Un giovane suona il pianoforte in mezzo a una strada bombardata. Suona per i suoi vicini, soprattutto per i bambini, per distrarli dalle atrocità della guerra: un’immagine che ha fatto il giro del mondo diventando un simbolo della catastrofe in Siria, ma anche dell’inestinguibile volontà dell’uomo di opporsi in ogni modo alla distruzione. Il suono di quello strumento ha raggiunto e commosso milioni di persone nel mondo su YouTube. Ora Aeham Ahmad racconta la propria storia: l’infanzia in una Siria ancora in pace, l’inizio delle rivolte preludio di una guerra terribile, la fuga per la stessa via battuta da migliaia di disperati. Un lungo e pericoloso viaggio via terra, la drammatica traversata del Mediterraneo, le insidie della rotta balcanica. Fino alla nuova vita in Germania, dove ha realizzato il suo sogno di artista e si esibisce nelle più importanti sale concerti, ma è costretto a vivere lontano dalla sua famiglia rimasta in Siria. Allora come oggi, è la musica che gli ha salvato la vita a dargli conforto e infondergli coraggio.
La storia vera, raccontata in prima persona, di un pianista che ha sfidato le bombe e i terroristi in nome della sua musica, un caso mondiale, una commovente testimonianza di resistenza e fede nell’arte.
Aeham Ahmad, nato nel 1988 a Damasco, appartiene alla minoranza palestinese in Siria e ha vissuto nel campo rifugiati di Yarmouk con la sua famiglia. Ha iniziato a studiare il piano a 5 anni e ha continuato gli studi a Damasco e a Homs. Nel 2015 ha dovuto lasciare il suo paese e si è trasferito in Germania. Oggi vive con la sua famiglia a Wiesbaden e tiene numerosi concerti nel mondo. Nel dicembre 2015 ha ricevuto l’International Beethoven Prize for Human Rights.
Fino a ieri le buone notizie non erano notizie. Erano brevi di cronaca. Stampa minore. Odoravano di vecchio. I giornalisti guardavano altrove. Rincorrevano procure, questure, preture, mascalzoni, predoni, corrotti, truffatori, manipolatori, speculatori. Perché la stampa deve denunciare, stimolare, far riflettere. È il suo dovere: gli orrori non si possono ignorare. Però quante storie dimenticate, quanto distacco dal mondo della gente comune. L'Italia non è solo quella delle vite sbagliate. È piena di piccoli eroi della normalità, di esempi imitabili, di uomini e donne straordinari che non hanno storia perché nessuno li racconta. Dal premio «Buone Notizie», ai nuovi blog, all'inserto settimanale del «Corriere della Sera» arriva l'invito a guardare anche dall'altra parte: quella del bene che fa notizia. C'è un esercito di persone che combatte ogni giorno una battaglia di civiltà e si impegna per far fare un passo avanti a chi è rimasto indietro. Sono storie di accoglienza, generosità, rinascita, resistenza e coraggio. Storie che parlano di sognatori capaci di inventare il futuro, per sé e per gli altri, di costruire dal nulla progetti destinati a durare. L'imprenditore che apre un ristorante solidale; il medico che restituisce ai bambini non solo la salute, ma anche il sorriso; la ragazza che dopo gli studi diventa contadina, per far rivivere la sua campagna; il prete che trova il lavoro ai ragazzi del rione Sanità a Napoli; il lavoratore licenziato che rimette in piedi l'azienda. Alcuni di loro hanno fatto notizia. Altri meno. Insieme rappresentano un antidoto al pessimismo che ci perseguita. Sono l'Italia di un nuovo racconto giornalistico. L'Italia delle good news.
L'infanzia di Dori e quella di «Bicio», che mostra come la storia sia sempre stata una sola, anche quando loro non si conoscevano. Il primo incontro, a un premio musicale vinto da entrambi, durante il quale non smettevano di guardarsi. La nascita della figlia Luvi e la quotidianità campestre in Gallura. I mesi del sequestro, in cui a sostenerli fu proprio quel legame «fermo, limpido e accecante» che sarebbe continuato oltre il tempo. Un tempo sempre scandito dalla magia degli incontri: da Marco Ferreri a Lucio Battisti, da Cesare Zavattini a Fernanda Pivano. Tra bambine che chiacchierano con Arturo Toscanini e bambini che bevono cognac sotto i bombardamenti. Tra cuccioli di tigre allevati in salotto e un viaggio in nave con un toro limousine. Scritto assieme agli sceneggiatori di Principe libero, il film tv sul cantautore, Lui, io, noi è una storia privata che s'intreccia con quella pubblica di chi, da sessant'anni, ascolta De André. Soprattutto è il racconto intimo, commovente, a tratti perfino buffo, di un grande amore.
