"Il Signore renda la donna che entra in casa
tua come Rachele e Lia, le due donne
che edificarono la casa di Israele".
"Con Rut, profeticamente ha inizio la nuova "Casa di Israele" dove anche le genti hanno posto. Considerate l'importanza della presenza di Rut nella genealogia di Gesù in Matteo 1! Sembra dunque che si voglia dire una rinnovata edificazione del Popolo di Dio in vista del re David e in vista del Messia".
L'umanità dei vinti, di coloro che sono immancabilmente falciati dalla storia, per quanto possano tentare di opporsi: questo è l'ingrediente primo del verismo di Giovanni Verga, insieme con una straordinaria capacità di far rivivere sulla pagina la condizione umana dolente di una Sicilia osservata in prima persona. Così ne "I Malavoglia" una famiglia di pescatori di Aci Trezza dà voce a un romanzo corale in cui l'attaccamento alla tradizione familiare arcaica, che sembra l'unica possibile ancora di salvezza, si avvia a un triste naufragio. "Mastro-don Gesualdo" narra la storia del rivolgimento sociale di una classe che decade e di una classe che tenta di emergere, con la vicenda esemplare di un muratore arricchito che consacra tute le proprie energie allo sterile amore per la "roba". Sono questi i temi ricorrenti anche nella novellistica verghiana, non solo quella di argomento siciliano: la lotta incessante e disperata per la sopravvivenza, il conflitto per il bisogno e per il possesso, il desiderio di elevarsi che si rivela inutile, di fronte all'accanirsi di un destino segnato. Qui si trovano alcune delle pagine più riuscite di Verga: quelle di "Rosso Malpelo", "Ciàula scopre la luna", "La roba".
L'universo di Giovannino Guareschi si arricchisce sempre di nuovi personaggi. Dopo "Don Camillo e Peppone", ecco "I racconti di nonno Baffi", secondo volume delle Opere, a cura dei figli Alberto e Carlotta: "Piccolo mondo borghese", "Baffo racconta" e l'ormai introvabile "La calda estate del pestifero". "Piccolo mondo borghese" raccoglie i libri "Il decimo clandestino" e "Noi del Boscaccio", pubblicati postumi sempre dai figli su progetto di Giovannino negli anni Ottanta. In questi racconti il teatro della Bassa si popola di personaggi "sgalembri", come li definisce Giovannino: Gisto, che reinventa in chiave comunista una sacra rappresentazione natalizia; Giorgino del Crocilone, ossessionato dalla presenza di un gatto bianco e nero; Togno del Boscone, undici figli di cui il più giovane è morto in guerra; i Morlai, alle prese con la cena di Natale; Gión, che va dalla morosa con la sua Stradale; l'Esagerato, bestemmiatore incallito, che alla fine si converte; Anteo Magoni, che vuole figli maschi per lavorare la terra ma la Gisa mette al mondo solo femmine. Questa è la gente della Bassa. Guareschi sentì l'esigenza di raccogliere i racconti pubblicati tra il 1949 e il 1958 su vari giornali e riviste per completare la saga di Don Camillo e Peppone. Dalla raccolta esce il ritratto di un mondo affollato di gente piegata dal dolore e dalla vita però mai vinta, che attraversa il difficile dopoguerra, la ricostruzione e un futuro di speranze e di lotte nel pieno del boom economico.
"Il primo accostamento di Schiller alla filosofia è in un contesto anomalo: la facoltà di medicina dell'Accademia militare di Stoccarda, la cosiddetta Karlsschule. A questa scuola dalla disciplina feroce, che si rivelò tuttavia una straordinaria palestra intellettuale, Schiller si era iscritto obtorto collo nel 1773 per volontà del duca del Wurttenberg, che gli aveva imposto dapprima lo studio del diritto, ignorando un interesse per la teologia manifestatosi fin dall'infanzia. Lo scarso entusiasmo per la giurisprudenza lo indusse dopo due anni a passare alla facoltà medica, fondata da poco e ispirata a un progetto formativo assai innovativo, che alle tradizionali discipline mediche e biologiche affiancava lo studio intensivo della filosofia e della psicologia. Il giovane Schiller, che da tempo aveva cominciato i primi esercizi letterari e mal tollerava la limitazione della libertà personale imposta dal duca, si dedicò dapprima svogliatamente ai corsi universitari, fino all'incontro decisivo con un giovane professore di filosofia, Jacob Friedrich Abel": da qui prende il via l'avventura intellettuale di uno dei maggiori protagonisti del Romanticismo tedesco. Johann Schiller (1759-1805) è stato poeta, filosofo, drammaturgo e storico. Influenzato dall'opera di Immanuel Kant, introdusse il concetto di "anima bella" come il culmine e lo scopo sommo dello sviluppo umano, un elemento nuovo di passione e irrazionalità rispetto alla morale e all'etica kantiana.
