Le sentenze parlano chiaro: un ambiente politico largamente inquinato, settori della società civile degradati, amministratori fortemente collusi, esercenti condizionati, una presenza accentuata di malavitosi. In questo contesto la parrocchia palermitana di Brancaccio era diventata una nicchia di legalità mal sopportata dalla mafia. In quel contesto padre Pino Puglisi si era trovato a vivere. Qui aveva portato la sua chiesa in prima linea nella promozione umana, ma il suo impegno ha sfidato la mafia, che non ha esitato a ucciderlo barbaramente.
Se un tempo i suoi affiliati andavano a dorso di mulo, rubavano polli e vacche, e l'unica risorsa di cui disponevano era la violenza, oggi la 'ndrangheta è l'organizzazione criminale più ricca e più potente al mondo, con un fatturato annuo di diverse decine di miliardi di euro, in gran parte provenienti dal traffico internazionale di cocaina. Grazie alla sua enorme capacità di stringere relazioni con il potere, si è infatti radicata in quasi tutti i continenti e ha assunto una dimensione «globale», in un singolare connubio di tradizione e adattabilità, forza d'urto e mediazione, logiche tribali e cointeressenze politico-finanziarie. Ma è anche, incredibilmente, l'organizzazione mafiosa meno conosciuta, tanto che non molti anni fa, prima della strage di Duisburg in Germania (2007), era ancora considerata una versione casereccia e «stracciona» di Cosa nostra. Eppure la 'ndrangheta ha una storia antica, che affonda le radici nella Calabria ottocentesca e nei suoi difficili, talora drammatici rapporti con il nuovo Stato italiano, ha attraversato indenne due guerre mondiali, il fascismo e la liberazione, grazie anche alle colpevoli omissioni e sottovalutazioni della classe dirigente e della magistratura, e si è sviluppata e rafforzata, cambiando pelle e diversificando la propria attività criminale, nella Prima e nella Seconda Repubblica, grazie alla debolezza della politica, delle istituzioni e dell'economia che con essa hanno scelto di convivere. Spazzando via molti luoghi comuni e alla luce di una ricca mole di documenti e carte processuali, Nicola Gratteri, un magistrato che da trent'anni è in prima linea nella lotta contro la mafia calabrese, e Antonio Nicaso, scrittore e docente universitario che da trent'anni anni la studia e la analizza in ogni suo aspetto, ricostruiscono in dettaglio tutte le fasi evolutive della 'ndrangheta e raccontano come, lungo un'ininterrotta e feroce sequenza di delitti e omicidi, di violenze e sopraffazione, si è trasformata da cosca regionale eversiva e parassitaria in sistema di potere e di governo del territorio, che sta infiltrando e inquinando pericolosamente la politica e l'economia nazionale e internazionale. Con questo libro che è, insieme, un grido d'allarme e una dichiarazione di guerra, Gratteri e Nicaso intendono farci capire quanto necessario sia combattere con ogni mezzo questo «mostruoso animale giurassico che non si estingue, perché sono ancora in tanti a proteggerlo, a tutelarlo e a legittimarlo», e spezzare quell'oscuro grumo di potere che continua ad alimentarlo.
Prefazione di Otello Lupacchini
La 'ndrangheta è un "elemento costitutivo della società calabrese"; le famiglie di 'ndrangheta sono cellule della società e, come tali, respirano la stessa aria. Sono cellule malate, però, che si nutrono della parte sana della collettività, dissanguandola. La forza della 'ndrangheta sta nell'omertà, nella capacità di impedire che si parli della crudeltà e della prepotenza che la costrddistinguono. Il silenzio, a volte determinato dalla paura, altre volte dalla indifferenza o, ancora, dalla vicinanza, ne ha consentito diffusione e consolidamento anche al di fuori dei confini nazionali. È la forza della parola, il coraggio di denunciare, che potrà distruggerla. Le parole fanno paura, ecco perché un capo, Pantaleone Mancuso, atterrito, perde il controllo, nel corso di una udienza in cui è imputato e urla al suo Pubblico Ministero: «Fai silenzio, fai silenzio, fai silenzio ca parrasti assai, hai capito ca parrasti assai, fai silenzio ca parrasti assai.» Espressione dello stato d'animo di un boss che comprende che il muro che ha costruito per la protezione sua e della sua famiglia sta per essere infranto dal coraggio di chi usa la parola.
