La Chiesa è diventata una sconosciuta per l'uomo contemporaneo, una straniera, come ha scritto il poeta T. S. Eliot più di ottant'anni fa nei Cori da "La Rocca". Si parla poco di lei, o meglio, se ne parla in termini politici o scandalistici, perdendo il senso della Chiesa come corpo di Cristo, indissolubile dalla sua persona. E allora come comprendere oggi chi è la Chiesa? Come cercare e amare il suo volto nella storia? Massimo Camisasca risponde a queste domande puntando al cuore dell'esperienza cristiana: la bellezza dell'amicizia con Cristo. Lo fa ripercorrendo la nascita della comunità ecclesiale al tempo di Gesù, a partire dai primi che lo incontrarono: Maria, i discepoli, le donne, gli apostoli. «Lo scopo di questo piccolo libro è di far amare il corpo di Cristo. Non si può amare Cristo se non si ama la Chiesa».
Da un’inchiesta condotta nell’immediato postconcilio alla Pontificia Università Lateranense emerse che per i seminaristi che lì studiavano teologia il più grande teologo cattolico di tutti i tempi fosse non San Tommaso d’Aquino o Sant’Agostino, ma Karl Rahner. Oggi Rahner sembra aver vinto: pastori che seminano dubbi tra i fedeli, che permettono che altri lo facciano senza intervenire, che mal sopportano che i cattolici difendano la legge morale naturale. Ecco la rivoluzione portata da Rahner: una Chiesa democratica e aperta, dai confini indefiniti, strutturata a partire dalla base, pluralista dal punto di vista teologico, filosofico e dottrinale, che sostituisce la pastorale alla dottrina, che non evangelizza nessuno e non condanna più niente, perché ogni situazione particolare di vita può essere un buon punto di partenza. È la Chiesa che, senza una verità esclusiva da comunicare, per Rahner deve convertirsi al mondo: dietro questo cattivo assunto c’è solo una cattiva filosofia, che ha in Kant, Hegel e Heidegger i suoi riferimenti. Quanto è diffusa oggi la Chiesa di Karl Rahner? Una cosa è certa: non vincerà.
«Portiamo questo tesoro in vasi di coccio, affinché appaia che la straordinaria sua forza proviene da Dio e non da noi». Questa affermazione di san Paolo, nella seconda lettera ai Corinti, non allude solo a una condizione personale, ma parla di tutti: vaso di coccio è ogni cristiano e l'intera comunità dei credenti. Il vaso di terracotta è casalingo, umile, fragile, di utilizzo quotidiano. Non è un oggetto prezioso da esibire all'ammirazione di tutti. Fuori di metafora: Dio non si serve solo dei santi, ma anche (e soprattutto) di uomini comuni, fragili, di poca fede, com'erano i discepoli, e come siamo noi. Questa meraviglia di Dio non cessa di stupire. Se il vaso fosse prezioso, attirerebbe l'attenzione su di sé; nella sua umiltà, invece, rimanda altrove. La sua debolezza è la sua trasparenza. La potenza del Vangelo si fa presente nell'inadeguatezza per rendere chiaro a tutti che la sua efficacia viene da Dio, non dagli uomini, né dai loro strumenti. È alla luce di questa metafora che Bruno Maggioni rilegge la concezione della Chiesa nel Nuovo Testamento. Certo, non con la pretesa di un ritorno alla comunità delle origini: sarebbe un'illusione, e neppure coerente con il Vangelo. La Chiesa, infatti, cammina nella storia. E proprio per questo motivo deve continuamente confrontarsi con la sua origine, vigilando perché le sue scelte siano sempre attualizzazione del Vangelo. Nella consapevolezza che il suo compito non è attrarre su di sé lo sguardo degli uomini, ma rinviarlo sempre al Dio di Gesù.
Lungo il corso della sua storia bimillenaria, la Chiesa ha maturato attorno al ministero sacro dei chierici un distintivo profilo giuridico-pastorale per il bene comune a tutela del popolo di Dio. Si tratta di una specifica fisionomia normativa (che il volume si propone di analizzare) integrante una ben definita identità dello stato clericale, una struttura di servizio a diversi gradi e livelli di competenza ministeriale, un corredo di doveri e diritti propri e un regime organizzativo e disciplinare a tutela dello stesso istituto del ministero sacro e della sua peculiare missione nella Chiesa.
Il Quaderno vorrebbe aiutare a superare alcune resistenze; si pensa infatti di offrire alla riflessione civile ed ecclesiale uno stimolo alla consapevolezza che, quando si tratta della vita ecclesiale e civile, sempre res nostra agitur. Per questo si dovrebbe riprendere l'antico brocardo, la massima giuridica, che anche il papa richiama: "quello che riguarda tutti da tutti deve essere trattato", senza deleghe che gradualmente possono preparare forme autoritarie dell'esercizio del potere, fuori e dentro la Chiesa. Libertà di parola per tutti, ma in vista della costruzione di una società e di una Chiesa in cui ci sia posto per tutti.
