Le teorie politiche ragionano sui grandi scenari, discorsi affascinanti ma che spesso restano solo parole. C'è poi un pensiero politico che si occupa di quello che ciascun cittadino può fare dal luogo in cui è, agendo innanzitutto sul proprio modo di stare nel mondo. C'è necessità di cittadini e politici che siano consapevoli del valore della politica e agiscano mossi dall'intenzione di dedicare il giusto tempo alla cura della comunità. Così intesa la sapienza politica costituisce una necessità ineludibile. Si può dire che proprio dell'umano è l'esigenza della politica, di una politica capace di visione, di progetto, di forza di attuazione.
La superficie del nostro pianeta è segnata da innumerevoli confini. Alcuni sono naturali, altri sono legati all'opera dell'uomo, marcati da frontiere, muri e barriere. Accanto a questi, ne esistono molti altri che sono meno scontati e tanto sottili da risultare quasi invisibili. Sono quelle linee che separano, dividono, porzioni del nostro mondo a vari fini: dividono popoli, custodiscono identità e culture, sono capaci di generare tensioni e conflitti anche molto gravi. Il geografo Maxim Samson esplora trenta di queste linee invisibili: dalle correnti artiche o la 'cintura della malaria' a quelle che abbiamo segnato per circoscrivere gli effetti delle nostre azioni, come la 'zona rossa' di Cernobyl o i cordoni sanitari del Covid. O ancora: le linee utilizzate per reclamare territori contesi, come quelle nella ex Jugoslavia o tra le gang di Los Angeles, o quelle che servono a definire e difendere le diverse identità, come il Bosforo, gli Urali o la 'Bible Belt'. Queste linee compaiono raramente sulle nostre mappe fisiche e politiche, ma sono ugualmente rilevantissime in qualche parte del mondo perché segnano un qualche tipo di divisione tra un 'noi' e un 'loro'. Questo libro è una guida per osservare e comprendere il nostro pianeta in tutta la sua consistenza e in tutto il suo disordine.
La disobbedienza civile e la non-violenza hanno una storia lunga e gloriosa: pensiamo a chi si è opposto con coraggio al nazifascismo o a figure come quelle di Gandhi e di Martin Luther King. Negli ultimi anni si sono aggiunte nuove pratiche di disobbedienza: quella climatica, l'animalismo radicale, i passeurs che fanno attraversare i confini ai migranti, l'abbattimento o l'imbrattamento di statue di personaggi controversi, e tante altre. L'opinione pubblica ha spesso faticato a comprendere le ragioni e la specificità di queste iniziative, riducendole a un generico bisogno di visibilità. Certo, gli stati liberali e democratici, seppur imperfetti, meritano il rispetto delle leggi. Ma è innegabile che ci sono leggi e pratiche ingiuste, e da questa constatazione è necessario partire per capire le ragioni di chi decide di andare contro gli ordinamenti per reclamare la necessità di un cambiamento. Lungi dall'esprimersi in un bisogno di radicalismo fine a sé stesso, il senso morale della disobbedienza va inteso come un modo, a volte estremo, di fare politica in una democrazia. Quando le normali forme di rivendicazione democratica non funzionano, la disobbedienza può essere moralmente giustificabile.
Il 'delitto Matteotti', di cui quest'anno ricorrono i cento anni, è stato senza dubbio il più grande 'caso' della storia italiana. Proviamo a raccontarlo come se nessuno l'avesse raccontato prima, come se nessuno lo ricordasse più, facendone 'un affaire' in cui non è semplice districarsi. All'inizio dobbiamo analizzare la scena del crimine, sul lungotevere di un afoso pomeriggio romano, e descrivere la meccanica del delitto. Dopo di che si approfondisce la conoscenza prima degli esecutori e poi dei loro mandanti - il duce e il suo entourage - per raccontare la tremenda lotta per il potere e per la sopravvivenza di uomini divisi su tutto, ma accomunati dalla menzogna (mentono tutti e più di tutti mente il loro capo) e dalla consapevolezza che per salvare se stessi devono salvare a ogni costo Benito Mussolini. Poi dovremo interrogarci sui possibili moventi del delitto, muovendo dall'assunto borgesiano che se la realtà può sottrarsi all'obbligo di essere interessante, non possono sottrarvisi le ipotesi. Infine, come in ogni delitto, c'è un 'dopo', le molteplici 'vie di fuga' dall'affaire: dai processi del 1926 e del 1947 al destino di ciascun protagonista nel corso del ventennio. Ma soprattutto c'è Giacomo Matteotti. Finora è stato come un fantasma: un'assenza, una salma, la vittima. Giunti alla fine, siamo costretti a chiederci: chi è, chi era, chi è stato Matteotti? E perché proprio lui?
