Questo volume è dedicato alla trattazione dei fenomeni religiosi che si sono sviluppati nel continente nuovissimo dell'Oceania, cioè in Australia e nelle numerosissime isole che punteggiano l'Oceano Pacifico. Si tratta di un territorio che per la sua storia culturale ha fornito un contributo particolarmente ricco alla ricerca etnologica e antropologica (sia sul piano della documentazione sia su quello della teorizzazione) e che ancora oggi propone, nelle sue più remote propaggini, alcune sorprendenti scoperte. Il volume, dunque, tratta soprattutto di fenomeni religiosi di popolazioni aborigene che fino ad alcuni decenni fa vivevano ancora «a livello etnologico». Ma di queste popolazioni opportunamente analizza anche il faticoso e spesso tormentato ingresso nella modernità, che si sta ancora realizzando fra tragiche perdite di identità e orgogliose rivendicazioni delle radici culturali. Complessa e significativa è infine la storia della diffusione in Oceania del Cristianesimo (cattolico e protestante), dai primi tentativi missionari fino all'attuale organizzazione delle Chiese e allo sviluppo di nuove esperienze religiose. Nel volume si alternano ampie voci generali dedicate alle tradizioni religiose indigene, raggruppate in base alle consuete partizioni geografiche, e voci più specifiche dedicate alle credenze e alle pratiche religiose di singole popolazioni o gruppi di popolazioni, oppure di particolari isole o arcipelaghi. Alcuni lemmi prendono in esame le principali figure divine e mitologiche dell'Oceania o particolari concezioni e comportamenti religiosi tipici o esclusivi, o ancora alcuni tra i principali etnologi che queste religioni hanno studiato. Le bibliografie di ciascuna voce sono state riviste e aggiornate dai curatori, che hanno dedicato particolare attenzione alle indicazioni accurate delle edizioni originali e delle eventuali traduzioni italiane. Traduzioni di: Sara Andreis, Stefania Arcara, Erica Baffelli, Maria Teresa Bianchi, Sara Bianchi, Maria Gabriella Bianco, Alessandra Borgia, Sergio Botta, Emanuela Braida, Arianna Campiani, Letizia Sonia Cantarella, Guendalina Carbonelli, Antonella Comba, Alessandra Consolaro, Giacomo Deambrogio, Simona Destefanis, Simonetta Focardi, Maurizio Giannattasio, Giuliana Iacopino, Mariella Lorusso, Marco Manino, Ruth Lenneberg Picotti, Alberto Pelissero, Marzia Pierluigi, Marta Porta Leva, Tiziana Ripepi, Luigi Saibene, Anna Maria Sberveglieri, Maria Giulia Telaro, Antonio Tombolini.
Non è forse un caso che tempi inquieti, tempi di cambiamento come il nostro, possano trovare conforto nelle pagine di Nicola Cusano, un pensatore di «passaggio» tra Medioevo e Modernità, enigmatico e affascinante, che sembra sfidare i secoli, le interpretazioni e le ideologie. Questo libro dimostra l'attualità del suo pensiero, evidenziandone la ricchezza e l'originalità rispetto alle sfide teoriche di oggi. Dal confronto con Hegel a quello con la recente svolta «speculativa» e «realista» della filosofia contemporanea, i capitoli di questo libro cercano di mostrare all'opera il pensiero di Cusano, lasciando emergere la sua capacità di spiazzare costantemente il lettore e metterne in questione i presupposti impliciti ma anche di valorizzarne la prospettiva singolarissima, perfino la stessa deriva nella ricerca di senso che tutti ci coinvolge. La tesi che guida questa lettura è che, come insegna Cusano, se la verità non ci appartiene, noi le apparteniamo senz'altro. Nessuno, neanche chi la nega, può sottrarsi a questa appartenenza. Nessuno, neanche chi la afferma, può eccederla e farla propria. Cusano sembra suggerire che è nel sottile spazio tra questi due eccessi che si collocano tanto il rigore, quanto la responsabilità del pensiero e, con essi, il compito, il destino e il futuro, se ve n'è uno, della filosofia.
