Dal 1995 a oggi il ciellino Roberto Formigoni prima e i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana poi hanno governato in Lombardia attuando misure scellerate in tema di sanità, mobilità e cura del territorio. Scelte inadeguate di fronte all'impatto delle crisi globali, delle sfide del cambiamento ambientale e - soprattutto - della pandemia da Covid-19, in seguito a cui il velo è stato sollevato. A fronte della retorica dell'eccellenza sanitaria, i cittadini hanno toccato con mano l'impoverimento del servizio pubblico. La privatizzazione della sanità è il simbolo di una vita pubblica devastata dalle logiche del puro profitto e interamente subordinata agli affari di pochi. Il modello di Lega, Forza Italia e, in misura minore, Fratelli d'Italia ha costruito un potere impenetrabile, sancito dai voti plebiscitari delle elezioni. La vita quotidiana in terra lombarda è un incubo per chi deve prendere i treni dei pendolari ma il Pirellone finanzia senza battere ciglio autostrade private e sballati comprensori sciistici senza neve. Nella regione più inquinata d'Europa per le emissioni di gas si strappano deroghe per i veicoli più vecchi e si preferisce fare la guerra al Comune di Milano. Insomma, un quadro desolante di fronte a cui sembra non emergere mai una possibile alternativa.
Il Green Deal, la transizione digitale, un'Europa più forte e democratica, una maggiore giustizia sociale sono progetti indispensabili e di grande portata che l'Europa sta portando avanti, e dobbiamo riuscirci per lealtà verso i nostri concittadini. Ma l'Europa ha anche e soprattutto bisogno di un nuovo progetto di speranza, un progetto che ci accomuni, un progetto che possa incarnare la nostra Unione, i nostri valori e la nostra civiltà, un progetto che sia ovvio per tutti gli europei e che ci permetta di unirci. Penso che questo progetto possa essere costruito intorno a tre assi forti, a un triplice desiderio di Europa che sia unanimemente condiviso da tutti gli europei: quello di un'Europa che innova, di un'Europa che protegge e di un'Europa che sia faro." Esistono diverse idee di Europa. La raccolta dei discorsi di David Sassoli nella stagione della sua presidenza del Parlamento europeo ci indica una strada: abbiamo bisogno di innovazione, non solo nella tecnologia, ma nelle istituzioni, nelle politiche, negli stili di vita, nel nostro essere comunità. La transizione ecologica, di cui l'Europa può farsi motore nel mondo, sarà possibile solo se verrà assicurata una vera equità sociale. Per far questo è necessario riaffermare la centralità della persona, la tutela dei diritti, il rispetto delle differenze e della pluralità. E, insieme, l'orgoglio del modello democratico europeo. È questo il senso dell'eredità di Sassoli: la svolta nelle politiche economiche e sociali di cui l'Europa è stata capace per affrontare la terribile pandemia può diventare un esempio per il tempo a venire. Pur fra contrasti e difficoltà, i principi di solidarietà e la ricerca di uno sviluppo sostenibile hanno prevalso sulle linee rigoriste che avevano prodotto politiche regressive. Ma ora nuove crisi e nuovi squilibri sono davanti a noi: per fronteggiarli l'Europa deve scongiurare passi indietro. I cittadini europei sentiranno di appartenere all'Europa se il suo modello di democrazia, di libertà e di prosperità si rafforzerà e sarà in grado di diffondersi, anche al di là delle nostre frontiere. Prefazione di Sergio Mattarella.
