I1 2024 è un anno degasperiano perché ricorda 70 anni dalla scomparsa del grande statista Alcide De Gasperi, cui tanto l'Italia post-fascista deve.
Fra i molti scritti in sua commemorazione che sono apparsi, il libro a firma di Leonardo Brancaccio che il lettore ha per le mani si distingue per una esplicita missione, quella di offrire una ricostruzione della figura e delle opere di De Gasperi capace di parlare ai giovani di impegno, responsabilità, valori, tolleranza€ spirito di unione, visione di lungo periodo, dimensioni quanto mai necessarie per affrontare molti problemi attuali.
(Dalla prefazione di Vera Negri Zamagni)
A 70 anni dalla sua morte, forse non abbiamo bisogno di un nuovo De Gasperi e non ci è nemmeno chiesto di essere noi i nuovi De Gasperi. Ci è chiesto di vivere il nostro tempo con la libertà e con la responsabilità che abbiamo incontrato nelle pagine della sua biografia, scegliendo con consapevolezza e onestà, cercando di stare in equilibrio tra passato e futuro.
(Dalla postfazione di Marco Odorizzi)
Ogni passo dei Vangeli è un'avventura dei sensi. Gesù si lascia ungere con oli profumati, mescola il fango con la sua saliva, chiede di essere gustosi come il sale, offre la sua stessa carne da mangiare. Ogni episodio della sua storia apre a interpretazioni controverse. E i primi a fraintenderlo sono proprio i discepoli. Dopo aver raccontato con taglio cinematografico movimenti, discorsi e percorsi del «personaggio» Gesù, Antonio Spadaro torna a confrontarsi con i testi evangelici e ne intraprende una lettura nuova e sorprendente. Attraverso lenti squisitamente letterarie, dà vita a un universo di suoni e odori, sensazioni tattili e immagini, che parlano delle sfumature dell'esistenza umana e del pericolo della libertà. Il Maestro non è un replicante divino paracadutato sulla terra per farsi portavoce dell'Eterno. Pretende di essere veramente Dio e pienamente uomo. Ma non basta la carne per essere umani: è necessaria la libertà. Da queste pagine Gesù sfonda la «quarta parete», si volta verso i lettori e chiede loro: «E voi chi dite che io sia?». Prefazione di Liliana Cavani.
La religione degli ebrei, le forme che essa ha assunto nelle diverse epoche, la sua cosmologia, i suoi aspetti culturali, sociali, politici, il suo versante "magico" e quello "filosofico", le sue radici lontane e la sua attualità: una ricostruzione rigorosa e affascinante di una storia e di una cultura che costituiscono uno dei pilastri sui quali si fonda la nostra civiltà.
In questo libro che fu già un best seller alla sua prima uscita nel 1989 (e fu poi genialmente ritoccato) Enzo Mandruzzato ci offre una «grammatica» da leggere e per leggere e che finisce con l'appassionare. Così il latino trova il suo spazio, lingua tra le lingue, e ci propone una sfida allettante: forse lo si può imparare senza sforzo, anzi con piacere.
«Il Vangelo è una sceneggiatura. Il racconto infrange sempre le regole perché contiene le sbavature della vita: gli eccessi e le depressioni, le frustrazioni e i desideri.» Per parlare di Gesù oggi, con un linguaggio nuovo, Antonio Spadaro spoglia la lettura dei testi sacri da orpelli e apparati e traccia un percorso che, inquadratura dopo inquadratura, permette di entrare in un mondo diverso. Seguendo una tradizione che risale a Ignazio di Loyola, secondo cui il modo migliore per meditare non è riflettere sulle parole ma chiudere gli occhi e ricostruire la scena in cui i personaggi agiscono, il racconto si fa immersivo e cinematografico. Nel succedersi dei ritratti e dei paesaggi emergono i rapporti tra le figure, i contrasti, i particolari sfuggiti nell'agire di un protagonista che spiazza e ribalta ogni situazione con i suoi gesti e discorsi. «Così - scrive papa Francesco nella prefazione - la storia di Gesù entra nella nostra. La guardiamo alla luce della nostra vita, vediamo i volti, le vicende, i personaggi... Possiamo immaginare persino noi stessi entrare nella storia di Gesù, vedere lui, i suoi luoghi, i suoi movimenti, ascoltare le parole dalla sua viva voce... La storia di Gesù si sposa con quella degli uomini e delle donne, risveglia e potenzia le energie nascoste, la passione per la verità e per la giustizia, i barlumi di pienezza che l'amore ha prodotto nel nostro cammino, ma anche la capacità di affrontare il fallimento e il dolore, per esorcizzare i demoni dell'amarezza e del risentimento.»