Brunhilde Pomsel fu vicina come pochi altri suoi contemporanei a uno dei più grandi criminali della storia: Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda di Hitler. Sempre al suo fianco, sempre ai suoi ordini come segretaria e dattilografa. Brunhilde non si interessava di politica. Per lei venivano prima il lavoro, la sicurezza materiale, il senso del dovere nei confronti dei superiori, il bisogno di sentirsi parte di un sistema. Poco dopo l'ascesa di Adolf Hitler, si iscrive al Partito nazionalsocialista per assicurarsi un posto alla radio. Nel 1942 si trasferisce al ministero per l'Istruzione pubblica e la Propaganda ritrovandosi così accanto all'ufficio di Goebbels e nel centro nevralgico del potere nazista. Vi rimane fino alla capitolazione, nel maggio del 1945. Durante gli ultimi giorni di guerra, quando le truppe sovietiche sono già a Berlino, anziché cogliere l'occasione per fuggire resta nel bunker a battere a macchina i comunicati. Poi, per settant'anni, non racconterà niente a nessuno. Dal cuore di Berlino, l'autrice dipinge un ritratto inconsapevole, eppure inquietantissimo, della Germania prima, durante e dopo il Reich, raccontando una realtà sconcertante che mostra quanto l'indifferenza e la disillusione possano influenzare la democrazia. «Prima che la storia si ripeta» scrive Thore D. Hansen «individuare le analogie tra passato e presente ci offre l'opportunità di calibrare con cura la nostra bussola morale, in modo da renderci conto quando sia giunto il momento di schierarci, di alzarci e di opporci apertamente alla radicalizzazione. Con quanta superficialità prendiamo in considerazione i nostri criteri morali di valutazione? Per quali fini primitivi, immediati, banali e superficiali o per quali successi apparenti siamo pronti a sacrificare la nostra coscienza? Sono domande alle quali la storia di Brunhilde Pomsel non può e non potrà mai dare una risposta universalmente valida. Solo la disponibilità a riflettere di ciascuno di noi potrà produrla.»
Una storia importante alle spalle, il trasferimento a Milano, il lavoro tanto desiderato in una delle radio più seguite d'Italia: quello che dovrebbe essere un punto di arrivo per Frank si rivela in realtà una battuta d'arresto. Avverte, confusamente, che qualcosa non va, che gli obiettivi raggiunti non lo definiscono, anzi lo fanno sentire ancora più smarrito. Qual è allora la sua strada? Per capirlo decide d'impulso di ripercorrere il cammino che è diventato il simbolo stesso di chi cerca la propria autenticità: lo Stampede Trail in Alaska, su cui Chris McCandless, indimenticabile protagonista di "Into the Wild", si allontanò dalla società rifiutando le lusinghe di un futuro dorato ma estraneo. Attrezzatura tecnica, spray antiorso, viveri e molte domande: solo questo vorrebbe portare con sé Frank, per attraversare il fiume Teklanika, ultimo confine fra la civiltà e le terre selvagge, e raggiungere il famoso bus 142. Ma il bello di un viaggio è che ti porta sempre dove non ti aspetti. Così la sua spedizione, che doveva essere in solitaria, si rivela densa di incontri con avventurieri, studenti, un compagno fidato e, finalmente, con se stesso. In questo libro, corredato di foto, Frank racconta la sua avventura e il suo omaggio: fra ghiacci e imprevisti, non trova risposte, ma il proprio ruolo sì. È un underdog, quelli su cui nessuno scommette, sempre in gioco e pronto a ripartire, perché è lì, lontano da tutti, che le cose migliori accadono.
Ha viaggiato nel corpo umano, nella preistoria, nel passato e nel futuro, e ogni volta ci ha portati con sé. Con questo libro, Piero Angela ci accompagna in un viaggio diverso, attraverso due secoli e molti continenti, in mezzo a mille peripezie, incontri, scoperte e avventure: la sua vita. Il principe della divulgazione televisiva, l'autore di decine di bestseller che hanno svelato a tre generazioni di italiani la bellezza della scienza, stavolta ha scritto un'opera differente: «Non è un libro di divulgazione scientifica, ma un racconto personale dedicato al pubblico che da tanti anni mi segue nel mio lavoro, spesso con vero affetto ... Il libro racconta le mie esperienze di lavoro, il "dietro le quinte" di oltre mezzo secolo di televisione ... Ma per la prima volta rispondo anche a certe domande che spesso mi vengono rivolte in occasione di incontri o conferenze, e che riguardano la mia vita, la mia formazione, gli inizi in RAI , il pianoforte, persino la mia infanzia». Nel libro ci sono decine di aneddoti e di incontri che ne fanno una lettura godibilissima. Ma c'è soprattutto un grande insegnamento: la passione di sapere e la voglia di scoprire possono portare molto lontano nella vita, e fare di chiunque una persona speciale.
In occasione del centenario della nascita, la straordinaria storia della vita di Nelson Mandela. L’uomo che ha lottato contro l’ingiustizia e contro il razzismo, diventando un esempio morale per il suo paese e per il mondo intero. Un gigante della Storia che ha combattuto per tutta la vita per ciò in cui credeva e che ha affrontato con dignità molti anni di carcere, pur di tener fede ai suoi ideali di libertà, di uguaglianza, di giustizia e di pace.
