Avanza la dittatura dei "nuovi diritti" che, in nome di un'idea di libertà individuale senza limiti né confini, finisce per compromettere i diritti dei più deboli e i fondamenti della nostra civiltà. Ma davvero la libertà dell'uomo consiste nel trasformare ogni desiderio in diritto esigibile per andare oltre se stesso? Oppure esiste un'altra libertà, che si nutre della verità naturale e del rapporto con gli altri? È questo l'interrogativo, cattolico e laico, al quale un principe della Chiesa e un politico e professore liberal-conservatore provano a dare risposta. Ripercorrendo le più grandi sfide antropologiche del nostro tempo - la vita e la morte, la genitorialità e le tecnoscienze, il rapporto con l'ambiente e le migrazioni - essi dimostrano come riconoscere il senso del limite non significhi rifiutare il progresso e negare la libertà dell'uomo, ma piuttosto riscoprirne il significato più profondo, che assume senso sia per chi crede, sia per chi non crede ma ha a cuore le sorti dell'Occidente e della stessa umanità.
Il titolo la dice lunga sul tenore e sui contenuti di questo libro. “Il Mondo al contrario” vuole infatti provocatoriamente rappresentare lo stato d’animo di tutti quelli che, come me, percepiscono negli accadimenti di tutti i giorni una dissonante e fastidiosa tendenza generale che si discosta ampiamente da quello che percepiamo come sentire comune, come logica e razionalità. “Cosa c’è di strano? Capita a tutti, e spesso” – direte voi. Ma la circostanza anomala è rappresentata dal fatto che questo sgradevole sentimento di inadeguatezza non si limita al verificarsi di eventi specifici e circoscritti della nostra vita, a fatti risonanti per quanto limitati, ma pervade la nostra esistenza sino a farci sentire fuori posto, fuori luogo ed anche fuori tempo. Alieni che vagheggiano nel presente avendo l’impressione di non poterne modificare la quotidianità e che vivono in un ambiente governato da abitudini, leggi e principi ben diversi da quelli a cui eravamo abituati.
Basta aprire quella serratura di sicurezza a cinque mandate che una minoranza di delinquenti ci ha imposto di montare sul nostro portone di casa per inoltrarci in una città in cui un’altra minoranza di maleducati graffitari imbratta muri e monumenti, sperando poi di non incappare in una manifestazione di un’ulteriore minoranza che, per lottare contro una vaticinata apocalisse climatica e contro i provvedimenti già presi e stabiliti dalla maggioranza, blocca il traffico e crea disagio all’intera collettività. I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo; di chi non può biologicamente avere figli, ma li pretende; di chi non ha una casa, e allora la occupa abusivamente; di chi ruba nella metropolitana, ma rivendica il diritto alla privacy.
Lui sapeva che i lupi sarebbero arrivati e lo avrebbero azzannato. Infatti è andata proprio così. Prendendo a pretesto lo scandalo pedofilia, contro Benedetto XVI è stata scatenata un’autentica persecuzione. Ripercorrere quei momenti vuol dire rendere giustizia a Joseph Ratzinger, ma soprattutto capire qual è stata, e qual è tuttora, la posta in gioco. Da un lato le ragioni del bene e della verità, dall’altra la menzogna. Per questo l’insegnamento di Papa Ratzinger continua a essere, oggi più che mai, uno sguardo nella notte. Sommario Prefazione (Marco Tosatti) Introduzione: Il Papa della verità I “Ad cognitionem certa pervenit…” Come il pastore fu azzannato dai lupi Quattro punti Indebolimento della fede Lapidazione mediante mass media L’offensiva del New York Times Un “ignobile intento” Una campagna disonesta Stampa scatenata Un cappuccino nella tempesta Di nuovo sotto accusa L’arma della generalizzazione Un’Inquisizione per il Papa Curiose lezioni di stile Martini difende Benedetto II La Sapienza degli intolleranti Libertà negata La conoscenza del bene Non di sola scientia Se la ragione diventa sorda Irrisione e aggressività Illuminismo da bar La cultura dell’et et Il padre punito E prima avevano tentato con l’Islam Manipolazione e strumentalizzazione La vergogna del Belgio Lenta evaporazione di una Chiesa Preti gay? Colpa di Ratzinger Benedetto come Pinochet? III Le due Chiese Un fraintendimento pericoloso No all’utopismo spiritualistico Una nota di dolore Un uomo pericoloso Testimone della verità Quaerere Deum Una poderosa provocazione Troppo normativo? Troppo occidentale? Centralità dell’Europa Una scelta ponderata Una religione ragionevole Un’altra colpa: lavorò per l’unità dei cristiani Il Summorum pontificum L’umiltà del Papa Umanità dell’auctoritas Altri veleni Per i fratelli ortodossi IV Raddrizzare l’intelligenza cristiana Caritas in veritate Se la persecuzione viene da dentro Non più umana, ma più divina La penitenza è una grazia Attualità del messaggio di Fatima Non cercare giustificazioni “Osservate più spesso le stelle” Il peccato nasce dal cedimento alla mentalità del mondo V Ultime lezioni Pro Ecclesiae vitae “Grazie per la vostra simpatia” “La Chiesa è viva!” All’insegna della verità Eucharistomen
Byung-Chul Han, tra i pensatori più importanti e più letti dei nostri tempi, affronta con stile nitido e conciso una delle fratture al cuore della società di oggi: la paura del dolore. Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo. E l'attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. E nel farlo ci consegna nuovi e più efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.