La storia dell'alimentazione diventa in queste pagine una storia sociale, culturale ed economica dell'antica Roma. Jacques André sviscera ogni ingrediente di questo argomento di assoluta importanza per comprendere la vita quotidiana nell'antichità e le radici della cucina e dell'agricoltura italiane fino ai giorni nostri. Nulla è trascurato: gli elementi botanici, le tecniche di coltura e lavorazione, le tradizioni e le mode, il rapporto tra cibo e classi sociali, i riferimenti ai grandi autori e ai legislatori, gli aspetti economici della produzione alimentare e, soprattutto, i dettagli accurati di una gastronomia elaborata, ricca e fantasiosa. Ogni informazione è suffragata da un ricco corredo di note bibliografiche, anch'esse componente fondamentale di questo libro erudito e curioso, divenuto ormai un classico per gli appassionati di storia romana e di storia dell'alimentazione.
«Molto è stato scritto e continuerà di certo ad essere scritto intorno alla vicenda umana e al contributo scientifico di Aldo Moro. Ciò non deve sorprendere, perché siamo di fronte ad una figura davvero privilegiata di maestro insigne e di esemplare leader politico. Il tema centrale dell'opera che ora viene portata all'attenzione del lettore è una ricostruzione razionale del pensiero dello statista pugliese in ambito sia politico sia filosofico-giuridico. Duplice l'intento perseguito. Per un verso, rinverdire la memoria del Moro uomo politico, riattualizzandone il messaggio. Per l'altro verso, riportare in superficie la specificità dell'apporto scientifico di Moro alla teoria del diritto. In questo lavoro di ricostruzione, Brancaccio fa propria la celebre tesi di Wittgenstein secondo cui le idee, al pari delle parole, sono anche azioni, per significare che la ricerca teorica deve sempre avere una qualche rilevanza pratica; deve non solo illuminare, ma anche guidare» (dalla prefazione di Stefano Zamagni). Postfazione di Gero Grassi.
Joseph Campbell è stato uno degli studiosi che hanno rivoluzionato l'approccio alla mitologia. Nelle sue opere ha infatti dimostrato come i racconti mitologici - indipendentemente dall'ambito culturale in cui hanno origine - attingano temi, personaggi e storie dallo stesso ancestrale retroterra. Questo significa che nella letteratura, nei riti e nei simboli, elaborati dalle varie tradizioni per rispondere alla necessità di comprendere il mistero dell'esistenza, finiamo per scoprire sempre noi stessi. Tat tvam asi, «quello sei tu», è appunto l'intuizione spirituale fondamentale di tutta la vita e l'opera di Campbell. Nei saggi raccolti in questo volume, l'attenzione dello studioso si concentra sulla tradizione spirituale giudaico-cristiana, sulla simbologia che ricorre nei suoi miti e rituali, sulla metafora quale strumento di narrazione e trasfigurazione, spesso fraintesa e considerata un mero riferimento a un presunto evento storico. Si vedrà per esempio come attraverso il mito dell'Immacolata Concezione (che non è solo cattolico) non si tramandi un fatto, ma piuttosto si alluda a una condizione spirituale. Anche la Terra Promessa non è un luogo geografico, bensì dell'anima. L'ambito mitologico è stato oggetto di incomprensioni e pregiudizi, al punto che, per alcuni, il mito si riduce a una bugia. Campbell ci mostra invece come le sue declinazioni nelle diverse culture rispondano in modo univoco al profondo ed essenziale bisogno umano di comprendere i grandi misteri della nostra presenza nell'universo.
