Il cambiamento tecnologico crea non «un uomo nuovo», come prospettavano i manifesti cyborg, ma «del nuovo nell'uomo», poiché non esiste innovazione tecnica a cui non corrisponda una mutazione antropologica. Le tecnologie sono infatti oggetti sociali rivestiti di simbolico, ma soprattutto proiezioni della coscienza dell'uomo, delle sue virtù e dei suoi vizi. I mezzi messi a disposizione dalle biotecnologie - trasferimento di geni, trapianti di tessuti e organi, interventi di ingegneria molecolare - rischiano tuttavia di oscurare le molteplici risorse animali già presenti in ognuno di noi, eredità dei nostri predecessori non umani e quasi sempre represse perché difficili da inquadrare in una visione intelligente della vita e del mondo. Codificare le istanze che caratterizzano il postumano, che ha un largo impatto nel panorama scientifico e culturale contemporaneo anche se non ancora una definizione univoca, interpella la vita pastorale e consente di riflettere sui tentativi di relegare l'uomo nel sogno - o nell'illusione - di un'immortalità realizzata tecnologicamente. Prefazione di Giuseppe Lorizio.
La dimensione relazionale costituisce una componente fondamentale dell'identità di ogni persona e della sua interiorità, temi sui quali convergono gli studi dell'antropologia, della psicologia a orientamento dinamico, della filosofia e della spiritualità cristiana. A partire dalla riflessione del teologo Edward Schillebeeckx e dello psicologo Alessandro Manenti, questo volume evidenzia come il pensiero moderno sia caduto nell'illusione di considerare la coscienza individuale come qualcosa di assoluto e di slegato dall'ambiente sociale, economico e culturale. Ciò asseconda un'etica «del giocoliere» che orienta la vita su piccole scelte, il più possibile reversibili, per evitare il rischio di sbagliare, ma soprattutto per il timore di legarsi a qualcosa o qualcuno e perdere così la propria libertà. Abbracciare una visione relazionale della persona umana significa considerare il dialogo con l'altro e l'impegno politico per il bene comune come vitale e necessario. In questa prospettiva, diventare adulti non si riduce al cammino di emancipazione, ma implica la capacità di entrare in un dialogo costruttivo con l'altro, al fine di promuovere una ricerca comune sia di soluzioni tecniche ai problemi contingenti sia di significati esistenziali, etici e religiosi condivisibili.
«Dunque ora non tenderà forse la mano per cogliere anche il frutto dell'albero della vita e mangiarne e vivere in eterno?», domanda il Maestro, citando il terzo capitolo della Genesi, in apertura del libro V del Periphyseon. La questione è centrale nella filosofia, nella teologia e nell'immaginario stesso di Giovanni Scoto, questo straordinario pensatore irlandese che, in pieno Medioevo, è capace di sovvertire la tradizione. Perché si tratta di vedere come con quelle parole la Genesi non predichi condanna e morte, ma invece prometta «il ritorno della natura umana a quella stessa felicità che aveva perduto peccando». Giovanni Scoto, allora, riorganizza la sequenza biblica e unifica le quattro immagini, «quella del tendere la mano, del cherubino, della spada di fiamme e della via che conduce all'albero della vita, come quattro inseparabili simboli di speranza per l'umanità». E un tratto di quella originalità della quale è cosciente l'autore stesso. Il quale si serve della sua conoscenza dei Padri greci per moltiplicare le immagini come in una girandola. Ecco la lievitazione, ecco l'aria «totalmente trasformata nello splendore del sole, a tal punto che niente appare in essa se non la luce: per quanto la luce sia una cosa e l'aria un'altra, pure la luce predomina nell'aria sicché sembra esservi soltanto luce». Ecco il «ferro liquefatto», che pare trasformarsi in fuoco. Proprio con l'aria e con il fuoco Giovanni Scoto sembra ritornare, come in un grande cerchio, all'inizio di Sulle nature dell'universo. Ma passando alla «celebrazione dell'unione finale della natura umana tutta con Dio», l'ultimo libro del trattato costituisce una nuova, eclatante interpretazione dei testi fondanti della cristianità. «L'interpretazione», scrive Peter Dronke, «che tiene insieme la mano tesa dell'uomo con il cherubino e la spada di fiamme, la via e l'albero della vita e l'accensione del fuoco, è tale da confutare ogni suggestione di barriera o di minaccia. Trasforma ciascun dettaglio in un auspicio del ritorno. Nella sua tecnica di trasformazione, mostra quello che Coleridge chiamò il "potere esemplastico" dell'immaginazione. È l'opposto del distinguere significati allegorici separati; è una capacità di unificare le immagini, fondendole invece di lasciarle come fili separati. Nei rari momenti alti come questo, l'immaginazione fa di più che radunare: dà a più significati un'unica forma.»