La dolcezza è un enigma difficile da identificare. È il nome di un'emozione che non sappiamo più descrivere, venuta da un tempo in cui l'umano non era separato dal resto della vita, dagli animali, dagli elementi, dalla luce, dagli spiriti. È selvatica e raffinata, come ben sa la cultura orientale, è spirituale e carnale, è una festa dei sensi alla quale il tatto, il gusto, i profumi, i suoni aprono l'accesso. Soprattutto, è una potenza, una forza simbolica di resistenza capace di trasformare la vita. In questo saggio particolarissimo, scritto all'incrocio tra filosofia e psicanalisi, Anne Dufourmantelle insegue e ripercorre le tracce della dolcezza nell'esperienza delle donne e degli uomini, dialogando con Tolstoj e Dostoevskij, passando per Flaubert e Hugo, senza dimenticare Lévinas. E arriva a toccare l'origine stessa della dolcezza, che è il nome segreto dell'infanzia, un ricordo a se stessi che inventa il futuro e che si fa potenza di relazione con l'altro, in grado di trasformare anche il dolore in creazione di una nuova promessa di sollievo e ripartenza.
L'odierna ossessione per un'autenticità fondata sul narcisismo dell'Io, la costante ricerca del nuovo e dell'inedito, la bulimia consumistica dell'usa e getta che pervade ogni ambito determinano, nei rapporti e nelle pratiche che caratterizzano la società contemporanea, una sempre più evidente e sintomatica scomparsa delle forme rituali. Tuttavia, la struttura immutabile e ripetitiva, così come la teatralità dei gesti e l'attenzione riservata alla "bella apparenza", conferiscono ai riti un potere simbolico profondamente unificante. Il silenzio, il raccoglimento, il senso di sacralità necessari allo svolgimento del rito fondano un legame tra il sé e l'Esterno, tra il sé e l'Altro - i riti "oggettivano il mondo, strutturano un rapporto con il mondo", creando una comunità anche senza comunicazione. A questa comunità senza comunicazione, propria della società rituale, Han contrappone la comunicazione senza comunità, quel "baccano" in cui, in una società sempre più atomizzante, il soggetto si esprime e "si produce" ritrovandosi a girare a vuoto attorno a se stesso, privo di un mondo e di reali interazioni. Per infrangere questo cortocircuito, e all'interno di una più ampia critica delle patologie del contemporaneo, Byung-Chul Han propone un recupero del simbolismo dei riti come pratica "potenzialmente in grado di liberare la società dal suo narcisismo collettivo", riaprendola al senso di una vera connessione con l'Altro - e reincantando il mondo.
Esistono innumerevoli parole ed espressioni che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano e che spesso, erroneamente, consideriamo una recentissima acquisizione dalla lingua inglese. Quando ci sediamo davanti a un monitor, magari per seguire le lezioni di un tutor o per aggiornarci sull'andamento dell'ultimo summit internazionale attraverso i mass-media, ci sentiamo all'avanguardia e fieri di avere grande dimestichezza con il mondo anglosassone, dimenticando che dobbiamo tanta «modernità» al latino che parlavano i nostri avi. Nell'insolita veste di cultore di una lingua con la quale ha avuto l'opportunità di confrontarsi fin da giovanissimo, Vittorio Feltri risale alle origini di vocaboli e locuzioni di uso comune, illustrandone la genesi e il significato talvolta travisato nel corso del tempo. Molti resteranno forse delusi scoprendo che il celeberrimo alea iacta est - «il dado è tratto» attribuito a Cesare e da sempre usato per sottolineare con fare solenne l'irrevocabilità di una decisione presa - potrebbe essere frutto di un'errata trascrizione da Svetonio, e che la frase corretta (alea iacta esto, «si lanci il dado») era probabilmente un imperioso invito a gettare il cuore oltre l'ostacolo, in questo caso il Rubicone. Ma nelle belle pagine di Feltri, non certo un noioso compendio di letteratura latina, trovano posto anche gli inevitabili e pungenti accenni all'oggi, sia con poco edificanti esempi di quanto siano attuali il do ut des e l'homo homini lupus, sia, per nostra fortuna, con le storie di personaggi che dimostrano il valore del detto per aspera ad astra. Al di là del tono ironico che sempre contraddistingue Feltri, Il latino lingua immortale è in fondo un'appassionata dichiarazione d'amore per una lingua che, ben lungi dall'essere morta, dimostra ogni giorno, e lo farà ancora a lungo, la forza delle sue radici.