La prima storia globale dell'arte dell'icona che ripercorre la sua diffusione geografica, gli stili che l'hanno caratterizzata e le tecniche utilizzate nel corso dei secoli. L'icona nasce nel Vicino Oriente ellenistico, nell'ultimo periodo dell'Impero romano e la sua diffusione interessa paesi quali Egitto, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Anatolia, ma dal IX secolo sarà Costantinopoli, centro del nuovo Impero bizantino, a divenirne il massimo centro propulsore. Da qui le icone raggiungeranno anche Etiopia, Georgia, Armenia, la Grecia e tutte le isole dell'Egeo, per poi proseguire il loro viaggio nei Balcani e nel mondo slavo. Nel XII secolo raggiungeranno Kiev, il cuore della prima Russia, poi Novgorod e Mosca, la terza Roma, come sarà chiamata anche dopo la caduta di Costantinopoli. La varietà di stili e tecniche, che caratterizza le icone, rispecchia le specifiche tradizioni culturali ed estetiche dei paesi nei quali si sono sviluppate, anche se sono sempre riconoscibili quali immagini dotate di forza simbolica, liturgica, religiosa e, talvolta, anche politica. I maggiori studiosi si sono confrontati sul tema, per realizzarne la prima storia artistica globale: significati, evoluzione, soggetti cui l'icona si ispira e, infine, la comprensione di come un'immagine possa trascendere il reale pur rappresentandolo.
Lo sviluppo della ricerca storiografica e dell'archeologia hanno permesso di smontare il pregiudizio accademico che vedeva nell'arte romana il prolungamento decadente di quella greca. La cultura romana delle origini viene analizzata come koinè, comunità in gran parte omogenea che ha il suo fulcro nell'italia tirrenica Con un metodo originale Filippo Coarelli ha saputo realizzare una storia dell'arte romana che raccoglie in una visione complessiva la ricerca archeologica e storica svolta da studiosi di diversi Paesi, basando la propria indagine sul dialogo continuo tra i dati archeologici e la tradizione classica sulle origini di Roma. Nei secoli più antichi, quelli della Roma dei re, la città si trovava all'incontro di due mondi artistici ricchi e vivaci - quello etrusco a nord e quello greco-italico a sud - e costituiva una periferia artistica dove influenze e modalità espressive variegate si intrecciavano e interagivano con la sensibilità locale. Nell'età dei re, Roma apparteneva a un territorio relativamente omogeneo, quello dell'Italia tirrenica, i cui segni si colgono nell'urbanesimo, nella celebrazione del sovrano, nei templi e nell'introduzione della scrittura. Nella prima parte dell'età repubblicana - il volume giunge fino al III secolo a.C. - iniziano a prender forma componenti proprie, in un continuo scambio di somiglianza e differenza rispetto ai mondi circostanti. Il quadro politico è cambiato, con l'espansione nel Lazio e la creazione di colonie, ed è così che gradualmente inizia a delinearsi una cultura artistica riconoscibile come «romana».
La storia è quella di un prete francese, Gaston, fra prima e seconda guerra mondiale. Ne seguiamo i passi gentili in un carosello attorno alla piazza della sua chiesa, nel quale si vedono cambiare cardinali e canonici, politici e burocrati, così come la moda nell'atelier di fronte. Attraverso la sua storia il libro fotografa il nostro mondo con la sensibilità di chi ha saputo toccare le corde più profonde di un'epoca. È un romanzo sull'amore, la gente, la politica e il trascorrere del tempo. Ma soprattutto è un libro su Dio e su quanto possa essere bello servirlo. Gaston sa che nostro Signore non ha camminato in un mondo asettico e che lui, seguendolo, è chiamato a cercare di entrare in quella misteriosa economia per cui il buon ladrone viene perdonato sulla croce all'ultimo momento e ad ogni uomo verrà dato il soldo della sua fatica di vivere in un modo che a noi non è possibile calcolare.
Non è semplice mantenere la lucidità nei passaggi caotici della storia, compreso quello della pandemia. Paolo Bartolini (analista filosofo) e Lelio Demichelis (sociologo della tecnica e del capitalismo) prendono le mosse dal fenomeno del coronavirus per riconnettere le numerose istanze filosofiche, sociologiche e psicologiche oscurate da un'ipermodernità tragicamente unidimensionale. Il confronto tra gli autori - il libro è infatti un dialogo - vuole portare il lettore a identificare le coordinate principali degli odierni dispositivi di potere: da un lato l'estensione planetaria di una razionalità strumentale/calcolante e industriale che dis-anima il vivente, dall'altro una passione inconscia per la dismisura e per il godimento dissipativo. Osservando il proprio tempo con la lente di un nuovo pensiero critico, gli autori analizzano il nucleo del potere: quello che opera, al di là della violenza esplicita e della costrizione (il dominio), conquistando l'immaginario delle persone, plasmandolo (ingegnerizzandolo) e mettendolo al servizio dell'interesse di pochi (l'egemonia). La postfazione del libro è affidata a Miguel Bensayag.