Il legame tra matematica e misticismo è alle origini della matematica stessa. L'autore ripercorre in questo libro il lato mistico e metafisico del pensiero dei più grandi matematici da Pitagora ai giorni nostri dimostrando come il luogo comune, che considera inconciliabili la fede e la ragione, sia una costruzione artificiosa e inconsistente.
Le neuroscienze, studiando il cervello e il suo funzionamento, finiscono per invadere ambiti di pertinenza di altri saperi. Attraverso scoperte straordinarie, applicazioni tecniche innovative e proposte teoriche talvolta ardite, è fatale che turbino vecchi equilibri, mentre al contempo agevolano nuovi paradigmi di comprensione. Le neuroscienze pongono una sfida anche alla teologia. La invitano a guardare in modo audacemente nuovo l'essere umano: la sua mente, la sua coscienza e la sua libertà, la sua anima, la sua relazione con il divino. La teologia non può ignorare tale sfida: deve mettersi in gioco e affrontarla. Si tratterà di dimostrarsi teoreticamente all'altezza (provando, magari, a rilanciare). Si tratterà di valutare bene che cosa, nella proposta delle neuroscienze, offra un'affascinante possibilità di pensare più a fondo alcuni nodi centrali della proposta cristiana, e che cosa invece sia da rigettare. Se il Cristo e la Trinità rivelano il mistero del mondo, le scoperte scientifiche sul cervello non potranno che spingere ad approfondire il senso intimo e quotidiano di questo stesso mistero.
La storia della Salvezza è caratterizzata da eventi dovuti all'intervento diretto di Dio, talora con modalità particolarmente capaci di manifestare la sua bontà ed onnipotenza. Tra queste vi sono senza dubbio i miracoli ed, eminenti per importanza, i miracoli di guarigione e risurrezione. Se lo scopo di questi fatti mirabili è quello di suscitare la fede, ognuno deve esser in grado di riconoscerli. Il saggio di Luca Lazzarini, che assomma alle competenze di medico la cultura teologica, ci aiuta a percorrere la storia della teologia del miracolo e la metodologia del riconoscimento dei miracoli di guarigione nella sua attualità e nelle sue prospettive future. Corroborato da una personale esperienza di accompagnatore di pellegrinaggi mariani e di perito per le cause di beatificazione, l'Autore ci guida alla conoscenza del lavoro nascosto delle commissioni mediche e teologiche.
Il volume è il risultato di un percorso pratico coraggioso accolto con entusiasmo da alcuni docenti universitari col quale si desidera superare l'annosa questione teorica del rapporto tra scienza e fede, adottando la stessa strategia che usano i bambini provenienti da contesti e culture diverse. Gli autori hanno messo a disposizione la loro competenza scientifica con la luce prodotta dalla virtù teologale della carità dimostrando che questa collaborazione è possibile senza pregiudizio né per le ragioni della scienza né per quelle della carità.
Questo piccolo libro contiene la Lectio Magistralis tenuta dal prof. Antonino Zichichi nell'ambito della X Edizione Culturale "La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone: Ascoltare, Leggere, Crescere". Vengono messi in evidenza i valori della Scienza per ricordare come questi siano in comunione e in perfetta sintonia con i valori della Fede; quanto sia distante dalla Scienza la Cultura dei nostri giorni. Pone in un confronto logico l'Ateismo, la Scienza e la Fede ed affronta la differenza fondamentale che esiste tra la Scienza e la Tecnica.
Teilhard de Chardin ripercorre con questi scritti il dibattito sull'evoluzionismo che ha attraversato la prima metà del xx secolo. Sostenendolo con argomentazioni scientifiche estremamente competenti. Fin dal 1926 scrive: "l'evoluzionismo scientifico non è semplicemente un'ipotesi a uso degli zoologi, ma una chiave di cui ciascuno si serve per penetrare, in qualsivoglia compartimento del Passato, la chiave del Reale universale". Ogni essere è frutto di una gestazione che l'ha preceduto: "Parzialmente, in modo infinitesimale, senza nulla perdere del valore individuale, ogni elemento è coestensivo alla storia, alla realtà del Tutto". Tuttavia "l'Evoluzione non è 'creatrice'... ma è, per la nostra esperienza nel Tempo e nello Spazio, l'espressione della Creazione". Di una creazione definita da Teilhard un "lungo gesto" che anima e regge il Divenire. Un Divenire che attuandosi attraverso la legge di complessità-coscienza sospinge la Materia, attraverso stadi successivi, a caricarsi di libertà e di Spirito. E sarà infine sorprendente intuire con Teilhard come la visione evoluzionistica del mondo, lungi dall'orientare al materialismo, sia una possibile "scuola di una migliore spiritualità e di alta moralità".