«Quando le violenze (delle mafie) divennero omicidi e stragi [...] ci si avvide che l'identità criminale [...] usurpava volto e funzioni di una contro società [...]; il contrasto condotto fino all'omicidio, come nel caso del parroco don Pino Puglisi, rivelava un giudizio antagonistico contro la fede cristiana» (dalla prefazione). L'Autore che è anche postulatore della causa di canonizzazione di don Puglisi, connette diverse discipline (diritto civile, penale e canonico, teologia sistematica, morale), con l'invito a leggere la Chiesa come popolo peregrinante, che vive nel mondo per annunciare il Vangelo e lottare contro il mysterium iniquitatis. Inoltre, ricostruisce l'inconciliabilità tra mafia e Vangelo, soffermandosi sulla scomunica e sul suo significato pedagogico e medicinale. Le strategie sociali e pastorali di contrasto alla zizzania mafiosa vanno radicate nel martirio di Puglisi e nelle parole di papa Francesco: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!».
Un racconto accompagnato da decine di fotografi e inedite, un passo verso il cuore del sacerdote che perse la vita per offrire una speranza alla gente di Brancaccio. La sera del 15 settembre 1993 padre Pino Puglisi, parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, fu ucciso dai killer della mafia. Perché si volle colpire quel sacerdote mite ma deciso, affezionato alla sua gente e mai disponibile a deviare dalla strada del Vangelo? Chi era questo martire che nel 2013 è stato elevato agli onori degli altari e proclamato Beato da papa Francesco? In questo libro, e per la prima volta, i familiari di padre Pino ne tracciano un ritratto sorprendente che parte dalla giovinezza, dalla vocazione, dall'impegno con i ragazzi. Ma anche dal rapporto con la madre e i fratelli, dalla delicata funzione di supporto ai nipoti. In queste pagine la partecipazione alle cause sociali, i primi scontri con la violenza e le faide, si accostano alle feste e agli scherzi in famiglia. E ancora: il rapporto dialettico con le istituzioni, la fondazione del Centro di Accoglienza Padre Nostro e la fi ne violenta, sono riletti accanto agli ultimi giorni trascorsi meditando nella casa del fratello. Riga dopo riga riscopriamo padre Pino Puglisi, guardandolo da una prospettiva che non era ancora stata raccontata.
Nell’estate inquieta del 1988, la mattina del 14 settembre, viene ucciso a Trapani il giudice Alberto Giacomelli, che da più di un anno ha lasciato la toga per andare in pensione. È, a tutti gli effetti, un delitto “senza”: senza clamore, senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni. Un delitto senza memoria, inghiottito da depistaggi, omertà, ignoranza e, sullo sfondo, l’ombra cupa di Totò Riina.
Giacomelli era presidente delle misure di prevenzione del Tribunale, un uomo defilato, silenzioso, sobrio. Uno che dietro il sipario decideva i destini economici di quei “galantuomini” e che aveva messo la firma su un patrimonio che, per volontà e in nome del popolo italiano, non doveva più appartenere alla mafia. Lontana dalle attenzioni dei cronisti e dalle luci degli studi televisivi, la storia di Giacomelli viene ora riconsegnata alla memoria grazie ai ricordi di chi lo ha conosciuto.
