Costante è stata l'attenzione di Ricoeur al tema della pena, nel suo versante teologico (chi commette peccato? Chi giudica e condanna?), filosofico (l'intrecciarsi di male subito e commesso) e politico-giuridico (come sanzionare il colpevole senza comminare inutili sofferenze?).
Nei saggi qui per la prima volta tradotti, che coprono l'arco dell'intera riflessione ricoeuriana, vediamo all'opera il respiro ermeneutico del filosofo: partire dalle evidenze per mostrare i rendiconti significati del "diritto di punire", un diritto che , se non riflessivamente sorvegliato, rischia di rovesciarsi nell'opposto; non riparazione di un danno, ma perpetrazione, anche involontaria, del male fisico e morale
A raíz de las manipulaciones y abusos a los que la memoria se ve sometida, bien sea por parte de las ideologías que imponen el olvido, o de las conmemoraciones forzadas que imponen el recuerdo, Ricoeur postula una política de la justa memoria. "La memoria, la historia y el olvido" retoma la problemática de la narración histórica planteada por el autor en sus anteriores obras, pero centrándose esta vez en la representación del pasado y ocupándose así de dos aspectos que habían sido omitidos: la memoria y el olvido.La fenomenología de la memoria, la epistemología de la historia y la hermenéutica de la condición histórica son los tres métodos escogidos para abordar esta obra. Pese a que consta de tres partes muy definidas, la pregunta por lo que sucede con la representación presente de una cosa ausente ("eikon") recorre todo el libro. Por último, el autor da una vuelta de tuerca más a la cuestión de la representación del pasado preocupándose por el perdón, un tema que de alguna manera condiciona la constitución de la memoria y la historia y marca el olvido.
Esistono, accanto ai linguaggi che constatano, descrivono, ordinano dei fatti, altri linguaggi - come quelli poetici, simbolici, religiosi - che ricorrono soprattutto alla metafora e sono linguaggi di ridescrizione e di metamorfosi della realtà. Una tradizione consolidata, quella retorica, considera tali linguaggi come esclusivamente rivolti alla persuasione appunto mediante gli artifici retorici. Questi linguaggi ad alto valore ornamentale non avrebbero valore informativo, di referenza alla realtà. È possibile superare questa lettura retorica della metafora e giungere a una lettura poetica, cioè considerare la metafora come strategia linguistica capace di dare conto della creazione di un nuovo significato, come linguaggio di rivelazione? A questo interrogativo rispondono gli studi che costituiscono il presente volume: mostrare che i linguaggi metaforici non sono carenti di un vero rapporto con la realtà, anzi sono linguaggi portatori di una sovrabbondanza di senso. Il linguaggio poetico-metaforico, proprio perché non vuole mostrare la realtà come è, cancella il mondo come complesso di oggetti disponibili, manipolabili, e apre nuove dimensioni della realtà. Tentare di mostrare la legittimità di tali linguaggi vuol dire aprire al linguaggio umano, e all'uomo, altre vie che non sono quelle della dominazione: dominazione delle cose, dei segni ridotti alla loro funzione strumentale.
La traduzione e i poblemi che essa pone, tanto sul piano linguistico quanto su quello più ampio e specifico della filosofia del pensiero parlante, sono al centro della riflessione ermeneutica degli ultimi scritti di Paul Ricoeur.
Il volume contiene la traduzione di tre brevi e suggestivi saggi: Sfida e fortuna della traduzione, del 1997; Il paradigma della traduzione, del 1998; e Un ‘passaggio’: tradurre l’intraducibile, del 2004. Un insieme coerente, coinvolgente, efficace attraverso il quale il Filosofo tenta di risolvere il perenne dilemma etico e teoretico posto da qualsiasi esercizio di inter-comunicazione culturale tra diverse lingue parlate e scritte. Fedeltà e tradimento, il problema etico; costruzione della comparabilità in assenza di una lingua comune e originaria, il problema teoretico.
A corredo il volume contiene due saggi di Mirela Oliva; uno d’introduzione al tema e l’altro di inquadramento di esso nel contesto degli sviluppi eremenutici contemporanei.