Allers è considerato uno dei più lucidi ed efficaci critici del sistema psicoanalitico freudiano - Louis Jugnet l'ha definito "l'anti-Freud". All'idea di uomo scisso sia al suo interno che dal mondo, Allers contrappone quella di uomo come un "intero", ossia una interrelazione di parti non separabili l'una dalle altre e strettamente interconnesse tra loro. Inoltre, l'uomo è intimamente legato al mondo che lo circonda. La presente opera, edita a Londra nel 1932, costituisce - insieme a "The Successful Error del 1940" - la "pars destruens" del lavoro di Allers. In questo lavoro l'intellettuale cattolico prende in esame le basi teoriche di quelle che all'inizio del secolo scorso venivano chiamate le "nuove psicologie" - la psicoanalisi freudiana e la psicologia individuale di Adler - in contrapposizione alla psicologia sperimentale della fine del diciannovesimo secolo.
Antonio Stoppani (1824-1891), geologo, sacerdote e apologeta, è forse poco noto al grande pubblico, benché durante la seconda metà dell’Ottocento abbia svolto un ruolo importante sia nella Chiesa italiana che a favore del neonato Regno d’Italia.
Geologo di fama nazionale, impegnato anche nello studio delle possibilità di sviluppo energetico e industriale del paese, negli ultimi venti anni della sua vita si dedicò anche a studi di tipo apologetico ed esegetico, che confluirono nell’Exemeron, la sua opera principale di commento al testo di Genesi 1. Dall’opera emerge la sua preoccupazione per la scelta di un atteggiamento concordista da parte della maggioranza degli apologeti, scelta che egli reputa errata e pericolosa. A ciò si aggiunge la sua attenzione a promuovere la cultura scientifica del clero, e in generale dei credenti.
Nel presente testo vogliamo presentare, prendendo le mosse dallo studio delle opere di carattere apologetico e da una breve biografia di Stoppani, le sue riflessioni e le sue proposte sul tema dei rapporti fra scienza e fede, ovvero fra la teologia e la cultura scientifica, tema al giorno d’oggi di grande attualità.
In appendice il lettore trova un’antologia di testi di Stoppani, tratti dalle sue tre opere principali di carattere apologetico, di più difficile reperimento rispetto a quelle di carattere divulgativo come Il bel Paese.
Lucia Alessandrini (Merano, 1957) è professore ordinario di Geometria all’Università degli Studi di Parma, dove si occupa di varie tematiche nell’ambito della Geometria differenziale complessa. Ha conseguito la Laurea e poi la Licenza in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare (Pontificia Università della Santa Croce). Collabora con la sua diocesi, Bolzano-Bressanone, in qualità di membro del Consiglio Pastorale diocesano, e con il Progetto Culturale della CEI in qualità di esperto. Dal 1976 fa parte del Rinnovamento nello Spirito Santo, dove ha ricoperto vari incarichi, a livello nazionale e locale.
Esiste la possibilità di dialogo tra scienza e religione? Oppure non c'è alcuna vicinanza tra il "ragionar di Dio" e "il ragionar sulla natura"? Il dibattito culturale attuale è spesso polarizzato tra chi considera completamente antitetici l'approccio scientifico alla realtà e quello religioso (in particolare quello delle religioni storiche come il cristianesimo), e chi tenta di strumentalmente di piegare risultati scientifici a tesi teologiche. Il presente volume vorrebbe invece fondare il dialogo tra sapere scientifico e discorso teologico a partire da una comune eredità. All'interno delle idee della scienza (in particolare nella più fondamentale delle scienze, cioè la fisica) e di quelle con cui l'uomo dice e pensa Dio (in particolare il Dio cristiano) esistono strutture di pensiero che sono comuni ad entrambe le esperienze. Esse sono talmente radicate in profondità che suggeriscono un'ipotesi a prima vista sorprendente: la scienza è un'eresia cristiana, l'ultima grande eresia cristiana. Il testo prende in esame alcune categorie di pensiero comuni allo sviluppo della scienza e della teologia cristiana e propone delle nuove sfide per la teologia attuale a partire dagli ultimi paradigmi della scienza moderna, che potrebbero trovare spazio all'interno di una teologia che voglia confrontarsi fino in fondo con i risultati della scienza contemporanea.