"Il metodo" è l'ultima opera teorica di Sergej M. Ejzenstejn, lasciata incompiuta alla sua morte (1948). In queste pagine il regista riattraversa molti dei temi della sua riflessione, allo scopo di sciogliere i nodi teorici di una ricerca che accompagna costantemente la pratica artistica, da quella teatrale a quella cinematografica, senza dimenticare il disegno. Il risultato è un lavoro concepito per chiarire in via definitiva «il problema fondamentale» dell'arte: quello che, nella fattispecie, contiene il segreto del suo funzionamento o, per essere più precisi, della sua «efficacia». La messa a punto di un vero e proprio «metodo» consente a Ejzenstejn di svelare i meccanismi che regolano la vita di un'opera d'arte, dal momento in cui viene ideata fino a quello in cui entra in relazione con il suo spettatore. La tesi che si delinea è tanto chiara, quanto radicale: la forma di pensiero attivata dall'arte e dai suoi prodotti corrisponde, per struttura e funzionamento, a quella del pensiero primitivo. Il «metodo» di cui stiamo parlando diviene così uno strumento prezioso per scrivere, a partire dalla comprensione di una singola opera, non solo una più generale storia delle arti, ma anche una storia naturale delle forme viventi.
Il mito dell'Albero Sacro posto al centro dell'Eden risale ai primordi dell'umanità: è la suggestiva ipotesi di Mircea Eliade, tra i più grandi studiosi di storia delle religioni del XX secolo. L'Albero Sacro consentiva all'uomo di ascendere al cielo, stabilire un colloquio diretto con Dio, arrivare alla comprensione metafisica della realtà. Poi, con la perdita dell'innocenza, venne il giorno dell'esilio dall'Eden. Le grandi mitologie del passato hanno una radice comune: la nostalgia per il paradiso primordiale, sede della felicità e dell'immortalità. Ma qual è oggi la funzione del mito? Con la desacralizzazione della vita e del creato, l'uomo contemporaneo ha "rimosso" il simbolo nelle zone oscure della psiche, cioè nel sogno, nelle fantasie, nelle memorie ancestrali. Mircea Eliade procede in questo studio a un raffronto tra il variegato, trasparente e interpersonale spazio delle religioni e l'opaca e limitativa sfera dell'inconscio individuale. In questo ormai classico studio, l'autore interpreta in modo nuovo e anticonvenzionale i riti della madre terra, i sacrifici umani, i misteri orfici, i poteri degli sciamani, la mistica indiana, le pratiche dei monaci buddhisti, i valori delle Scritture ebraiche e cristiane, per approdare alle odierne dinamiche dell'immaginario. Mimetizzato sotto varie forme, il mito vive ancora, la nostalgia del paradiso è sempre presente e molte idee apparentemente nuove non sono che un prolungamento del pensiero arcaico.
«Oggi l’uomo medio è sempre più preda di un generale sentimento di assenza di significato»: è questa la constatazione da cui prende le mosse la logoterapia, la corrente della psicoterapia fondata da Viktor E. Frankl (dove lógos, appunto, è da intendersi nell’accezione greca di «senso»). Negli scritti e nelle conversazioni col giornalista Franz Kreuzer qui raccolti, lo psichiatra austriaco, partendo dalle proprie esperienze di vita – comprese quelle nei lager nazisti –, ci parla della volontà di significato che anima l’essere umano e di come la logoterapia aspiri proprio a stimolare la nostra capacità di colmare quel vuoto esistenziale che è causa, spesso misconosciuta, di disagi e nevrosi.
Con il progressivo sgretolarsi dei valori tradizionali, lo smarrimento e la frustrazione dovuti alla mancanza di senso possono colpire ciascuno di noi; secondo Frankl, la volontà di trovare un significato non solo in ciò che si fa (al lavoro o a casa), ma anche in ciò che si sperimenta (amore, arte) e in ciò che si soffre (malattie e conflitti) ci permette di realizzarci e migliorarci come persone.