Dopo settant’anni il nome di Aldo Gastaldi (Genova 17 settembre 1921 – Desenzano del Garda 21 maggio 1945) continua a risuonare nella memoria di chi ha preso parte alla lotta di liberazione.
Sottotenente del 15° Reggimento Genio, a pochi giorni dall’armistizio sale in montagna e nel giro di pochi mesi, con il nome di “Bisagno”, diventa il comandante più amato della Resistenza in Liguria.
Gastaldi interpreta il ruolo non come potere, ma come servizio: è il primo a esporsi ai pericoli e l’ultimo a mangiare, riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti. Si conquista così l’amore e la stima degli uomini e delle popolazioni contadine, senza il cui sostegno la lotta partigiana sarebbe stata impossibile.
Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, si oppone con decisione a ogni tentativo di politicizzazione della Resistenza. È ricordato come “primo partigiano d’Italia”. La sua statura umana e cristiana ha segnato la vita di molti compagni.
“Datemi un milione di voti e toglietemi un atomo di verità e io sarò perdente.”
Che cosa ha perso l’Italia con la morte di Moro. Perché i fatti tragici del 1978 spiegano il nostro presente. E il nostro futuro.
Giorgio Agamben è uno dei maggiori filosofi viventi. Il suo pensiero è studiato in tutto il mondo. La sua opera si costituisce di incontri ripetuti e profondi con i problemi e i protagonisti della filosofia occidentale. Da Aristotele a Leibniz, da Carl Schmitt a Walter Benjamin, da Heidegger a Foucault, le voci più autorevoli della storia del pensiero occidentale sono presenti in un confronto serrato sui temi della filosofia del linguaggio e della rappresentazione, della storia e della temporalità, della forza della legge e della biopolitica.
Riccardo Panattoni ha deciso di avventurarsi nell’orizzonte di senso di Giorgio Agamben e per ripercorrere i suoi scritti si lascia guidare dal filo rosso della clandestinità. La clandestinità appartiene alla natura della nostra vita. Caratterizza l’esperienza e si manifesta nella nostra incapacità di appropriarci del nostro corpo, come nei disturbi della parola e della gestualità. È testimoniata dal concetto di inconscio, che irrompe per deludere ogni illusione di integrità di un qualche Io, di un’identità personale.
Panattoni si mette sulle tracce del grande filosofo italiano e costruisce una guida rigorosa e appassionante attraverso le sue parole.
“L’incommensurabile clandestinità a cui soggiace la nostra vita privata, presa in tutti i suoi risvolti, anche quelli più ridicoli, sembra presentare un passaggio essenziale per cogliere il legame costitutivo che persiste tra la politica e la vita.”
La storia di Nellie Bly, pioniera di una figura mai esistita prima: una donna indipendente, artefice del proprio destino, una giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
«Ti hanno preso per pazza quando hanno letto il biglietto in cui dicevi "Me ne vado a New York". Ti hanno preso per pazza anche qui, in questa città, quando ti sei proposta al "World" di Pulitzer come reporter. Ora da sola, in un mondo tutto al maschile, devi arrivare fino in fondo a questa storia»
Settembre 1887: una ragazza bussa alla porta di John Cockerill, direttore del "New York World" di Joseph Pulitzer. Chiede di essere assunta come reporter. Nessuna donna aveva mai osato tanto. Il suo nome è Elizabeth Cochran, ha ventitré anni, ma già da tre scrive per un quotidiano di Pittsburgh firmandosi Nellie Bly. Una donna reporter non si è mai vista, ma la sua idea di un'inchiesta sotto copertura a Blackwell Island, manicomio femminile di New York, convince Cockerill e Pulitzer ad accettare la sfida. Ne nasce un reportage che farà la storia del giornalismo. Da qui, in un crescendo di popolarità e sotto mille travestimenti, Nellie racconterà l'America agli americani. Diventerà l'incubo di politici e benpensanti, viaggerà in tutto il mondo, vivrà amori e fallimenti. Mentre i grattacieli, i treni, il telegrafo e poi la guerra trasformano la realtà, Nellie Bly si trova a essere pioniera di una figura mai esistita prima: la donna indipendente, artefice del proprio destino, la giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
Frutto di un decennio di ricerche, il libro ricostruisce per la prima volta integralmente l’itinerario biografico e intellettuale del filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin (1909-1997) e svela, grazie anche a fonti inedite, l’importanza che vi ebbero gli eventi e i confronti con alcune tra le maggiori personalità del Novecento: da Weizmann a Ben-Gurion, da Churchill a Thatcher, da T.S. Eliot a Wittgenstein. Emergono così l’attenzione verso la dimensione dell’appartenenza e l’impegno sionista, la critica ai nazionalismi aggressivi e l’interesse per il pluralismo culturale, che rendono ancora attuale la proposta filosofica berliniana. La rilettura finale delle riflessioni di Berlin sul liberalismo e sul pluralismo fa dell’opera una rigorosa, ma accessibile, introduzione al suo pensiero.