La morte di Meredith Kercher turba e appassiona l'opinione pubblica mondiale. Un giallo avvolto ancora da molti misteri che ha avuto un forte impatto mediatico. Questo libro analizza la vicenda punto per punto, mettendo in luce i molti aspetti ancora irrisolti di questa torbida storia. In allegato CD Rom con la ricostruzione in 3D della scena del delitto.
Miracoli, oroscopi, superstizioni, numerologia, profezie... quanto c’è di vero in tutte queste manifestazioni più o meno «occulte»? Perché vi ricorriamo così spesso quando non riusciamo a chiarire un fatto apparentemente inspiegabile? Il più delle volte, non c’è motivo di cercare una spiegazione... semplicemente perché non c’è! Anziché scomodare poteri occulti, influssi astrali od oracoli quantomeno nebulosi, è sufficiente ammettere l’esistenza del caso e che, laddove crediamo di intuire un messaggio nascosto, si tratta solo di una coincidenza (o di un’abile manipolazione dell’imbroglione di turno).
Ennio Peres, con lo spirito arguto dell’enigmista – e ancor più del matematico – non si limita a sfatare leggende metropolitane, superstizioni e plateali fandonie, ma riconduce gli «scherzi del caso» a un gioco raffinato e stimolante: nelle loro infinite combinazioni, lettere, numeri e parole non sono solo un’ottima palestra per riconoscere e quindi difendersi dai capricci del caso, ma anche un’occasione insostituibile di divertimento e, perché no, di arricchimento intellettuale.
Da Federico II
a Spinoza,
da Machiavelli a Hobbes:
il paradossale libro sacro
dei miscredenti
che nasce, si diffonde,
incrocia i destini
di principi e filosofi.
Primo luglio 1239: Gregorio IX accusa l’imperatore Federico II di avere dichiarato che il mondo intero è stato ingannato da tre impostori, Gesù, Mosè e Maometto. Poco dopo l’insinuazione del papa, si diffonde una voce ancora più inquietante: Federico II e il suo braccio destro, Pier delle Vigne, avrebbero scritto un trattato in latino, il De tribus impostoribus, sostenendo questa tesi empia. Eppure nessuno ha visto il libro maledetto. E per secoli nessuno lo vedrà, anche se di volta in volta il manoscritto fantasma sarà attribuito a personaggi eterodossi da screditare: da Machiavelli a Ramo, da Bruno a Hobbes, dall’Aretino a Spinoza. Finché nel 1719, in Olanda, accade l’imprevedibile: il Trattato dei tre impostori viene stampato in francese. Ma un interrogativo grava sulla pubblicazione: è davvero l’opera di cui si parla dal Medioevo, o è una semplice truffa commerciale, un’impostura sull’impostura? In un saggio appassionante come un giallo storico Georges Minois, brillante studioso della cultura, scioglie questo e molti altri enigmi, ripercorrendo le tappe principali della vicenda complessa che da una calunnia ha portato alla nascita della “Bibbia dell’ateo”. Un documento contraddittorio quanto misterioso che, per un curioso gioco della Storia, fi - nisce con l’avere almeno un aspetto in comune con il Dio contro cui si scaglia: sulla sua natura, e sul mistero della sua esistenza, non si smette di interrogarsi.
Questo libro parla della nostalgia
che si appropria di oggetti e luoghi,
parla dell’incuria che l’uomo ha per il suo destino,
parla della violenza che la tecnologia moderna
opera sui nostri luoghi e sul nostro mondo,
del silenzioso camminare in un viottolo di campagna,
di cortili abbandonati,
della pioggia che cola sui vetri.
“La nostalgia è la nostra vita”, afferma Roberto Peregalli nelle prime pagine del suo nuovo saggio. Ma ci può ancora essere nostalgia di qualcosa in questo mondo tiranneggiato da scopi da perseguire a ogni costo, da violenze legalizzate e da un eterno presente in pace con se stesso? Sì, a patto di ripensare oggetti, luoghi e persone da un altro punto di vista, quello del tempo che lascia tracce del suo passaggio per chi sa coglierle. E allora, la facciata di una casa si pone come il volto di una persona, una finestra diventa lo sguardo di un edificio, la sottile membrana fra interno ed esterno, e il colore bianco rivela la sua sacralità legata all’irrompere della luce, quella vera, non il suo doppio artificiale in quei “lego” impazziti che sono le moderne costruzioni imposte da una tecnica scriteriata. È così che il silenzio delle case, degli oggetti, dei luoghi resta “in disparte tra le pieghe del mondo senza cedere ai trucchi e alle lusinghe del progresso”. E la nostra vita può ancora essere ritessuta secondo un orizzonte alternativo di senso. Dopo averci raccontato i segreti dell’invisibile per i Greci, Peregalli ci offre un’altra riflessione narrativa, tutta giocata sul filo di una memoria in cui il passato nelle sue innumerevoli sfaccettature ammaestra il nostro presente.