Le icone russe sono una scoperta del Ventesimo secolo. È infatti soltanto dopo un'importante stagione di restauri che queste opere, ripulite dagli scuri strati di vernice e dalle successive mani di pittura, hanno svelato a studiosi e appassionati d'arte il loro intrinseco valore. Ed è stato proprio grazie a questo periodo di straordinario impulso nello studio della tradizione artistica delle icone russe che il pubblico ha progressivamente imparato a conoscerne la bellezza, le armoniche composizioni e le figure eccezionalmente eloquenti. Uno dei primi artisti che apprezzarono adeguatamente la bellezza delle icone russe fu Matisse, che, capitato a Mosca nel 1911, ebbe modo di visitare diverse collezioni di icone e divenne subito un appassionato ammiratore di questa arte. In seguito, soprattutto dopo le mostre del 1913, 1927 e 1967, l'icona russa incominciò a destare un'attenzione sempre più viva. Non essendo in grado di trasformarsi in pittura realistica, come accadde invece in Europa occidentale, l'icona sopravvisse a sé stessa, trasformandosi in un fenomeno di genere eclettico. L'opera di Viktor Lazarev è un classico, impreziosito in questa riedizione italiana da una ampia sezione di tavole a colori. La trattazione è dedicata alla storia delle icone russe dalle origini sino agli inizi del Sedicesimo secolo con deliberata scelta di concentrarsi sull'«età d'oro» di quest'arte. Scritto con stile chiaro ed eloquente, il lavoro di Lazarev descrive la nascita della pittura su tavola in Russia, la tecnica, l'estetica e le principali scuole di produzione delle icone, oltre a introdurre il lettore agli artisti più importanti di questa tradizione e alle loro opere.
Il viaggio di Dante Alighieri viene presentato ai ragazzi con grande chiarezza e semplicità. L'idea di fondo è quella di restituire in poche pagine, ma senza tralasciare i dettagli importanti, la grandezza di un'opera con cui i giovani lettori certamente si confronteranno durante il loro percorso scolastico. E non solo. Dalla terribile discesa agli Inferi, alla faticosa risalita al Purgatorio fino alla bellezza del Paradiso. Un lungo percorso segnato da incontri memorabili. Caronte, traghettatore demoniaco che trasporta le anime dei dannati; Ulisse circondato dalle fiamme che racconta la sua storia con un filo di voce; il poeta Guido Cavalcanti che arde e si consuma per la donna che ama. E infine Beatrice, avvolta dalla luce immensa del Paradiso, la donna che Dante ha fortemente amato, morta giovanissima. Sullo sfondo una Firenze cupa, dove si susseguono scontri e tumulti, città da cui Dante è stato allontanato per la sua attività politica. «Nel mezzo della mia vita mi persi in una selva oscura. Non trovavo più la retta via. Buia e terribile, mi vennero incontro una pantera, un leone e per ultima una lupa...». Il viaggio di Dante è appena iniziato! Età di lettura: da 7 anni.
È sostanzialmente inedita un'approfondita riflessione filosofica sull'Ornamento. Sotto questo punto di vista, lo sterminato, multiforme continente della decorazione si rivela una sonda che rimette in questione alcune delle nostre convinzioni sulle forme dell'arte e sul pensiero che vi presiede. In questo libro ? che torna in una nuova edizione ampliato nel testo e in veste illustrata ? l'autore segue una duplice pista interpretativa: il rilievo teorico-filosofico, infatti, si incrocia e dialoga con il piano storico-critico. La prospettiva che da Kant porta fino a Husserl e poi al dibattito sul concetto di Kunstwollen ('volontà artistica') che vede protagonisti Riegl, Panofsky e Sedlmayr, incontra sul suo cammino la prospettiva che elegge tra i suoi momenti esemplificativi l'arte islamica, Matisse, la Vienna di Klimt e di Loos. Durante questo tragitto, si incontrano altri grandi autori della cultura europea del Novecento, da Simmel a Valéry, da Bloch a Lévi-Strauss, da Hartmann a Focillon, solo per citarne alcuni. La pervicace convinzione secondo cui l'Ornamento è qualcosa di supplementare, di opzionale, non celerà forse l'assunto opposto? Proprio la sua pretesa marginalità non ne rivelerà una paradossale centralità?