Da oltre trent'anni l'Italia vede attuarsi periodicamente soluzioni 'irregolari' delle crisi politiche. Ciampi, Monti, Draghi. Da tempo i presidenti della Repubblica si regolano come se fosse in vigore da noi la Costituzione della Quinta Repubblica francese, o forse pensano che sia ritornato lo Statuto Albertino: convocano 'qualcuno' che metta le cose a posto. Non possiamo non chiederci se, tra le cause immediate di questa deriva, non ci sia il disinvolto e reiterato ricorso alla cosiddetta 'unità nazionale' e al conseguente assembramento di formazioni politiche ritenute antitetiche ma destinate a perdere, nel corso di tali esperienze, larga parte dei loro connotati. È probabile che tutto questo si sia verificato sotto la pressione incalzante di costringenti strutture extranazionali in grado di imprimere una accelerazione. Ma il problema ineludibile che abbiamo di fronte è: a quale prezzo e con quale riassetto del nostro ruolo internazionale si sia prodotta una tale mutazione, e se essa sia irreversibile.
In Italia, in vari paesi europei e negli Stati Uniti, la democrazia di stampo liberal-democratico pare entrata in una fase di crisi profonda, assimilabile a un'agonia. Si deve ormai parlare di Demagonia. È la conseguenza di troppi anni di governi molli, che hanno inseguito il consenso immediato e facile, accantonando i problemi e rinviando le scelte impegnative. La demagonia, però, non è irreversibile. Per arginarla e respingerla occorre una politica seria, fatta da politici responsabili, disposti anche a perdere le elezioni. Occorre che i cittadini-elettori siano più consapevoli ed esigenti. Pie illusioni, sogni? No di certo! Si tratta invece di condizioni essenziali per la sopravvivenza dell'Europa e dell'Italia. Nel nuovo contesto geopolitico, se la politica continuerà a creare e cavalcare illusioni, a operare per i propri interessi e non per quello generale, l'Italia e l'Europa diventeranno periferie di stati totalitari, perdendo indipendenza, sicurezza, libertà, valori, identità, benessere. Sulla base delle sue esperienze di governo - prima di una grande università, poi come Commissario europeo e infine come Presidente del Consiglio italiano in un momento particolarmente critico per il nostro Paese - Mario Monti offre il suo contributo di esperienza e di visione in una fase di sfida decisiva per il futuro delle nostre società e delle prossime generazioni.
Qual è il progetto politico di FdI? Implica e prefigura una riduzione degli spazi della dialettica politica o è invece, come pretende, la restituzione della democrazia agli italiani, dopo una stagione di governi tecnici e di maggioranze contraddittorie? Per cogliere la natura di FdI è necessario comprenderne la genesi concreta e soprattutto le dinamiche della società contemporanea, dell'economia neoliberale, e le trasformazioni post-democratiche della nostra democrazia. Bisogna chiarire se la destra è una minaccia per il mondo liberaldemocratico in crisi o una promessa di rivitalizzazione, sia pure in chiave conservatrice, o un assecondamento di derive già in atto; bisogna collocare FdI rispetto alla destra europea, ma anche rispetto al fascismo (al neo-fascismo e al post-fascismo), al populismo, al sovranismo e al conservatorismo, analizzandone la politica istituzionale, quella economica, quella culturale e la proiezione internazionale.
L'autore, alla luce delle scienze umane e sociali, partendo dai drammatici scenari socio-ambientali e di «guerra mondiale a pezzi», pone l'attenzione su una serie di interrogativi di senso e prospettive di lettura. Termini come guerra, conflitto, pace e speranza sollecitano lo sguardo sulla necessità di creare paradigmi diversi per una vera rivoluzione della speranza che abbia come fondamento un'idea di ecologia integrale. Il tema del linguaggio consente all'autore di allargare le maglie della riflessione verso la politica, nella speranza di rifondare una comunità umana che nella solidarietà tra singoli riscopra la solidarietà con l'ambiente, con la natura con la casa comune - la nostra Terra - secondo l'interpretazione di papa Francesco che, geograficamente ed esistenzialmente, incita l'attenzione e la visione di un Mediterraneo come via di pace. La speranza diviene un cammino «nonostante» tutto, non facile ottimismo ma responsabilità di ciascuno e di tutti.