La pubblica amministrazione è il più grande erogatore di servizi e il maggiore datore di lavoro italiano: da essa dipendono circa tre milioni e trecentomila addetti. È un organismo che si è andato costruendo lentamente, essendo il frutto della storia e dei principi che lo hanno plasmato. Per dimensioni e poteri svolge inoltre un ruolo fondamentale nel sistema politico, condizionando la democrazia. Si comprende, quindi, come dalla sua buona organizzazione e dal suo funzionamento dipendano il benessere dei cittadini e il successo dello Stato. L'amministrazione è al centro di una duplice tensione. È indispensabile, perché non c'è politica pubblica che non faccia capo a essa, e tuttavia viene ritenuta il regno del bizantinismo, delle complicazioni, della corruzione, e criticata perché non funzionale al processo economico. Alle sue difficoltà strutturali si aggiungono l'«esondazione» del Parlamento, diventato co-amministratore, e la debolezza dei governi (il suo organo di guida), per la loro breve durata. I governi tuttavia non sono gli unici responsabili della sua gestione, poiché interi campi dell'azione pubblica sono ora nel dominio di forze politiche multinazionali, come organismi sovranazionali e Big Tech, di cui è importante tenere conto. Alla luce di questi presupposti, l'autore analizza i fattori di crisi dell'amministrazione pubblica e ne indica i possibili rimedi. Propone di iniziare dai prodotti, per poi passare ai processi produttivi, ai modelli organizzativi e procedurali, al personale e alle sue motivazioni, al contesto, ai saperi e alla cultura amministrativa. Perché la pubblica amministrazione sia in grado di gestire i grandi interessi collettivi, è bene partire dall'aspetto più importante: ciò di cui ha bisogno il Paese.
"Il Nagorno Karabakh è ancora una volta un paese dell'Islam e riacquista il suo posto all'ombra della Mezzaluna" annunciava trionfante Recep Tayip Erdogan, mentre nella piccola enclave che è stata la culla della cultura armena, il popolo che per primo abbracciò il cristianesimo nel 301 e che fu sterminato nel 1915 dai turchi, si avviava a un nuovo esodo. Tre mesi prima, il presidente turco aveva riconvertito a moschea la Basilica di Santa Sofia a Istanbul in una riedizione della conquista di Costantinopoli del 1453. Intanto, la Turchia pianificava la costruzione di moschee in Europa più alte delle nostre chiese, a Strasburgo, a Colonia, ad Amsterdam. Perché "l'Europa sarà musulmana, se Allah vuole", come dichiarano i dirigenti del Partito per la giustizia e lo sviluppo di Erdogan, impegnato anche in una reislamizzazione della Turchia che fu laica tramite le scuole religiose, la censura intellettuale e la scristianizzazione di decine di luoghi di culto che risalgono ai tempi degli Apostoli.
Il numero indaga la crisi d'identità interna agli Stati Uniti. I litigi su armi e aborto, l'aumento della violenza, la crescente intolleranza che blocca la politica sono sintomi superficiali di un malessere più profondo. Negli ultimi decenni, la società si è frammentata al punto che gli americani sentono minacciato il proprio stile di vita non dagli sconvolgimenti internazionali, non da potenze straniere, bensì da altri connazionali. L'America non è più sicura di essere America. Questione semplicemente cruciale per il resto del mondo, in particolare per i paesi europei che partecipano del sistema guidato da Washington. E già foriera di conseguenze, come dimostra l'aggressione russa all'Ucraina, impossibile se la prima potenza del globo non fosse stata percepita debole. La prima parte, «Nell'occhio del ciclone», descrive le forme e risale le cause della crisi d'identità. La tempesta viene esaminata da vicino in molti degli Stati chiave, dal Texas alla California, dalla Georgia alla Pennsylvania. Con un occhio ai separatismi interni, come segnala il progetto Greater Idaho. Pur non parlando di necessario declino, viene inoltre affrontato l'inevitabile impatto della discordia sull'impero esterno degli Stati Uniti. La seconda parte, «Duelli per l'anima dell'America», illustra le battaglie sulle questioni identitarie. La storia, sempre più campo di battaglia per imporre idee opposte dell'America. La crisi delle università, descritta come una minaccia per la sicurezza nazionale. La decisiva sfida per l'integrazione degli ispanici. La proliferazione di versioni alternative e inconciliabili della verità («complotti»). La persistenza dell'eccezionalismo nella politica estera di un'élite sempre più inaccessibile al resto della popolazione. Con i possibili scenari della violenza politica e di una nuova secessione. La terza parte, «Sguardi eurasiatici», offre un aggiornamento sulla guerra d'Ucraina dalla prospettiva della Russia, un punto di vista dalla Germania sull'Europa nel caos e una proposta per aggiornare i rapporti Italia-Stati Uniti alle crisi attuali.