Questo libro è l'esito di un cammino di ricerca che ha preso l'avvio nel lontano 1966, con due saggi apparsi sulla rivista Paragone, nei quali l'autrice scorgeva l'esistenza di una trama continua di rapporti tra pittura fiamminga e pittura italiana nel corso del Quattrocento e tentava di tracciarne i primi lineamenti. Il caso dei rapporti tra Italia e Fiandra si presenta, in realtà, come assai peculiare rispetto a quelli che si stabilirono tra pittura fiamminga e altre aree artistiche in Europa, dove l'impatto fiammingo fu assimilato in modo più netto. In Italia, infatti, la pittura fiamminga non giunse mai ad alterare il corso storico o a determinarne la fisionomia, proprio perché la Penisola nel '400 fu a sua volta teatro di fatti pittorici di altissimo livello. Ancor più singolare, quindi, il fatto che l'Italia rappresentò, la prima e più ricca area di committenza della pittura fiamminga, sia mercantile sia aristocratica, fenomeno che assunse talora le proporzioni di una vera e propria moda. Soprattutto la conoscenza diretta di esemplari fiamminghi esercitò su molti dei nostri pittori un fascino tale da tradursi in un nuovo arricchimento nella resa pittorica della realtà. È questa ricerca del reale, si sa, che accomuna entrambe le civiltà pittoriche e nel '400 venne gettato un ponte tra questi due universi pittorici, a nord e a sud delle Alpi. L'esempio più eclatante è quello di Antonello da Messina, pittore quasi bilingue, italo-fiammingo, che arrivò a raggiungere la suprema sottigliezza fiamminga e a calarla in altrettanto suprema lucidezza di spazio e di forma italiani.
"Dante e la Divina Commedia" fa parte del lavoro di Balthasar sugli «Stili laicali», figure essenziali della sua Estetica Teologica. Per l'autore ci sono opere letterarie che ci prendono per mano, come Beatrice fa con Dante, per condurci verso la Rivelazione. La chiave di lettura di Balthasar punta a individuare l'orizzonte e il culmine della visione dantesca, che è costituito da Maria, con l'inno alla Vergine, che Dante affida a san Bonaventura. Maria tra gli angeli è la Signora del Paradiso, quel lato del Paradiso che Dante si sente di descrivere preparato e accompagnato da Beatrice, che ha sostituito Virgilio nella peregrinazione. Dante non si addentra oltre nel mistero cristologico e trinitario, la sua filosofia e la sua poesia si compiono nella contemplazione di Maria. Nell'Inferno Dante era stato un fine lettore della Storia e Balthasar non può non notare che l'Inferno di Dante non è ancora stato visitato dal Cristo risorto. Il Cristo risorto dell'arte bizantina, che prende e porta con sé Adamo ed Eva e l'umanità tutta.
C'è un luogo comune e universale che ha dato vita all'umanità e in cui ogni essere umano continua a nascere. Questo luogo è il discorso, il sermo, direbbe Orazio: liquido amniotico dello spirito che ci traghetta dalla natura alla cultura, dalla vita istintiva alla vita sociale. Questa semplice evidenza reca però con sé tutti i problemi e i paradossi delle nostre credenze e dei nostri saperi, quindi i limiti delle nostre pretese verità e l'ambiguità di una presunta idea di realtà che da molto tempo ci accompagna. Il libro ne attraversa esemplarmente numerose figure emblematiche: dall'idioma dell'antico mondo della poesia cinese alla riflessione greca sui nomi, ai dialetti e alle lingue del medio evo e del mondo romanzo, alla formazione della nostra lingua volgare, sino ai lessici paradossali delle moderne scienze della natura e alla evoluzione darwiniana delle forme di vita. Da questi e da ancora altri percorsi emerge la proposta di una nuova etica del discorso, che ne curi le cecità e le superstizioni: estremo dono della filosofia al senso dell'uomo planetario in cammino.