Nei testi raccolti in questo libro, i temi cari a Tullio De Mauro: uso dei dialetti e dell'italiano, il latino e l'eredità classica; la regola della chiarezza per quelli che devono trasferire ai cittadini conoscenze; la passione e l'impegno per la politica. E infine il ruolo essenziale della scuola.
Piergiorgio Odifreddi, come molti italiani nati nel dopoguerra, è cresciuto nel mito degli Stati Uniti e dei soldati americani "liberatori": sono stati loro, d'altra parte, ad aver salvato suo padre e suo nonno, entrambi deportati dai nazifascisti. Eppure, a partire dalla guerra del Vietnam, il suo rapporto con gli Stati Uniti inizia a cambiare. Ci studia per due anni, e ci insegna per venti. Viaggia in tutto il mondo, ed esplora in lungo e in largo il continente americano. Con sempre minor sorpresa, e sempre maggior fastidio, si rende conto dei modi violenti in cui gli Stati Uniti l'hanno sempre fatta da padroni: sfruttamento economico, embargo commerciale, occupazione militare... In questo libro riflette sull'arroganza dell'Occidente, anche attraverso i grandi pensatori del passato, e ci invita a non farci alleviare la coscienza dall'illusione che, forse, gli altri possono persino essere peggio di noi.
L'immagine delle Aule parlamentari, in cui avvengono i confronti - o spesso gli scontri - fra maggioranza e opposizione per decidere il futuro del nostro paese, è certo familiare a ogni cittadino. Non molti, invece, possono affermare di sapere con chiarezza come funzioni il sistema politico italiano e cosa accada realmente nei palazzi del potere. A raccontarlo in queste pagine, con ironia e attraverso numerosi aneddoti personali, è Carlo Cottarelli che, oltre ad aver ricoperto per otto mesi la carica di senatore nell'ultima legislatura, dopo le elezioni del 2018 venne incaricato di formare un governo nel corso di una crisi istituzionale senza precedenti. Attingendo alla sua esperienza diretta, Cottarelli esamina lo stato della nostra politica. Ne registra le storture, le inefficienze, le potenzialità perdute, descrivendo dal di dentro il funzionamento del nostro Parlamento e trattando, fra l'altro, temi di scottante attualità come il progressivo ridimensionamento del suo ruolo rispetto a quello del governo, il dibattito ormai ridotto a scontro tra fazioni opposte, gli stipendi di deputati e senatori, il bizantinismo delle pratiche, l'allontanamento dei cittadini dal voto, e cosa si può fare per riavvicinare i cittadini alla politica. E racconta per la prima volta in dettaglio quei quattro giorni che lo videro salire al Quirinale più volte nel tentativo di formare un nuovo governo. In "Dentro il Palazzo", Cottarelli restituisce una sincera fotografia delle nostre istituzioni e immagina come potranno evolversi la politica e l'economia italiana ed europea se proseguono le tendenze attuali, compresa la riforma costituzionale sul premierato.
L'avventura più avvincente del nostro continente: far scaturire dal basso il potere «divino» a lungo incarnato da re e imperatori. Lunga, cruenta, imperfetta, mai scontata. La democrazia moderna ha percorso un lungo e tormentato cammino: si è ispirata ai principi della democrazia ateniese e della Repubblica romana, si è risvegliata da un lungo sonno con il movimento medievale dei Comuni, si è giovata del dissenso delle chiese protestanti, si è rinvigorita con il parlamentarismo e liberalismo inglesi. Ha poi attraversato l'Atlantico, rimbalzando a Parigi nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789. Il pur debole costituzionalismo piemontese ne tenne accesa la fiaccola, facendola sopravvivere alle crisi susseguitesi da metà '800 fino al naufragio della Grande guerra, e all'affermarsi delle esperienze populiste e marxiste. Dopo la catastrofe del 1945, la democrazia ha conosciuto ulteriori sviluppi, affiancati da nuove conquiste (diritti individuali, welfare). Questo libro ne traccia l'itinerario storico attraverso i luoghi iconici delle nostre libertà.