Scritti tra il 1917 e il 1920, e ripubblicati nel 1928, i saggi che compongono Il bosco sacro costituiscono la prima fondamentale affermazione di Eliot come critico e teorico. Incentrato sul concetto di “integrità della poesia”, il volume rappresenta una vera e propria introduzione all’estetica eliotiana così come al suo mondo poetico. “La tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica.” Impostato come confronto costante con l’individualità del poeta (tra gli altri, Swinburne, Rostand, Ben Jonson, Dante, Blake) e come storia della poesia quale esperienza collettiva, il pensiero critico di Eliot è volto a tessere le connessioni tra “senso storico” e “esistenza simultanea della letteratura”. Punto di partenza per tutta la successiva produzione, Il bosco sacro è un testo fondamentale per conoscere l’opera di Eliot, ma anche una prova sorprendente del fascino della sua prosa.
Il racconto del giudice Cantone prende avvio dal suo ultimo giorno alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli: ripercorrendo la sua esperienza, Cantone mostra in che modo un bravo studente di giurisprudenza che voleva addirittura fare l'avvocato sia finito per diventare il nemico numero uno dei boss di Mondragone e Casal di Principe, più di una volta minacciato di morte e da anni costretto a vivere sotto scorta insieme ai familiari. Un'evoluzione che non nasce da una sorta di vocazione missionaria, ma prende forma attraverso un percorso graduale e, talvolta, persino casuale, dove però rimane sempre salda la sua originaria passione per il diritto. Quella che gli fa trattare con la medesima professionalità e dedizione le vicende di un anziano signore che si rivolge alla giustizia per la tragica morte del figlio dovuta a un caso di malasanità e le sofisticatissime indagini condotte insieme al Ros per arrivare alla cattura di Michele Zagaria, la primula rossa dei Casalesi. Ma l'amaro realismo di queste pagine finisce per evidenziare come l'universo camorrista abbia confini ben più estesi e radici ben più profonde dei vertici di qualche clan. Per cui, fino a quando ci saranno politici, funzionari, imprenditori, uomini delle forze dell'ordine e liberi professionisti corrotti, conniventi o sottomessi, la camorra resterà come un'idra cui la giustizia può tagliare una o qualche testa che subito ricresce, mentre coloro che vi si oppongono individualmente sono votati a un pericoloso destino di isolamento.
"È un privilegio o una condanna scoprirsi americani? Il paese delle mille contraddizioni, la nazione del melting pot, dove la geografia, ignorata a scuola, s'impara grazie alle tante guerre combattute, dal lontano Vietnam all'attuale Iraq, è ancora la migliore democrazia del mondo? Gli americani sono convinti di aver sempre ragione, per definizione, semplicemente perché loro sono americani e tu no. Meno sanno del mondo e più lo vogliono cambiare a propria immagine e somiglianza. Ma forse il segreto dell'America sta nel suo essere una nazione eccitante, un paese che non ti annoia mai, dove ciò che sembrava certo ieri diventa assurdo domani. L'America ti inganna, ti tradisce, ti diverte. Vittorio Zucconi, da molti anni corrispondente per la Repubblica dagli Stati Uniti, compie un viaggio fra i riti e i tic di questo immenso paese: dal McDonald al poker in tv, dalle devastazioni dell'uragano Katrina alla mania di grandezza dei grattacieli, che resiste anche dopo la tragedia dell'11 settembre 2001".
Lavori di scavo offre al lettore la rara occasione di introdursi nel «laboratorio critico» del premio Nobel J. M. Coetzee: in una ventina di saggi, da Svevo a Musil, da Beckett a Sebald, da Grass a Philip Roth, alcuni dei piú grandi autori del Ventesimo secolo vengono analizzati, e giudicati, da un loro pari.
