La seconda guerra mondiale è un incubo che tuttora si staglia al centro dell'età contemporanea: in quanto confutazione totale di ogni nozione di progresso umano e in quanto conflitto la cui eredità ancora ci perseguita a settant'anni di distanza. Il libro di Norman Stone, che si propone di narrare la guerra nel modo più sintetico possibile, rende incredibilmente nuova una vicenda che nei suoi lineamenti fondamentali è familiare ai più. Grazie al ritmo di una scrittura capace di catturare l'attenzione, ci si sente di fronte allo svolgersi incalzante di una storia terribile. Quello di Stone è un tentativo di trasmettere quel che risulta molto difficile comunicare: il senso di un conflitto epocale quale emerge dalla ricostruzione dei fatti, degli atti e delle scelte dei protagonisti.
Perché nell'Italia repubblicana la sinistra non ha - se non rarissimamente espresso una premiership di governo? Perché è apparsa, rispetto a quanto avveniva in altri contesti europei, "figlia di un dio minore"? Mille sono le ragioni del fallimento, prima di tutto culturale, di una famiglia politica, che pure è stata oggetto di ammirazione, negli anni sessanta e settanta, da parte dei progressisti di altri paesi. In questo libro Marco Gervasoni fornisce un'interpretazione storica basata su quello che ritiene un fattore fondamentale per la débâcle della sinistra italiana: il peso abnorme esercitato dal comunismo, unito alla scarsa volontà, prima, e all'incapacità poi, dei socialisti di controbattere a questa egemonia. Da sempre viva, per ragioni sistemiche e ideologiche, la competizione tra le due sinistre, Psi e Pci, si inasprì davanti alla sfida culturale rappresentata da Bettino Craxi a cui il Pci reagì trasformando il segretario socialista nel principale dei propri nemici. Così, se per Craxi Enrico Berlinguer era un politico refrattario alla modernità; per il segretario Pci, il leader socialista era un "bandito politico". Due personalità carismatiche opposte tra loro tanto da far intravedere due Italie: irrimediabilmente in crisi (economica, morale e politica) quella di Berlinguer; dinamica e aperta al mercato e ai consumi, quella di Craxi.
8 settembre 1943: giorno della scelta e inizio del riscatto? Oppure fine di una stagione e "morte della patria"? Dopo la firma dell'armistizio di Cassibile - Mussolini è ancora prigioniero sul Gran Sasso - il re e Badoglio fuggono verso Pescara, l'Italia continua a essere in guerra ma non si sa bene contro chi. Il paese è allo sbando. I partiti, ridotti alla clandestinità durante il Ventennio, si riorganizzano attorno al Cln (Comitato di liberazione nazionale). E i partigiani danno vita ai primi nuclei della Resistenza. Si lotta per cacciare il tedesco occupante, per abbattere la monarchia di Vittorio Emanuele III e istituire la democrazia. Per decenni abbiamo guardato a quel periodo come al retroterra ideale, etico e storico della cultura antifascista della nazione. Ma una simile ricostruzione, mescolando celebrazione e rimozione, ha davvero raccontato i fatti per come si sono svolti? Oppure ha finito per alimentare una "vulgata" che ha resistito per anni sia alle crepe del tempo, sia alle domande scomode che gli studiosi hanno cominciato a porsi? Con un libro provocatorio sin dal titolo, Gianni Oliva racconta un altro 8 settembre: il giorno del silenzio, silenzio della morale, della ragione, della volontà. Ricostruendo gli eventi drammatici del 1943-45 che "sconvolsero" l'Italia, Oliva racconta di un'atmosfera antieroica, dove l'elemento dominante fu in larga misura quello dell'attesa, "eterna psicologia italiana che aspetta dagli stranieri la salvezza" scriverà Piero Calamandrei.
"Hitler è il portavoce di un gruppo di intellettuali formatosi nella dimestichezza con la cultura occulta": questa la tesi dirompente che da vent'anni Giorgio Galli oppone all'idea che il nazismo sia stata solo la follia sanguinaria di un megalomane. Analizzando elementi a lungo trascurati dagli storici, l'autore evidenzia come proprio il legame con gli ambienti esoterici permetta di spiegare il percorso di Hitler, dalla sua ascesa appoggiata da influenti personaggi di circoli esoterici austriaci e tedeschi alla scelta di dare avvio a una folle guerra contro l'intera Europa, fino alle ultime disperate mosse prima della caduta. L'indagine di Galli, che ha saputo mettere in evidenza aspetti sconosciuti della storia del Novecento, si spinge fino alle radici intellettuali del movimento nazista e racconta di un'Europa inquietante: massona, esoterica, irrazionale. E di come il Führer seppe trasformarla nel proprio dominio.