In un mondo segnato da eventi di portata globale che indirizzano l'umanità verso nuovi e sempre più complessi percorsi, l'Atlante Geopolitico Treccani 2022 continua a rappresentare uno strumento indispensabile per orientarsi in una realtà in continuo mutamento. Frutto della rinnovata collaborazione tra l'Istituto della Enciclopedia Italiana e il Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI), l'opera conferma anche in questa edizione i suoi punti di forza: chiarezza espositiva, rigore dell'analisi, immediata fruibilità dei contenuti, accurata selezione dei dati, costante aggiornamento delle informazioni somministrate, ricchezza del corredo di grafici, tabelle e carte geopolitiche e tematiche. Grazie al contributo di eminenti studiosi ed esperti e alla qualità di un sapere certificato, l'edizione 2022 dell'Atlante Geopolitico Treccani accompagna il lettore nell'analisi e nella comprensione di scenari complessi, sempre più caratterizzati dall'intreccio tra tendenze che porteranno nel tempo a inevitabili trasformazioni e cambiamenti imprevisti (ma non per questo imprevedibili). Nell'indagine di tali profonde connessioni, e con un riferimento costante all'attualità, grande rilievo è dunque dato non solo all'esame delle ricadute della pandemia - con le sue conseguenze di lungo periodo in termini economici, sociali e demografici - ma anche all'analisi di come queste interagiscono con la crisi ambientale e climatica nonché con le trasformazioni degli scenari energetici. Particolare attenzione è riservata ai cambiamenti in atto nell'ordine mondiale e agli innumerevoli conflitti militari che attraversano lo scenario internazionale, il cui potenziale destabilizzante - che si è manifestato in tutta la sua drammaticità e dirompenza con l'invasione russa dell'Ucraina - influenza le prospettive di crescita e sviluppo in tante zone del mondo, spesso poco "illuminate" dai riflettori mediatici. Resta ampio lo spazio dedicato agli Stati, con dettagliate schede rinnovate nel corredo grafico e cartografico. Accanto al tradizionale esame dei più recenti fatti politici interni, del ruolo assunto dal nostro paese nello scacchiere internazionale, degli sviluppi sociali e demografici e della politica energetica e di sicurezza, particolare rilievo sarà dato all'analisi delle politiche ambientali e alla tutela dei diritti umani, temi sempre più rilevanti nel dibattito pubblico. Resta inoltre approfondita la ricognizione delle organizzazioni internazionali, mentre l'appendice dei dati permette di valutare ancor più nel dettaglio e in prospettiva comparata i cambiamenti in corso.
Negli anni Venti del XXI secolo - oggi - il mondo è all'incrocio di quattro crisi: la crisi pandemica, non ancora conclusa e che ha accelerato e fatto emergere evoluzioni già in corso; la crisi climatico-ambientale, che nell'estate ha cominciato a mordere in molte aree del pianeta; la crisi geopolitica, con una guerra che si prolunga nel cuore del «vecchio continente»; infine, la crisi economico-sociale, in parte innescata dall'innovazione tecnologica, complicata dalla crisi ambientale, dalla pandemia e dalla guerra. Queste quattro «crisi» - nel senso greco del termine, che si può rendere, nell'italiano di oggi, con «momento decisivo», quindi non necessariamente negativo - influenzano un'economia mondiale che sta perdendo i suoi caratteri di globalità e riducendo le proprie capacità di crescita. L'unica certezza è che il mondo non tornerà come prima: per affrontare le crisi, per coglierne le opportunità e non solo subirne i danni, abbiamo bisogno di pensieri nuovi, di nuove analisi, di uno sguardo lungo. Ed è quello che proviamo a fare in questo lavoro.
Giunto alla sua diciassettesima edizione, il volume raccoglie le analisi socio-statistiche delle fonti ufficiali, nazionali e internazionali, più accreditate sulla mobilità italiana. La trattazione di questi temi procede a livello statistico, di riflessione teorica e di azione empirica attraverso indagini quali-quantitative grazie a una redazione transnazionale di autori delle più diverse discipline che danno riscontro della varietà e della ricchezza del tema trattato.