"L'uomo da solo può resistere al potere? Perché possiamo tradire ogni valore e affetto? L'intelligenza è una barriera contro l'ideologia? Lo sono forse la fede, l'amore, l'amicizia?" Due pièce teatrali, due diverse ambientazioni, una sola tragica dinamica, quella dell'ideologia e del potere di fronte alla libertà del singolo uomo.
Nella notte del 6 aprile 2009 un terremoto di magnitudo 5.9 della scala Richter colpisce L'Aquila: il bilancio è di oltre 300 vittime, 1.600 feriti e miliardi di euro di danni. Pochi mesi dopo, il Santo Padre invia sul posto monsignor Giovanni D'Ercole, pastore assai apprezzato e volto noto al pubblico televisivo che lo segue da anni nella trasmissione "Sulla via di Damasco". Ma don Giovanni - così ama farsi chiamare - è anche e soprattutto uomo d'azione. E quando, a oltre un anno di distanza dal terremoto, coglie le lamentele della gente per le macerie non ancora rimosse, non ci pensa un attimo: rimboccatosi le maniche, imbraccia una pala e comincia a darsi da fare. Perché, spiega, proprio questo deve fare la Chiesa oggi: darsi da fare affinché, tra le problematiche della postmodernità, gli uomini possano sentire che la Chiesa è accanto a loro, ne incoraggia il cammino. Quello odierno è uno scenario inquietante, e il terremoto dell'Aquila ne è una metafora quanto mai efficace.
Una gran parte dei credenti cristiani, ancora oggi, ignora lo spessore teologico dell'idea di regno di Dio. Non pochi cristiani confondono e identificano il regno di Dio con la Chiesa o, viceversa, li sganciano radicalmente, al punto da ritenere le due realtà quasi incompatibili tra loro. Ne deriva l'istanza di ri-appropriarsi di questo tema teologico fondamentale; rendere i suoi contenuti più profondi un fatto personale; tirarne le conseguenze per l'agire pratico dei credenti e dell'intera comunità cristiana. Ne verrà un decisivo vantaggio per il futuro stesso dell'identità della Chiesa e della sua presenza nella storia.
La ricerca della felicità è insita nella natura propria dell'essere umano di ogni tempo e di ogni luogo. Anelare alla vera felicità significa contattare il mistero dell'esistenza, e intraprendere il progetto consapevole di un lungo viaggio interiore che ha per mete la conoscenza di sé, il rapporto con Dio e il bene dell'altro. L'autore di queste pagine si avvale della sapiente voce dei padri della chiesa, per condurre il lettore nella direzione di queste mete in un'opera di pacificazione, al fine di raggiungere un armonico equilibrio. I brani proposti, eco della sapienza antica per il mondo di oggi, sono corredati dalla riflessione che si esplicita in formule narrative e poetiche, e in considerazioni teologiche e pastorali. Interrogativi specifici uniti al pensiero di sant'Agostino aiutano il lettore passo dopo passo in questo cammino interiore.
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I salirono sulla cattedra di Pietro dopo essere stati patriarchi di Venezia per alcuni anni. L'incontro con la complessa realtà della diocesi lagunare, che si trovava ad affrontare problemi sociali ed ecclesiali di non poco conto, questo condizionò la loro esperienza pastorale. Dell'esperienza fatta a Venezia, cosa portarono a Roma, al centro del cattolicesimo, come pastori universali? Cosa rimase delle scelte, dei progetti e degli incontri veneziani nel nuovo e grande orizzonte della Chiesa? Il volume cerca di rispondere a tali domande, mettendo in luce soprattutto la loro attenzione ai problemi sociali e del mondo del lavoro e dei rapporti con le altre Chiese e confessioni cristiane
Storie vere, vissute, descritte con partecipazione, penetrando nel profondo, per affermare e dimostrare che scegliere di vivere o scegliere di morire in nome della sacralità della vita o del diritto all'esercizio del libero arbitrio, anche sulla vita e sulla morte, non sono opzioni che attengono solo alla libertà individuale, ma ai principi fondanti di un Paese moderno. È un libro che permette di vedere, attraverso gli occhi di un medico, il sottile equilibrio tra l'essere padroni della vita e la capacità di accoglierla come dono.
Un affascinante viaggio per riscrivere il proprio vissuto attraverso un confronto con eloquenti testimonianze di perdono attinte dal mondo della letteratura e della filosofia.