Scritto a caldo nel 1944 e tenuto nel cassetto per quarant'anni, "25 luglio" è il memoriale in cui il principale artefice del pronunciamento del Gran Consiglio che determinò la caduta di Mussolini racconta distesamente la propria versione dei fatti. Solo nel 1983 Grandi si decise a renderlo pubblico: e fu un evento. Era infatti l'ultimo rilevante tassello che ancora mancava per la ricostruzione di quel momento cruciale. Il testo è preceduto da una corposa introduzione di Renzo De Felice e da una premessa in cui Giuseppe Parlato sottolinea la perdurante importanza del documento e fa il bilancio della sua ricezione e dello stato ultimo delle conoscenze sul 25 luglio.
Si parla e si scrive molto di guerre, di eccidi e di violenze. È il racconto del sangue versato. Ma non saremmo qui se qualcuno non avesse lavorato per risparmiare il sangue. Persone e gruppi, come quei soldati della Grande Guerra che concordavano tregue fra le trincee opposte. Popoli che misero in salvo i loro concittadini ebrei o che nascosero e protessero migliaia di militari sbandati e di prigionieri di guerra. Diplomazie e governi che hanno tramato la pace, non sempre la guerra. Senza Mandela e Tutu non ci sarebbe stata una transizione pacifica in Sudafrica, senza King un così forte movimento per i diritti civili, senza il Dalai Lama una nonviolenza tibetana, senza Ibrahim Rugova una kosovara e, soprattutto, una nonviolenza tout court senza Gandhi. "La conta dei salvati" è dedicato a queste storie. Storie molto diverse per le caratteristiche e per l'attenzione storica e mediatica che hanno ottenuto (o non ottenuto). Tutte mostrano due verità. La prima: il sangue può essere risparmiato anche da chi non ha potere, o ha un potere minimo. La seconda: se è importante raccontare una guerra, ancora più importante è descrivere come un conflitto non è deflagrato. Per capire come si può fare, e con che mezzi.
Il grande slancio e i sogni generati dal miracolo economico ci hanno fatto credere che una crescita indefinita avrebbe permesso di garantire senza aggravi fiscali i diritti sociali ed economici. In realtà, dagli anni settanta in poi l'Italia ha pagato benessere e diritti anche ipotecando il proprio futuro. Secondo la stringente interpretazione proposta in questo volume, fenomeni come l'industria di stato, il crollo delle nascite, il Servizio sanitario nazionale hanno avuto un peso maggiore di quello del terrorismo o del compromesso storico nelle vicende di un paese che ha scelto di rinviare finché possibile il faccia a faccia con il declino demografico, il ristagno e ora la decrescita, la perdita di posizioni dell'Occidente. Appendice statistica a cura di Carlo d'Ippoliti.
Carlo Azeglio Ciampi per quasi quindici anni ha ricoperto diversi ambiti di responsabilità istituzionale: prima capo del governo, poi ministro del Tesoro, infine presidente della Repubblica. È possibile e forse utile provare a ragionare sul significato delle due decadi che abbiamo alle spalle e sul filo rosso della traiettoria di Ciampi all'interno del mare tempestoso che ha attraversato. Il volume nasce dalla ricerca di nuovi percorsi partendo da una selezione di temi emersi dai colloqui tra l'autore e il presidente Ciampi e dallo spoglio delle sue agende sulle quali era solito annotare appuntamenti, impegni, impressioni, talvolta commenti e giudizi. Dalla crisi finanziaria del 1992 alla caduta della prima Repubblica, da Tangentopoli alla 'discesa' in campo di Berlusconi, dall'ingresso dell'Italia nell'euro alla recente crisi economica e istituzionale: un contributo alla storia della Repubblica nel quindicennio compreso tra lo scorcio finale del Novecento e l'inizio del nuovo secolo. Ne emerge uno spaccato significativo, un punto di vista che permette di seguire alcuni snodi cruciali della transizione italiana: una griglia di interrogativi che si spingono fino a noi, alle inquietudini di un presente incerto e imprevedibile. Un'ipotesi interpretativa, uno sguardo che vuole anche essere uno stimolo per non disperdere un patrimonio prezioso di idee e di speranze.