Se il 24 Febbraio 2022 ha segnato l'inizio di una guerra con importanti risvolti economici per l'Europa in generale e per l'Italia in particolare, questo saggio vuole accompagnarci in un percorso per capire il ruolo del nostro Paese. Un' Italia già affaticata dal protrarsi di una situazione di crisi della quale l'Autore illustra aspetti e prospettive. Un volume quanto mai attuale in un momento in cui il "Bel Paese" sembra in cerca di una nuova definizione.
«Ogni società, qualunque sistema politico abbia, si trova eternamente in bilico tra un passato che rappresenta la sua memoria e una visione del futuro che ispira la sua evoluzione. Lungo questa strada, è indispensabile avere una leadership: occorre prendere decisioni, conquistarsi fiducia, mantenere promesse, proporre una rotta da seguire.» Tra coloro che meglio hanno incarnato quest'arte del buon governo, Henry Kissinger, diplomatico e statista leggendario, annovera sei personaggi che hanno forgiato la storia del secondo Novecento. Sei leader straordinari con i quali Kissinger ha avuto modo di interagire o collaborare e che racconta in queste pagine in sei ritratti inediti, individuando le strategie distintive di ognuno. Dopo la seconda guerra mondiale, per esempio, Konrad Adenauer riportò la Germania sconfitta e moralmente distrutta nella comunità delle nazioni con quella che Kissinger chiama «strategia dell'umiltà». Charles de Gaulle abbracciò la causa antinazista e con la «strategia della volontà» restituì alla Francia la sua storica 'grandeur'. A Richard Nixon, del quale Kissinger fu consigliere per la sicurezza nazionale, e alla sua «strategia dell'equilibrio» si dovettero gli sforzi per il disimpegno degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam e il coraggioso tentativo di costruire nuove relazioni con la Cina. Dopo venticinque anni di conflitto, Anwar Sadat portò una visione di pace in Medio Oriente attraverso una «strategia del superamento» dei contrasti. Contro ogni previsione, Lee Kuan Yew creò una potente città-Stato, Singapore, grazie alla «strategia dell'eccellenza». Salita al potere quando l'importanza internazionale della Gran Bretagna era in declino, Margaret Thatcher seppe rinnovare il proprio paese e riposizionarlo al centro della scena con la «strategia della determinazione». Leadership è un testo fondamentale e uno spunto di riflessione per il presente, in cui si avverte la necessità di statisti dotati della lungimiranza e della forza d'animo necessarie a guidare i loro popoli verso destinazioni ricche di speranza.
Dopo quasi ottant'anni la guerra è ricomparsa sul Vecchio Continente. L'aggressione scellerata che Vladimir Putin ha scatenato contro l'Ucraina il 24 febbraio 2022 ha rotto decenni di pace e ha fatto sì che l'Europa tornasse a essere ciò che per secoli era sempre stata fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale: 'il posto della guerra'. Come è potuto accadere uno scempio simile proprio nella 'civile Europa'? Nel luogo che ha rappresentato un pilastro di quell'ordine liberale che ha trasformato il sistema internazionale stringendo attorno a sé una famiglia di democrazie affratellate e tessendo una fitta trama di istituzioni e trattati garanti della cooperazione e della pace? Se la pace, dunque, è stata infranta proprio dove le condizioni per mantenerla erano le migliori possibili, che speranza resta per evitare che la forza ricominci a essere la sola 'regola del mondo'? La risposta a questa domanda passa per la consapevolezza che la possibilità di escludere la guerra come prospettiva deriva proprio dalla credibilità e dalla sopravvivenza di quell'ordine liberale che la guerra di Putin ha messo sotto attacco: l'invasione russa dell'Ucraina non è infatti solo una dichiarazione di ostilità mortale nei confronti di quel paese, ma è anche un'esplicita aggressione all'Occidente democratico e ai principi e alle regole su cui si fonda. Ripensare la guerra, e il suo posto nella cultura politica europea contemporanea, dopo l'Ucraina è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti a un disegno spezzato senza nessuna strategia per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali. Perché se c'è una cosa che la fiera resistenza del popolo ucraino ci ha insegnato è che non bisogna arrendersi mai, che la difesa della propria libertà ha un costo ma è il presupposto per perseguire ogni sogno, ogni speranza, ogni scopo, che le cose per cui vale la pena vivere sono le stesse per cui vale la pena morire.