Sono lavori allo stesso tempo accessibili e illuminanti, in cui lo studioso - Coetzee insegna letteratura all'università e collabora con numerose riviste, tra cui la «New York Review of Books» - e il romanziere si alleano per portare alla luce gli aspetti piú profondi della creazione letteraria. Non solo: raccogliendo le recensioni e gli articoli scritti da Coetzee tra il 2000 e il 2005, Lavori di scavo testimonia l'umiltà con cui l'autore sudafricano si avvicina di volta in volta alle opere dei colleghi del presente e del passato. Ma è soprattutto al servizio del lettore (tanto di quello comune che dello specialista) che Coetzee mette la sua erudizione cosmopolita e la sua sensibilità di scrittore: sono pagine che rifuggono qualsiasi condizionamento o forzatura teorica, capaci di trasmettere la passione per la lettura e la tensione morale che le sostiene.
Osservando in controluce questi profili critici, il lettore piú avvertito non potrà fare a meno di cogliere i temi ricorrenti, verrebbe da dire le ossessioni, che da sempre caratterizzano la narrativa di Coetzee: il rapporto tra l'artista e il suo tempo, la responsabilità etica di chi «prende la parola» attraverso un libro, l'appartenenza a una comunità, l'esilio, il linguaggio come fardello e costante agóne. Ma forse quello che piú di tutto accomuna i suoi romanzi a questa personale rilettura del canone novecentesco è la stessa rigorosa domanda di verità.
In breve
Un libro dedicato al tema della luce, della visione, dello sguardo e del sapere come profonda intimità con la natura in un arco che va da Goethe e Hegel fino a Merleau-Ponty e Calvino per allargarsi al rapporto tra tra natura e cultura, tra luce e scrittura.
Il libro
“Nella periferia dove sono cresciuto, la natura era un materiale da costruzione rapidamente soppesato, raramente utilizzato, e infine abbandonato in uno stato di perpetua provvisorietà. Ci si viveva come se i prati fossero sempre stati parcheggi, come se le collinette fossero sempre state discariche […] Un ordine doveva essere cercato altrove, forse nello spazio della scrittura, che da fuori sembrava angusto e all’interno appariva infinito.”
Il libro è dedicato al tema della luce, della visione e dello sguardo, in un arco che va da Goethe e Hegel fino a Merleau-Ponty e Calvino (gli aspetti “goethiani” di Calvino vengono qui analizzati per la prima volta). Per questa via, il tema si allarga al rapporto tra natura e cultura, tra luce e scrittura, e in senso più ampio al gesto complessivo della “teoria”, che storicamente ed etimologicamente nasce dal “privilegio visivo” che la cultura greca e poi occidentale avrebbero accordato all’esperienza ottica rispetto ad altri possibili registri sensibili. In questa prospettiva, scrivere sul tema della luce non significa dunque dedicarsi a un esercizio di curiosità o di materia erudita: dire luce è dire infatti il “mezzo” in cui il mondo si mostra, la condizione generale di ogni esperienza possibile, il fondamento che da sempre la teoria cerca per le proprie enunciazioni. Attraverso la mediazione della luce questo studio esplora così il problema stesso della conoscenza, dei suoi limiti e della possibilità reale di fare esperienza del mondo.
In breve
A cosa serve la ricerca, perché finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che relazione c’è tra ricerca e insegnamento, come riformare il sistema della ricerca e dell’università, a quali modelli ispirarsi. Due cervelli non in fuga denunciano la drammatica situazione italiana e cosa fare per uscire dalle secche della crisi. Perché su una cosa non c’è dubbio: se ben gestito, il finanziamento alla ricerca non è un costo ma l’investimento più lungimirante che si può fare per il futuro del paese e delle nuove generazioni.
Vai al blog
Indice
Introduzione - 1. Il dibattito su università e ricerca in Italia - 2. Un’università invecchiata - 3. Valutare la ricerca - 4. La ricerca negli enti pubblici - 5. Diagnosi e terapie - Conclusioni - Ringraziamenti
Allarme! Sono i tempi della «grande penuria » energetica! Il petrolio sta per finire. Come sarà la vita senza petrolio? Che cosa rimpiazzerà l’oro nero nei paesi che, come l’Italia, dipendono quasi totalmente dagli idrocarburi?