Italia figlia benedetta della Provvidenza, o piuttosto Italia incorreggibile pecora nera del Vecchio Continente? Da quando è nata tra alti clamori sconvolgendo l'equilibrio geopolitico europeo - la più giovane delle grandi nazioni occidentali è una fucina di ambizioni e frustrazioni, slanci e sconfitte. "Fin dal principio, la nazione italiana è stata difficile da definire e ancora più difficile da costruire; e malgrado gli sforzi di poeti, scrittori, artisti, pubblicisti, rivoluzionari, soldati e politici di vario colore, la fede nell'ideale dell'Italia non ha avuto lo sviluppo auspicato da tanti patrioti. È d'altronde possibile che l'insistenza con cui il progetto di "fare gli italiani" è stato perseguito fino alla seconda guerra mondiale abbia finito col risultare controproducente, contribuendo a erodere la credenza nei valori nazionali collettivi. Al principio del nuovo millennio, l'Italia continua ad apparire un'idea troppo malcerta e contestata per poter fornire il nucleo emotivo di una nazione, o almeno di una nazione in pace con se stessa e capace di guardare con fiducia al futuro." Christopher Duggan ricostruisce oltre due secoli di storia italiana, dalla deludente invasione napoleonica di fine Settecento ai nostri giorni.
“Esco nella strada che brucia! Intorno a me, tutto è in fiamme. Il ghetto è un mare di fuoco. È spaventoso. Nessuno sa dove scappare. Il muro del ghetto è completamente circondato, nessuno può entrare o andar via. I vestiti ci bruciano addosso. Il fumo ci soffoca. Molti, quasi tutti, invocano Dio. Muto come una sfinge, Dio non risponde. E voi, popoli della Terra, perché tacete, non vedete che ci stanno uccidendo? Perché non dite niente?” Così termina il diario ritrovato di una giovane testimone di uno degli episodi più atroci della Seconda guerra mondiale: l’annientamento del ghetto di Varsavia.
È l’aprile del 1943 quando Himmler incarica il generale delle SS Jürgen Stroop di radere al suolo il quartiere e di sterminare i ribelli che pochi mesi prima avevano osato insorgere contro la furia nazista. La stessa sorte toccherà a tutti gli abitanti superstiti. Tra loro c’è un bambino che, immortalato con le mani alzate e il volto impaurito, diventerà l’immagine simbolo dell’Olocausto.
Ma chi è? Che ne è stato di lui? È riuscito a salvarsi? Per rispondere a queste domande, Dan Porat ricostruisce le vicende di quel giorno e della distruzione del ghetto di Varsavia. Lo fa ripercorrendo più di sessant’anni di storia in un libro che intreccia le vite di quel bambino, di una giovane ebrea attiva nella resistenza e di tre soldati SS; un libro in cui assieme alla narrazione viva e partecipata di quel dramma scorrono le fotografie selezionate da Stroop per documentare la “Grosse Aktion” nazista, e altre inedite scovate dall’autore in anni di ricerche: volti e gesti di uomini e donne comuni che il caso destinò a essere vittime o carnefici.
Alla fine degli anni Ottanta la dissoluzione del mondo comunista ha completamente ridisegnato lo scenario politico globale: è finito l'equilibrio bipolare della guerra fredda, nuovi protagonisti sono venuti avanti, nuove zone di tensione sono emerse, il sistema internazionale stenta a ritrovare un equilibrio e anzi oggi riceve i duri colpi della crisi. Il volume ricapitola con chiarezza i due ultimi decenni di politica internazionale: dalle eredità della guerra fredda alla vittoria dell'Occidente con l'implosione dell'Europa comunista, dal difficile unilateralismo americano all'espansione del radicalismo islamico, dal cammino dell'unione europea all'emergere della Cina come grande potenza, cha fa prevedere un ventunesimo secolo posto oramai sotto il segno dell'Asia.
In che cosa credettero gli italiani che così numerosi assicurarono il loro consenso al fascismo? Per trovare una risposta, più che le prese di posizione degli intellettuali di regime e della classe politica dominante serve studiare il "senso comune" dei militanti, degli uomini di secondo piano, della folla solitaria del fascismo. È quanto ha fatto Zunino in questo studio che, immergendosi in una sterminata produzione fatta di giornali di provincia, riviste, libri dimenticati, riporta in luce il complesso di idee, spesso contraddittorie, che convissero nel fascismo: le immagini della libertà e della dittatura; dell'America e dell'Unione Sovietica; della donna, della famiglia, dei giovani; della stirpe, della ruralità; del duce e dei capi; della guerra e della pace. Una grammatica mentale che rivela le motivazioni, gli interessi, le paure, le illusioni che resero possibile il consenso al regime.