Per un boss la famiglia conta più dei soldi e del potere. Perché mogli, figli, nipoti garantiscono la continuità dell'impero. La 'ndrangheta - la mafia più potente e ramificata al mondo - fonda la sua forza sui vincoli di sangue. È molto più di un semplice fenomeno criminale: è una cultura intrisa di violenza e di morte che si tramanda di generazione in generazione. Come le madrasse dello Stato Islamico indottrinano migliaia di adolescenti per trasformarli in martiri di Allah, così le 'ndrine allevano i bambini e li formano per un futuro da padrini. Oggi però ammaestrare la prole con le leggi non scritte del crimine ha delle conseguenze irreversibili: l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare. È questo il nuovo fronte della lotta alle cosche. Una guerra senza esclusione di colpi, che si combatte dall'ufficio di frontiera del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria. Dal 2012 sono quasi 50 i giovani strappati dai padrini. Questo è il racconto delle loro vite: un viaggio-inchiesta (con documenti e interviste esclusive) nell'abisso di famiglie falcidiate da un distorto senso dell'onore. Storie di figli che rinnegano i padri, e di madri coraggiose che hanno scelto di abbandonare al proprio destino i mariti fedeli solo alla legge del clan.
15 settembre 1993: nel quartiere Brancaccio, a Palermo, don Pino Puglisi viene ucciso da due sicari mentre sta rientrando a casa. È il giorno del suo 56° compleanno. "Predicava troppo" e la mafia decise di farlo stare zitto. Oggi, a venticinque anni dal suo assassinio e a cinque dalla sua beatificazione come primo martire della criminalità organizzata, le parole del "sacerdote con il sorriso" sono ancora vive e attuali. Questo libro, opera di chi l'ha conosciuto e amato, raccoglie con dedizione i suoi scritti e i suoi insegnamenti. E ce lo restituisce nella sua fede e nel suo impegno civile, mai disgiunti, perché "non ha senso riempirsi la bocca di belle frasi se poi alle parole non seguono i fatti". Riflessioni "catturate" nei numerosi incontri con i ragazzi e i fedeli. Documenti (pochi), testimonianze (molte) del suo operato: da quelle dei suoi assassini - poi pentiti - ai riconoscimenti dei vertici della Chiesa sino a Papa Francesco; ma soprattutto i racconti delle donne e degli uomini comuni che gli sono stati accanto nel suo coraggioso percorso di vita e di fede. Dal Vangelo come "manuale" di libertà e di liberazione dalla mafia alla lotta contro le ingiustizie, al carisma di educatore dei giovani e di profeta della legalità: per la prima volta in un unico volume tutto il pensiero di don Puglisi è offerto e commentato. Uno strumento di riflessione per i credenti che vogliono raccoglierne la preziosa eredità e una testimonianza indispensabile anche per i laici, per comprendere un importante pezzo di storia della nostra Italia bella e terribile.
Le agende di Giovanni Falcone entrarono e uscirono velocemente nella vicenda della strage di Capaci. A distanza di molti anni, dopo processi, depistaggi, falsi testimoni, morti sospette, e diversi interrogativi irrisolti, questo libro recupera materiali rivelatori che sono stati trascurati nelle inchieste della magistratura e che invece aiutano a capire che cosa è successo quel 23 maggio 1992. E perché. Le agende personali fanno paura: quella di Borsellino è scomparsa e quelle di Falcone, esaminate dai periti Gioacchino Genchi e Luciano Petrini (morto troppo presto), nonostante strane interruzioni, pongono domande decisive: sugli incontri del giudice con funzionari russi per indagare sui finanziamenti clandestini del Pcus; su come sia stato possibile che la mafia sapesse il giorno e la data del suo viaggio a Palermo; sul suo misterioso viaggio a Washington; su dove sia stato tra il 28 aprile e il primo maggio prima dell'attentato; e molte altre ancora. In questa meticolosa inchiesta, l'autore mette in relazione fatti, testimonianze, appunti personali, e traccia un quadro inedito che apre nuovi scenari sulla morte del giudice, dimostrando come essa vada inserita all'interno di una più generale strategia di destabilizzazione che ha interessato il nostro paese alla fine della Prima repubblica. Con un'intervista inedita all'avvocato Salvatore Petronio che difese Salvatore Biondino, l'uomo considerato il trait d'union tra Riina e il commando.