In questa bellissima meditazione, un filosofo dibatte con se stesso quanto alla speranza di sopravvivere, trovandosi nell’impossibilità intellettuale e spirituale di acconsentire a qualsiasi visione ingenua di un altro mondo che dovrebbe essere un doppio, o la copia, di questo mondo. È necessario elaborare il lutto di qualsiasi immagine, di qualsiasi rappresentazione.Nel 1996 Ricoeur pone la questione: «Che cosa posso dire della mia morte?». Come «elaborare il lutto di un voler-esistere dopo la morte»? Questa lunga riflessione sul morire, sul moribondo e il suo rapporto con la morte, e ugualmente sul dopo-la-vita (la resurrezione), passa attraverso due mediazioni: testi di sopravvissuti ai campi di sterminio (Semprún, Levi) e un confronto con un libro del grande esegeta Xavier Léon-Dufour sulla resurrezione.La seconda parte del libro è composta di testi scritti nel 2004 e nel 2005, che il filosofo stesso ha chiamato «Frammenti» (sul «tempo dell’opera» e il «tempo della vita», sul caso di essere nato cristiano, sull’imputazione di essere un filosofo cristiano, sulla controversia, su Derrida, sul Padre nostro...). Testi brevi, redatti talvolta con mano tremante, mentre è già molto affaticato. L’ultimo, della Pasqua 2005, è stato scritto un mese prima della sua morte. Paul Ricoeur, grande filosofo del XX secolo, è deceduto il 20 maggio 2005.
Prefazione di Olivier AbelPostfazione di Catherine Goldenstein
Introduzione all’edizione italiana di Daniella Iannotta
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».
I saggi qui raccolti, e scritti tra il 1975 e il 2000, possono definirsi un compendio della riflessione morale di Ricoeur: dalla distinzione tra etica, come desiderio di una vita compiuta, e morale, in quanto universalità della norma che media tra volontà diverse, alla determinazione dei concetti di stima di sé, sollecitudine, giustizia, libertà, intenzione etica, legge, valore, istituzione, "legge di natura". Una costellazione di categorie con la quale Ricoeur traccia, quasi didatticamente, i lineamenti di una filosofia morale. Una filosofia che coniugando prospettiva teologica e prospettiva deontologica - Aristotele e Kant, ma memore anche della lezione di Max Weber - riconosce l'ineliminabilità del conflitto dei doveri, di un lato tragico inerente all'azione morale. Conflitto al quale far fronte, di volta in volta, con la saggezza pratica. Senza dimenticare la paradossalità dell'etica evangelica, con i suoi comandamenti - "ama il prossimo tuo", "porgo l'altra guancia" - che "orientano disorientando": scompigliando l'esistenza, "rigenerano la libertà".
Il Giusto 1 aveva messo in rapporto l'idea di giustizia in quanto regola morale con la giustizia in quanto istituzione. Se gli studi raccolti ne Il Giusto 2 proseguono tale orientamento - e ne danno testimonianza i testi che vertono sui rapporti fra la morale e l'etica, la giustizia e la vendetta - l'aggettivo «giusto» è ormai ricondotto alla sua scaturigine concettuale, al to dikaion greco dei Dialoghi socratici di Platone. Questo ritorno all'uso estensivo del «giusto», laddove l'aggettivo neutro viene eretto a sostantivo, autorizza ad aprire il campo concettuale indagato. Tale è la particolarità de Il Giusto 2. Si ritaglia, allora, un nuovo spazio di senso, che consente di impegnarsi in un'ampia riflessione filosofica sul giusto. Da cui le meditazioni originali sulla traduzione, l'universale e lo storico, l'autonomia, l'autorità e la vulnerabilità. Parallelamente, siffatta estensione del concetto conduce ad esaminare le etiche regionali e le forme di giudizio che ad esse corrispondono, a cominciare dal giudizio medico. Ne Il Giusto 2, si potrà anche leggere la testimonianza pronunciata da Paul Ricoeur nel quadro del processo del sangue contaminato.
«Caminos del reconocimiento» es, a la vez, una lección de historia de la filosofía y un ensayo especulativo que intenta liberar al hombre de hoy de la influencia mercantilista y de las relaciones de dominio.
Desde la semántica, el reconocimiento aparece pleno de polisemia –presente en las definiciones lexicográficas–, pero muy lejos de la homonimia. Reconocer es, ante todo, identificar un objeto, un lugar, una persona. Descartes, Kant o Proust sirven de guías en esta aventura. Luego, en el reconocimiento de sí, Ricoeur retoma temas desarrollados en «Sí mismo como otro», como la capacidad del hombre de reconocerse responsable de sus actos. Identidad, memoria y promesa son abordados aquí desde la perspectiva del reconocimiento. Finalmente, desde las relaciones con el otro, y más allá de la mutualidad y la disimetría originarias entre «el yo y el otro», el autor nos invita a preservar la justa distancia, garante de la alteridad.
En esta su última obra, Ricoeur intenta elevar el reconocimiento al estatuto del filosofema desde una perspectiva fenomenológica. La exploración así emprendida concluye que la conciencia tiene como horizonte al otro y es necesariamente reciprocidad.