Descrizioni, esclamazioni, dichiarazioni di intenti. Minacce, insulti, promesse. Appellativi, ordini, maledizioni. Attilio Bolzoni entra nel gergo della mafia, rivelando cosa significano davvero per Cosa Nostra parole come omertà, denaro, dignità, famiglia, affari, religiosità, amicizia. Le regole e i "valori" degli uomini d'onore, patti, ricatti e tradimenti, ascoltati dalla parlata di chi li ha dettati, imposti, vissuti. Un libro in cui ogni pagina di appunti è il volto di un mafioso. O lo specchio del suo modo di vivere. Di un suo "ragionamento". Ogni voce è una lente di ingrandimento con cui si osserva una scena, si segue una vicenda, si comprende un mondo. E dove le parole della mafia, rimaste impigliate tra gli appunti di un cronista, si intrecciano agli sguardi, ai gesti di protagonisti e comparse per comporre un grande e rigoroso romanzo che da voce a mezzo secolo di storia.
Se c'è qualcosa che a noi italiani riesce davvero bene, sicuramente questo qualcosa è l'imperfezione. Essere imperfetti, per noi, è una vocazione, una missione, un diritto continuamente rivendicato, la debolezza della quale non possiamo fare a meno. Lo sa bene Beppe Severgnini che nel corso del tempo ha brillantemente documentato il nostro destino di esseri imperfetti, da una prospettiva, al contempo ironica e malinconica, tagliente e controintuitiva. Questi sono due dei suoi atipici "manuali" aggiungendo un nuovissimo, inedito "Manuale dell'uomo sociale", un vero e proprio "bonus book", una raccolta di istantanee di questo inizio secolo nelle quali Severgnini descrive un'Italia sempre ossessionata dai cellulari, stretta tra stipendi balcanici e prezzi inglesi, tra aperitivi serali e outlet. Tre manuali che sono un unico libro sugli italiani che ragionano, mangiano, viaggiano, giocano, stanno in casa e sempre, in ogni caso, si complicano la vita.
“In nessun altro Paese del mondo una storia come la mia sarebbe mai stata possibile”, ha detto Barack Obama durante il suo famoso discorso di Filadelfia “sulla razza” che Rizzoli offre in edizione con testo a fronte al pubblico italiano. A chi lo aveva accusato di nutrire disprezzo verso i bianchi e a coloro che, al contrario, si opponevano alla candidatura di un afroamericano alla presidenza, ha risposto ammettendo la diffidenza che separa bianchi e neri, ma ha anche raccontato la sua fiducia in un futuro possibile di convivenza e comprensione. A distanza di 150 anni, ha ribadito i principi e le speranze sostenuti da Abraham Lincoln nella famosa conferenza del 1859 con cui avviò il lungo cammino verso l’abolizione della schiavitù. Confrontando i due discorsi, emerge ancora oggi il profondo radicamento della questione razziale, la lentezza dei cambiamenti e la necessità di compiere quella integrazione che tutti auspicano e nessuno, finora, è stato in grado di realizzare.
<br/
"Questo libro ripercorre la mia vita lungo la strada più tortuosa e allo stesso tempo più affascinante. In fondo tutti i medici, più o meno coscientemente e coerentemente, si dedicano a comprendere il male. Io ho semplicemente provato a fare qualcosa di più. Prima da studente, poi da medico, da ricercatore, e ancora da direttore di ospedale e persino da politico, ho scelto di sfidare il male. Perché, per combattere il cancro, non basta affrontare la malattia, bisogna anche scacciarne i fantasmi. Insieme con la patologia, bisogna capire e attaccare i suoi simboli: ciò che si ha paura a nominare, ciò che nasce dentro di noi per distruggerci, ciò che non si può evitare, ciò che non porta redenzione, ciò che non ha un perché. Questo libro non è un altro libro sul cancro. È piuttosto un dibattito sulla percezione del benessere e del dolore attraverso la nostra mente e il nostro corpo." (U. Veronesi).
Ma davvero in Italia c'è un'emergenza legata ai temi della vita? Davvero italiane e italiani si sentono minacciati dal dilagare dell'aborto, dall'abuso della pillola del giorno dopo, dal rischio dell'eugenetica, dall'operato di scienziati senza valori e senza etica? Silvia Ballestra è andata a vedere. Ha visitato ospedali e centri di ricerca. Ha incontrato medici laici e medici cattolici, volontari e obiettori di coscienza. Ha frequentato raduni politici e religiosi. Ha condiviso le paure e le speranze delle donne nelle sale d'attesa dei consultori. Con sensibilità di scrittrice e curiosità di reporter ha raccolto storie e testimonianze preziose, voci di un paese reale lontano mille miglia da un dibattito pubblico troppo spesso ideologico, artificioso, pretestuoso. Da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli centri di provincia, il suo è un viaggio nelle gioie e nei dolori di tutti i giorni. Nei travagli delle coppie e delle coscienze. Nelle scelte difficili che tutti, credenti e non credenti, prima o poi si trovano ad affrontare.