Le parole sono oro. La materia preziosa capace di custodire le storie. Aver cura delle parole nelle relazioni è un gesto di umanità, di responsabilità e partecipazione. Una parola non vale l'altra, i bambini e le bambine lo sanno per averlo imparato spesso sulla loro pelle. Le parole possono essere lievi e accompagnare ai voli, o pesanti taglienti schiaccianti. Possono essere luminose e misteriose, esatte o sciatte. Tra le pagine di questo libro è ospitato un percorso personale attraverso alcune parole. Un piccolo contributo ad allenare l'attenzione nello scegliere e nell'abitare le parole. Ogni parola un capitolo. Attorno ad esse si raccolgono racconti - aneddoti di esperienze vissute, come sottile filo rosso che tiene insieme - e fonti: letterarie (classiche e contemporanee), linguistiche, musicali, visive. Suggestioni per cercare.
Il libro è un approfondito saggio sull'accompagnamento alla morte, che attinge alla filosofia, alla psicologia, alla spiritualità, alla medicina. L'autore contestualizza l'argomento delineando lo scenario socioculturale e socioistituzionale dello "stare accanto"; affronta il tema della sofferenza psicologica nella malattia cronica e terminale; analizza il concetto di "tempo della malattia", così come vissuto dal malato; si dedica al concetto di "cura" e del "prendersi cura", proponendo spunti di riflessione per chi sta accanto al malato, con l'individuazione di una sorta di decalogo che aiuti a passare dalla "prestazione" alla "relazione".
Presentazione sintetica in chiave teologica e spirituale della virtù della speranza da parte del coordinatore del Giubileo 2025, dedicato al tema della speranza. Il testo introduce una raccolta di brani antologici da vari autori, antichi e contemporanei, sia credenti che non credenti, capaci di mostrare, nelle diverse sensibilità letterarie (poesia, saggistica, romanzo...) la forza mite e dirompente della speranza.
Per generazioni di ragazzi, il porno è ormai la principale forma di educazione sessuale. Fin da bambini può capitare inatteso sui loro device con un pop-up e ben presto cominciano a cercarlo e a nutrirsene, scambiando per realtà quella che è solo fiction, a volte estrema. Per gli adulti è una forma di intrattenimento come un'altra, magari usata per dare un po' di pepe alla vita di coppia. Risultato: la macchina del porno macina miliardi, grazie a siti che sono tra i più visitati al mondo. Ma si tratta davvero di un mercato qualunque? Questo libro ricco di dati, notizie e interviste ai protagonisti spiega perché no, non lo è. Racconta chi sono davvero i discreti padroni degli aggregatori pornografici. Indaga i percorsi professionali, i meccanismi economici, le implicazioni sociali di un fenomeno cresciuto fino a raggiungere dimensioni colossali. Denuncia le storie di sfruttamento e violenza. Fa chiarezza sui temi più problematici, come l'uso e l'abuso dell'intelligenza artificiale e la compravendita dei nostri dati personali. Senza falsi pudori né pregiudizi, Lilli Gruber mostra in queste pagine come sia il porno a usare noi, e non viceversa. Per invertire la rotta occorre aprire un dibattito, spezzare il silenzio delle istituzioni e chiedere innanzitutto un'educazione sentimentale e sessuale per i nostri figli e misure per la trasparenza delle pratiche economiche del settore. E impegnarci per recuperare i beni preziosi che la peggiore pornografia online ci ha rubato: l'erotismo, il desiderio e la creatività.
Questo testo, a due voci, si rivolge a coloro che aspirano a prendersi cura di sé e degli altri e fa riferimento a due ambiti di esperienza: la relazione di aiuto, secondo il modello dell'Analisi Transazionale, e l'Arte del Teatro. Praticare il training teatrale significa vedere, percepire, divenire consapevoli di sé, connettersi al proprio corpo per sciogliere le tensioni che limitano i gesti spontanei e intimi, vivere l'esperienza di Esserci, di Essere con gli altri, accedere alla propria Physis, l'energia vitale, e dar vita ad esperienze inedite, creative, che riguardano ciascun essere umano, le sue relazioni, la sua esistenza. Chi chiede aiuto come chi va a teatro «è alla ricerca delle ragioni della propria esistenza e crede che queste ragioni possano essere ricercate e trovate nella relazione con un altro essere umano». Speranza e fiducia, non sempre consapevoli, guidano e sostengono chi si avvicina all'arte del teatro e chi chiede aiuto. Proprio per nutrire la fiducia e la speranza di coloro che andranno a incontrare, gli analisti e gli attori si preparano, provano, dedicano tempo ed energie alla loro formazione in modo continuo senza giungere a una fine.