Serge Enderlin ha attraversato il pianeta – dai campi di mais dell’Iowa alla Cina continentale, passando per il Canada, l’Europa e il Golfo Persico – alla scoperta delle possibili alternative eco-friendly all’uso del petrolio. Ha intervistato produttori di energia in ogni settore, ha registrato i dati più recenti, ha descritto gli effetti collaterali sull’ambiente, ha posto le domande più fastidiose: davvero conviene produrre etanolo dal mais? Esistono i giacimenti fantasma del Polo Nord? Ha senso investire nel nucleare? E perché proprio gli Emirati Arabi sono al primo posto nella ricerca di energia alternativa al petrolio?
Black Out è un reportage che, con precisio - ne e tagliente ironia, frantuma miti e mirag - gi sul futuro dell’energia e mostra i profondi – spesso decisivi – condizionamenti degli interessi politici e delle lobby economiche.
Chi era Artmidoro di Efeso?
Perché si mise in Viaggio?
E cosa ha a che fare
con l’erudito ottocentesco
Costantino Simonidis?
Un’indagine appassionante
su un personaggio
sfuggente e misterioso
che dall’antica Grecia
arriva fino ai giorni nostri
Artemidoro di Efeso, il più grande geografo di età ellenistica, resta un personaggio enigmatico. La sua vastissima opera in ben undici libri è andata perduta, ma le sue tracce sopravvivono, e vanno interrogate. Lo ha fatto Luciano Canfora in questo saggio suggestivo e coinvolgente. Dalla difficile missione diplomatica a Roma al lungo viaggio a Occidente, oltre le Colonne d’Ercole, al ritorno a Oriente: fino alla costa etiopica, ai margini di un mondo nel quale verità e leggenda si mescolano e abbagliano. La dolorosa perdita della prima descrizione del mondo dovuta a questo antico, infaticabile viaggiatore può essere risarcita dallo sconcertante papiro emerso dalle nebbie una quindicina d’anni fa e attribuito in tutta fretta ad Artemidoro? Questo libro risponde al quesito attraverso una grande inchiesta. Ricompone i pezzi del puzzle e approda in ambienti politico-intellettuali europei dell’Ottocento, al centro dei quali si muove, con inquietante disinvoltura, il greco Simonidis, uno dei più grandi falsari del suo tempo. Ed è seguendo le sue tracce che Canfora giunge a svelare la “prova” che pone la parola fine all’affascinante enigma sulla paternità del misterioso papiro.
“Ritrovare” l’autore che non c’è più, riempire un vuoto, è la spinta principale alla creazione del “falso”. Lo raccontammo in un precedente libro (La storia falsa) apparso in questa collana. E fu il secolo XIX, nel campo dei manoscritti, il secolo dei falsi così come il XX lo fu per le opere d’arte. Le stesse, benemerite, raccolte di frammenti di autori perduti erano, in tal senso, quanto mai suggestive.
Ci fu chi si diede a occasionali cimenti e chi invece lo fece con metodo e per “mestiere”.
E ci fu uno che volle riportare in vita i geografi greci che non c’erano più. Artemidoro parve, a quel virtuoso, cui è dedicata la seconda parte di questo libro, un terreno su cui edificare e un modello in cui rispecchiarsi. Egli incominciò presto a frequentarlo immettendo frammenti noti di lui nelle proprie opere. Poi un disegno maggiore prese corpo. E nel fare un Artemidoro egli ricorse ai manoscritti principali dei geografi, di cui era avido cercatore. Da quei manoscritti mutuò persino i simboli che immise nel suo. Alcuni (il Vatopedi 655 del Monte Athos) li aveva anche materialmente saccheggiati.
Perché lo fece? Per porsi nel solco di una tradizione erudita e patriottica della Grecia “oppressa”? Per emulare figure del secolo precedente quali Meletios o Niceforo Theotokis? Per colmare, con uno stravagante para-Artemidoro, un vuoto nella raccolta (canonica per i greci) degli Zosimadai (Vienna 1807) modellata su quella, insuperata, di John Hudson (Oxford 1698), dove per l’appunto il maggiore geografo ellenistico ovviamente mancava?