggendo le pagine del tuo libretto, appare chiara l'immagine della Chiesa come luogo della presenza sacramentale di Cristo. E questo è un contributo fondamentale a riprendere l'evento cristiano come esperienza. Questa tua presentazione dei sacramenti, così innovativa perché così tradizionale, conferisce ai sacramenti il valore che io ho riscoperto nei cinque anni del mio episcopato. In moltissimi casi i sacramenti, che hanno una specificità assolutamente cattolica, assumono, nel contesto di profonda scristianizzazione in cui viviamo, il valore di strumenti di una nuova evangelizzazione" (dalla Presentazione di Mons. Luigi Negri).
Il Papa Buono insegna ai piccoli, in modo limpido e profondo, a compiere giorno dopo giorno un nuovo passo verso quella felicità che Gesù ha preparato per l’uomo,“anche in questa vita”.
Una preghiera altamente evocativa accompagnata dalle illustrazioni di Bimba Landmann.
Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta.
Solo per oggi...
Destinatari
Dai 5 anni.
Gli Autori
Giovanni Xiii (1881 – 1963), nato Angelo Giuseppe Roncalli, universalmente riconosciuto come il “Papa buono”. Eletto papa il 28 ottobre 1958, è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000.
Bimba Landmann è un’illustratrice notissima in Italia e nel mondo. Ha vinto numerosi premi ed esposto le sue opere in molte mostre. Lo stile inconfondibile e raffinato ne fa una figura di spicco dell’illustrazione contemporanea. I suoi disegni arricchiscono un testo che è già una piccola perla.
Il presente volume, che interesserà piu’ ambiti disciplinari, è un’importante opera di Storia realizzata da un giurista da sempre studioso del mondo russo. La storia della Chiesa russa è segnata da uno stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium che trova il suo fondamento nella dottrina bizantina della sinfonia dei poteri, ma che, fatti salvi periodi assai brevi, si è realizzato come totale e incondizionata subordinazione dell’autorità spirituale a quella temporale. Il fattore religioso permea tutta la storia della Russia: basti pensare all’idea di Mosca Terza Roma e alla sua negazione, che alla fi ne del XVI sec. si esprime nell’Unione con Roma delle eparchie rutene della Confederazione polacco-lituana, o nella metà del secolo successivo al grande Raskol o scisma dei Vecchi credenti, i quali danno vita ad una Chiesa nazionale contrapposta a quella ufficiale, o ancora, in negativo, a cavallo tra XVII e XVIII sec. al periodo di Pietro il Grande, che trasforma la Chiesa in un dicastero statale, impone un modello di società totalmente estraneo alla tradizione russa e dà inizio alla grande frattura che porterà alla contrapposizione tra slavofili e occidentalisti, tra fautori del modello europeo e di quello asiatico e successivamente all’imposizione intollerante del bolscevismo. Dopo l’esperienza sovietica, attentamente analizzata dall’autore, prevarrà ancora una volta il rapporto di stretta sinergia tra Chiesa e Stato dell’epoca zarista e, siamo ai giorni nostri, riprenderà vita un sistema confessionista, intollerante nei confronti delle religioni considerate estranee alla tradizione del Paese. Il volume esamina diffusamente anche l’evoluzione storica dei rapporti dello Stato russo con la Chiesa dei Vecchi credenti e con quella greco-cattolica, analizzando le cause che ne hanno favorito la nascita, e gli attuali rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con le altre Chiese e Confessioni. Particolarmente attuali sono le pagine sul progetto di unione tra cattolicesimo e ortodossia elaborato da Petro Mohyla, elevato all’onore degli altari dalle Chiese ortodosse ucraina (Patriarcato di Mosca), romena e polacca nel 1996 e dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 2005.
Grazie alle analisi del DNA la ricerca è entrata in una nuova era. Vale per ogni specie vivente, vale per i vini e per i vitigni: dalle origini ai nostri giorni, è finalmente possibile conoscerne la storia più profonda. Un gruppo di autorevoli esperti ha recentemente scoperto che ben 78 vitigni coltivati oggi in Europa hanno un antico genitore comune: il vitigno affidato da un imperatore romano alle sue legioni. Se guardate un film di guerra ambientato nell'antica Roma e osservate bene i centurioni, scoprirete che immancabilmente nella mano destra stringono un bastone, chiamato vitis, che non è altro che un ramo di vite. Seguendo alla lettera il monito di Orazio - "nessun albero prima della sacra vite tu pianterai, o Varo" - Roma stabilisce, a un certo punto della sua storia, che la figura chiave dell'esercito avrebbe impugnato un tralcio di vite. Perché gli antichi romani davano così importanza a questa pianta? E come mai in Italia, in Gallia, in Britannia, in Iberia e ovunque in Europa cominciarono a piantare viti, anziché frumento, orzo o alberi da frutta? Come ha fatto una città enologicamente incolta a diventare la capitale mondiale del vino? Nei primi secoli dell'antica Roma il vino è una bevanda per ricchi patrizi. A partire dalla seconda metà del II secolo a.C, quando si diffonde il pane, anche il vino "esplode", diventando nutrimento e piacere di massa. Nascono produttori, speculatori, grossisti e dettaglianti che accumulano capitali e fondano compagnie commerciali.