Un merito universalmente riconosciuto a Vittorio Sgarbi è la sua capacità, il suo talento nel raccontare sia con la scrittura sia verbalmente, la storia dell'arte. Passando da racconti di vita personale a chiacchierate con studenti, a citazioni di Leopardi, Dickinson, Dante e molti altri fino a lezioni su opere d'arte note e meno note, Sgarbi vuole qui rendere omaggio ai due maestri della scrittura d'arte che sono stati i riferimenti principali della sua storia di critico.
Giudicare il museo è più facile che comprenderlo. Poche istituzioni sono state valutate in modo così contraddittorio: tempio o cimitero dell'arte, luogo della meraviglia o deposito polveroso, microcosmo o disordine organizzato, casa dei sogni collettivi o dimora dell'incoerenza, laboratorio o supermarket della cultura. Ma che cos'è veramente il museo? Questo libro cerca di svelarne l'identità, raccontarne la storia, spiegarne il funzionamento e prevederne il futuro. È una guida generale al museo, ma anche un invito a riflettere sui molti dilemmi che rendono oggi il suo equilibrio così delicato.
È la mostra longhiana del 1951 su Caravaggio e i caravaggeschi a dare la spinta iniziale alla ricerca di André Berne-Joffroy pubblicata nel 1959 come "Dossier Caravage. Psychologie des attributions et psychologie de l'art". Analizzando la grande letteratura critica artefice della "resurrezione" di Caravaggio (Kallab, Venturi, Voss e Longhi), Berne-Joffroy conduce il lettore all'avventurosa scoperta del vero Michelangelo Merisi, dipanando una sorta di romanzo psicologico. Dopo quasi cinquant'anni questo Dossier, amatissimo da Longhi, è ancora fondamentale per chi vuole entrare nella tortuosa storia della fortuna critica del più grande precursore dell'arte moderna.
Da Van Gogh a Picasso, da David a Boccioni, da De Pisis a Clemente: Alberto Boatto ripercorre la storia dell'autoritratto dall'inizio del moderno fino al suo tramonto. Il volume, qui proposto in una nuova edizione arricchita di nuovi profili e nuove immagini, è suddiviso in due parti: nella prima l'autore risponde alla domanda "che cos'è un autoritratto?"; nella seconda presenta circa novanta autoritratti, commentandoli e interpretandoli.
In questo libro l'autore analizza quella particolare tipologia di ritratti (e di autoritratti) che sembra derivare direttamente dalle icone bizantine e, prima ancora, dai ritratti di el-Faiyùm: immagini dipinte di volti o di busti ritratti frontalmente che, quasi sempre, fissano lo spettatore e nei quali gli occhi sono protagonisti assoluti. La selezione ha inizio con la ritrattistica tardoromana orientale, non tanto perché fu questa l'epoca in cui venne scoperta l'individualità, ma piuttosto perché i primi ritratti pittorici giunti fino a noi rimontano alle vestigia del mondo romano, all'epoca in cui le religioni misteriche orientali iniziarono a conquistare adepti.
Questo saggio di Paul Vulliaud è un'interpretazione di carattere esoterico di due quadri di Leonardo, il Bacco e il Giovanni Battista, con lo scopo di rintracciarvi un messaggio "neoplatonico" ed un riferimento alla mitologia tradizionale e ai suoi "misteri". L'autore si basa esclusivamente sul simbolismo pittorico, e ciò può apparire in contrasto con l'imposizione essenzialmente "scientifica" dei suoi studi e delle sue ricerche. Ma Vulliaud è convinto che questo grande uomo, dopo essere stato assorbito dai suoi progetti di ingegneria e dalle sue esperienze di saggio, abbia chiesto all'arte un mezzo per esprimere le sue idee mistiche. Recenti studi hanno portato molte prove a sostegno di tale tesi, corroborando le affermazioni del Vulliaud. L'incongruenza è quindi soltanto apparente, dal momento che il lato tecnico ed esteriore dell'opera evidentemente non incideva sulle idee, la filosofia e la "visione del mondo" intime di Leonardo. La sua opera è simbolica, o almeno il simbolo è il segno sensibile per mezzo del quale l'artista ha espresso il suo pensiero; e se noi decifriamo questo simbolo, tutto il mistero si dissolverà. A Leonardo, genio universale va dunque la gloria di avere riunito in una sintesi ineguagliabile il "vero" e il "bello", realizzando una grandiosa armonia tra verità morale e verità artistica. E se i pittori mistici hanno fatto discendere il cielo in terra, è giusto dire che Leonardo ha innalzato l'elemento umano sublimandolo nel divino.
All'inferno, ma ancora al lavoro, giudici, mercanti, notai, artigiani, continuano con i propri ferri del mestiere gli inganni esercitati in vita. È uno dei tratti più sorprendenti del Giudizio Universale della chiesa della SS. Annunziata a Sant'Agata de' Goti. Con la guida di un sapiente saggio di Chiara Frugoni, un percorso a più voci, per immagini e parole, alla scoperta degli affreschi di grande godibilità e freschezza dell'intera chiesa.
Questo libro, pubblicato da Gillo Dorfles oltre mezzo secolo fa, costituisce il compendio decisivo dell'originale concezione estetico-antropologica coltivata dall'autore in un periodo in cui ben altri erano gli orientamenti degli studi italiani sulle arti. Rivolgendosi agli aspetti tecnici dei singoli linguaggi artistici, Dorfles assume una posizione in netto contrasto con l'idealismo crociano, ancora dominante nell'immediato dopoguerra. Lontano da qualsiasi interesse per "l'ineffabile", lo studioso triestino indirizza la sua riflessione alle specificità tecniche e linguistiche delle varie arti, sebbene propenso a situarle in una prospettiva complessa al centro della quale vi sono il concetto di formatività e le costanti formative che ne dipendono.
Nella storia, anche nella nostra storia o in quella delle donne e degli uomini, esistono momenti in cui ci si sente proiettati al di là di tutto, in una terra di esilio in cui pare sgretolarsi ogni parola, e dunque la possibilità di comunicare agli altri il senso di un'esperienza che si avverte come estrema. Questo libro cerca, nelle pieghe di alcuni grandi testi letterari e artistici, di esplorare i tentativi di andare oltre questo indicibile e di darne testimonianza. Attraverso brevi capitoli, che hanno la cadenza e la struttura di un'indagine e di una narrazione, possiamo seguire il viaggio lungo i confini e dentro le terre d'esilio di Kafka e Proust, Beckett e Simenon, Coppola e Lucien Freud, Baudelaire e Flaubert, Kertész e Melville.
Il 16 novembre 1817 Goethe realizzò uno scritto sul Cenacolo di Leonardo da Vinci partendo da uno studio di Giuseppe Bossi, considerato il primo serio tentativo di analisi tecnica ed estetica del dipinto, nonché un potente stimolo al consapevole riconoscimento dell'unicità di quell'opera leonardiana. Pur rimanendo debitore alla sua "guida" italiana, Goethe non interpretò però il Cenacolo alla luce della sensibilità indagatrice e "antiquaria" dell'età neoclassica, ma innalzando il capolavoro a icona del genio universale con un coinvolgimento emotivo e un'enfasi retorica ormai decisamente romantici.