Il presente studio di carattere ecclesiologico-sistematico vuole elaborare linee che, partendo dall’idea dell’Eucaristia come «cuore» della realtà ecclesiale, conducano e approdino, grazie all’approfondimento e all’ermeneutica dei dati conciliari, a un possibile modello “eucaristico” di Chiesa. Si inquadra l’ecclesiologia eucaristica, che rappresenta uno dei possibili approcci allo studio della realtà ecclesiale – approccio non esclusivo né escludente – all’interno dell’ecclesiologia di comunione così come è andata a delinearsi a partire dal Sinodo dei Vescovi del 1985, perché è il modello spesso indicato come proprio del Vaticano II. Punto di partenza è lo studio di quel legame indissolubile ed osmotico che intercorre tra Eucaristia e Chiesa e che trova espressione nel noto adagio: «la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». L’Autore guarda alla liturgia nel suo tratto costitutivamente ecclesiogenetico e, dopo aver osservato la “natura” eucaristica della Chiesa, nell’orizzonte della sacramentalità, inizia a pensare “eucaristicamente” anche le sue strutture. Il modello eucaristico di Chiesa riconosce la centralità e l’importanza del sinodo nel suo legame interiore con la sinassi eucaristica. L’Eucaristia, evento sinodale per eccellenza, si rivela essere il modello più adeguato della figura sinodale di Chiesa.
È possibile parlare del cristiano come sacramento? In caso affermativo, come e in che senso? Il presente studio prende le mosse da questa domanda radicale e si confronta con il "De Ecclesia Christi" e il "De Immaculato Deiparae semper Virginis Conceptu" di Carlo Passaglia (1812-1887). Il risultato è sorprendente. Non solo emerge l'organicità della teologia passagliana dal sapore biblico-patristico, ma è anche possibile osservare che alcune conquiste teologiche, attribuite oggi alla teologia del XX secolo e al Concilio Vaticano II, sono già presenti nella riflessione di un geniale teologo del XIX secolo, troppo a lungo dimenticato.
Il vescovo Giulio Oggioni è stato un pioniere nell'attuazione delle norme conciliati, tanto che ha superato quel desiderio di applicazione letterale del Concilio Vaticano II, ciò il vaticanismo e ha portato, tra i primi, la sua Chiesa a vivere la vaticanità, cioè quello spirito che anima ogni documento conciliare. Profondamente radicato nell'insegnamento dei Padri, Monsignor Oggioni ha avuto una visione di Chiesa assai originale pur nella linea della tradizione. Basti leggere alcuni passi della sua teologia della Chiesa. Questa pubblicazione vuole rendere omaggio a Mons. Oggioni, a vent'anni dalla morte, avvenuta il 26 febbraio 1993, presentando il suo insegnamento sulla Chiesa nelle omelie pronunciate nel corso del ministero episcopale a Bergamo.
Nell'ambito dell'attuale riflessione teologica cristiana sul popolo ebraico è ormai dato per scontato che l'alleanza tra Dio e Israele non sia stata revocata. Da ciò consegue il fermo ripudio della teologia della sostituzione, secondo la quale la Chiesa definisce se stessa come il vero e nuovo Israele che subentra all'antico. Queste affermazioni, orientate a sviluppare un nuovo corso nei rapporti cristiano-ebraici, risultano però ancora incerte nel prospettare quale nuova immagine di Chiesa emerga da questo radicale mutamento. Poiché molte difficoltà dipendono da un'inadeguata impostazione del problema, il volume prospetta un cambio di approccio basandosi su un'approfondita ermeneutica di alcuni testi del Nuovo Testamento. L'indagine si incentra sulle conseguenze ecclesiologiche legate al fatto che l'elezione d'Israele avviene nei confronti degli altri popoli ed è quindi costitutiva della polarità Israele-Genti. Discorso analogo comporta il confronto con l'ebraismo definito in base a tre parametri fondamentali: Torah, popolo, terra. Da questa impostazione consegue la necessità di non presentare il cristianesimo come semplice universalizzazione dell'ebraismo. Definire la Chiesa come una comunità di chiamati da Israele e dalle Genti esige un ripensamento della categoria ecclesiologica di mistero, la riduzione del ricorso a parametri identitari per definire il cristianesimo e una nuova visione dell'inculturazione della fede.
«Ecclesia semper reformanda est». È tuttavia inconfutabile che vi siano delle stagioni particolari nel corso delle quali si assiste a un'accelerazione e al tempo stesso a una concentrazione delle riforme sotto la spinta dei tempi ma anche e soprattutto dello Spirito. Oggi ci troviamo a vivere una di queste stagioni. Francesco è un papa riformatore poiché è stato eletto sotto la spinta della richiesta di un profondo rinnovamento della Chiesa.
«Sul diaconato femminile, mi sembra utile una commissione che chiarisca bene questa cosa, soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa». È bastata questa frase di papa Francesco – pronunciata il 12 maggio 2016 durante l’incontro con le rappresentanti dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali – per riaprire una questione già affrontata più volte in passato, soprattutto in chiave di «rivendicazione femminile». Come contributo al dibattito in corso nasce questo agile saggio, in cui don Albanesi fa il punto sulla storia e la teologia del diaconato e ricostruisce anche la vicenda per molti versi oscura delle «diaconesse» nel primo millennio cristiano. E non teme di prendere posizione sull’oggi, con un «sì» deciso al diaconato femminile, visto come l’occasione per configurare in modo nuovo e convincente un ministero rinato con il Vaticano II e dall’identità ancora incerta. La vera posta in gioco non è infatti il riconoscimento anche ecclesiastico del ruolo fondamentale delle donne, quanto il riportare nel cuore stesso della missione della Chiesa il servizio della carità. Don Vinicio lo dice da esperto canonista, ma anche e soprattutto da «prete di strada» che ha dedicato la sua vita al servizio degli ultimi.
In questo libro l'autore rivisita gli scritti teologici di Mons. Bruno Forte (vescovo della diocesi di Chieti-Vasto), cogliendovi, con sintonia spirituale e intelligenza teologica, il filo rosso del rapporto fra il dono della salvezza offerto in Gesù Cristo e la storia degli uomini, che si rende particolarmente visibile e tangibile nel vissuto della Chiesa, la fidanzata dell'Agnello.