Due uomini di spettacolo, uniti da amicizia e soprattutto dal grande amore per quel palcoscenico che frequentano da anni, seppure da angolature opposte e complementari, si confrontano sul tema del processo creativo dell'attore e del regista. Toni Servillo è una poliedrica figura di artista che pratica forme diverse anche se imparentate di rappresentazione, dal teatro, al cinema, all'opera lirica. Gianfranco Capitta, giornalista e commentatore teatrale, entra nel suo mondo e si spinge a curiosare nell'officina dell'artista, per identificarne gli strumenti e le tecniche, apprezzarne la genialità, comprenderne l'esercizio quotidiano, svelarne grandezze e fatiche. Il libro offre la possibilità rara di visitare quel laboratorio privato che ogni artista possiede e tiene gelosamente per sé. Con la guida preziosa di un interprete e di un regista dalla grande potenza espressiva, il lettore percorre lungo queste pagine l'intera parabola creativa dell'arte dello spettacolo, dal processo artigianale e faticoso della creazione del personaggio fino alla sua espressione conclusiva.
<br/
Cos'è la felicità? È possibile in questo mondo? Come la si raggiunge? A queste domande risponde questa raccolta di riflessioni e poesie in cui Houellebecq delinea un metodo per restare vivi, sopravvivere, colpire là dove si può (e si deve). Col suo solito sguardo feroce, Houellebecq ci racconta la quotidianità e la letteratura, l'incanto del cinema (specie del cinema muto) e la stupidità di certi poeti, senza censurarsi mai. Ne esce un paesaggio in controtendenza con i venti e le maree delle mode, lo spaccato di una quotidianità molto contemporanea e molto urbana, in cui la solitudine trionfa ma in cui comunque non si può rinunciare: non alla ricerca della felicità.
Quando Sylvia Leclercq - psicoterapeuta, atea, scrittrice, palese alter ego di Julia Kristeva - riprende in mano l'opera completa di Teresa d'Avila, inizia un incontro che si rivelerà capace di coinvolgerla e sconvolgerla totalmente e inaspettatamente. Teresa d'Avila, la monaca di clausura vissuta tra il 1515 e il 1582, la riformatrice dell'ordine dei carmelitani, la santa dell'estasi, si rivela agli occhi di Sylvia una donna malata d'amore e di desiderio, al pari dei pazienti in cura sul suo divano. Di pagina in pagina, scopriamo i retroscena psicanalitici dei suoi tormenti e della sua estasi, immortalata dal celebre gruppo marmoreo di Bernini. Sylvia si lascia prendere da Teresa, si fa portare in Spagna, si introduce nelle pieghe della sua scrittura, capace di restituire, dietro l'ostentata umiltà, una rivoluzionaria coscienza di sé e un'inedita capacità di elaborazione del proprio disturbo. La ricostruzione dell'universo mentale e del malessere psicofisico della santa diventa così per Julia Kristeva lo spunto per una profonda riflessione sul nostro attuale bisogno di credere. Teresa aveva riversato nella scrittura la propria esperienza per sublimare il possesso dell'Altro, dell'Amato, incorporandolo dentro di sé, fino a goderne in ogni parte del corpo. Allo stesso modo, Kristeva adotta la forma romanzo per restituire il senso di quell'esperienza, riproponendola come un capolavoro di erotismo, spiritualità, consapevolezza di sé.
Perché piangevo, perché provavo tanto dolore, tanta pietà?
D’improvviso capii.
In quella bara c’ero io, la mia anima, i miei ideali, le mie speranze.
Era la mia morte quella che piangevo. Ero stato ucciso ma non volevo morire.
A parlare si può correre qualche rischio.
A volte, però, a stare zitti si rischia molto di più.
L'11 novembre 2007, poco dopo le nove del mattino, lungo l'Autostrada del Sole, il ventiseienne Gabriele Sandri viene ucciso da un colpo d'arma da fuoco esploso da Luigi Spaccarotella, agente della polizia stradale. Dopo un paio d'ore si diffonde la notizia della morte e i mass media si scatenano per coprire mediaticamente l'evento ed è un susseguirsi di dirette Tv, dibattiti, edizioni speciali dei TG e tavole rotonde. Il mondo del calcio, quello della politica e delle istituzioni entrano nel caos. Si parla di emergenza sociale: ovunque scoppiano focolai di rivolta, scontri, arresti, feriti, assalti alle caserme. Un giovane tifoso è stato ucciso, ma i media non chiariscono, né come, né per mano di chi.
A partire dai primi anni settanta, Norberto Bobbio è stato per Danilo Zolo un importante punto di riferimento intellettuale e morale, la cui lezione di pensatore al tempo stesso rigoroso e appassionato, attento alle vicende della vita politica e testimone esemplare di impegno civile, ha lasciato in lui una traccia profonda. Con Bobbio, Zolo ha condiviso il fastidio per la pedanteria degli accademici, per la loro pigra indifferenza di fronte alle tragedie del mondo, nonché lo "stile di pensiero" sobrio, austero e indipendente, che riflette quelli che Bobbio aveva chiamato "i frutti più sani della tradizione intellettuale europea": l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose. Il confronto critico con la figura e l'eredità intellettuale di Bobbio emerge in questo volume ancor più vivo e attuale grazie alla selezione delle lettere ricevute dal maestro torinese nel corso di oltre un ventennio, qui presentate con un ampio corredo di note esplicative che ne ricostruiscono i contesti storici e culturali.