Domenica 6 gennaio 1980. Un giovane dagli occhi di ghiaccio s’avvicina all’auto della famiglia Mattarella ed esplode alcuni colpi d’arma da fuoco verso il guidatore. La moglie, seduta accanto al leader democristiano, assiste pietrificata. Piersanti Mattarella muore dopo un’inutile corsa all’ospedale.Chi è il killer? La vedova Mattarella lo ha visto bene in faccia e indica una somiglianza: per lei è Valerio Fioravanti, appartenente ai Nuclei armati rivoluzionari, frangia dell’estrema destra extraparlamentare. Falcone imbocca la pista nera e nel 1991 chiede il rinvio a giudizio per Fioravanti e Gilberto Cavallini. L’indagine scava nell’attività politica del Presidente della Regione e nell’opera di moralizzazione da lui intrapresa in Sicilia: una svolta che aveva dato fastidio a molti. Ma al processo a pagare con l’ergastolo sono solo i mafiosi della cupola di Cosa nostra, e nessuno dei killer verrà mai più individuato.Piersanti Mattarella, fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica, era intenzionato a proporre nell’isola l’alleanza Dc-Pci, la stessa linea indicata da Aldo Moro. La direttrice politica dei due esponenti democristiani si interseca anche nel tragico epilogo: entrambi gli omicidi restano tutt’oggi segnati da troppe ombre.Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “riaprono” il caso Mattarella, proponendo documenti d’archivio e nuove rivelazioni, partendo dalle indagini avviate dal giudice Giovanni Falcone, ucciso nel 1992 nella strage di Capaci; analizzando il ruolo della P2 e dell’eversione “nera”, passando dalle lotte intestine al vertice di Cosa nostra fino alle manovre ambigue di don Vito Ciancimino; vagliando l’ipotesi che Mattarella, proprio come Moro, sia caduto in una trappola di ispirazione atlantica scattata per impedire in Italia “aperture” politiche incompatibili con gli equilibri internazionali.
Pippo Fava era un giornalista a caccia di notizie. Un giornalista che aveva un «concetto etico» del suo lavoro. Un cronista coraggioso, se è vero che il suo omicidio è stato preceduto da numerose minacce, che però non sono mai riuscite a condizionare la sua attività. Eppure Fava non aveva la vocazione dell'eroe. Quando, giornalista e scrittore all'apice della fama, decide di tornare in Sicilia per raccontare la sua Catania, la semplice scelta di fare con passione il proprio mestiere diventa una sfida eroica, lanciata contro il sistema di potere mafioso che governa la città. Massimo Gamba racconta questa sfida, portata avanti prima con l'esperienza del Giornale del Sud e poi con quella de I Siciliani, rivista senza soldi e senza padroni, che fin dal primo numero esprime una forza di denuncia travolgente e diventa in poco tempo un insuperato esempio di giornalismo antimafia. Pippo Fava pagherà con la vita, e il potere criminale cercherà di ucciderlo una seconda volta, seminando sospetti, calunnie e menzogne sulla sua morte. Troverà giustizia solo dieci anni dopo, quando l'antieroe che amava la vita e odiava Cosa nostra si sarà trasformato, suo malgrado, in un eroe. Le pagine di questo libro ricostruiscono gli ultimi anni della sua vita, raccontando la lotta, titanica e disperata, in nome della libertà di stampa, unica arma che, ieri come oggi, può cambiare la realtà.
La confessione dolente di un killer spietato, segnato da un passato incancellabile ma aperto a un futuro possibile, per amore della moglie e del figlio. Il racconto dell’autore attraversa le tappe più significative e – purtroppo – violente della sua vita, per poi rivolgersi alla sua rinascita. Una testimonianza sofferta che è anche un invito a non dare mai un giudizio definitivo sulla storia delle persone, ma a lasciare una possibilità di riscatto, consapevoli che l’animo umano è insondabile e la coscienza è il sacrario dove avviene il misterioso incontro tra Dio e l’uomo.