Solo così, di fronte alle innumerevoli domande che la vita ci pone, giungeremo «alla consapevolezza dell’essere-responsabile, che è appunto un tratto essenziale dell’esistenza umana».
La storia dei Romanov è un'opera dedicata alla dinastia che ha regnato sull'Impero russo per tre secoli, dal 1613 al 1917. L'inchiesta, accompagnata da numerosi viaggi in Russia, tiene conto di scoperte e studi recenti, a volte ricchi di rimesse in causa o, al contrario, di revisioni, talvolta addirittura di riabilitazioni. Si tratta di capire in quale ambiente la storia dell'antica Russia sia oggi raccontata, spiegata, compresa, in un Paese che non cessa a tutt'oggi di volgere sguardi nostalgici al suo passato imperiale, troppo a lungo celato dall'oblio dell'ideologia e della propaganda. Il libro è un'ottima occasione di recuperare una memoria storica senza le imposture e la disinformazione seguite alla Rivoluzione, alla guerra civile e al totalitarismo. Da Pietro il Grande a Nicola II scorre vivace nella narrazione dell'autore la successione dei sovrani di Russia, che dominarono il più vasto Paese del mondo. Il destino dei Romanov, una famiglia riabilitata dalla storiografia, è descritto in un percorso orientato a seguire la costruzione della Russia imperiale e del suo ruolo nella storia mondiale. Pietro il Grande, Nicola II, Caterina la Grande e Alessandro II: sono i più celebri regnanti, i volti più noti di una dinastia che testimonia le complessità della storia russa e che trova nelle pagine di questo libro una collocazione in grado di mettere in luce tragedie e fasti nell'arco di tre secoli.
La storia è ricca di singole maestà, ma gli Asburgo sono l'emblema della maestà dinastica. Partire dalla proprietà di un piccolo castello svizzero fino a diventare dominatori del mondo, sopravvivere dieci secoli riuscendo a prolungare il feudalesimo fino ai giorni nostri è stata davvero un'avventura straordinaria. Essere non solo una famiglia a capo di un Paese ma il rappresentante di un aggregato di nazioni, essere a capo di mezza Europa e di gran parte dell'America, portare una corona ancora più pesante di quella dell'Impero britannico e, nello stesso tempo, passeggiare tranquillamente al Prater con un ombrello sotto il braccio è uno spettacolo a cui mai più avremo la fortuna di assistere. Spesso, ma sempre a torto, l'influenza degli Asburgo è stata ridotta alla sola Austria che noi conosciamo. Nel corso dei secoli invece all'Austria delle origini si sono aggiunti altri Stati europei di cui gli Asburgo, facendo leva sull'antica estensione del Sacro Romano Impero, sono diventati guida o di cui hanno raccolto l'eredità più o meno contestata e per un tempo più o meno lungo: la Toscana, la Lombardia, il Veneto, i Paesi Bassi ecc. Fino al 1918 la sovranità degli Asburgo si estendeva sulla totalità o su una parte di tredici stati attuali: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ucraina, Romania, Ungheria, Serbia, Croazia, Bosnia, Montenegro, Slovenia e Italia. Questa è la cornice in cui torna alla luce la storia degli Asburgo.
Diversamente da altri centri italiani Firenze, incarnazione della città "libera" e centro di fioritura della cultura e delle arti rinascimentali, non si mise mai nelle mani di un condottiero, finendo invece in quelle di una famiglia di semplici cittadini. A lungo nell'oscurità, sufficientemente abili per sopravvivere alle convulsioni di una città in preda a pericolosi disordini, i Medici unirono il loro destino a quello di Firenze, esercitando il potere con raffinatezza e violenza. Conflitti tra fazioni, corruzione, tumulti, assassinii, sentenze d'esilio politico e manipolazione del popolo: sono alcune dinamiche politiche nella Firenze medicea, tratteggiate con sapienza e rigore dall'autore, che ricostruisce una società complessa e affascinante, muovendo dal Duecento per giungere sino alla fine del XV secolo.
Quando Verdi conseguì il primo importante successo col "Nabucco", il genere di melodramma che s'era imposto era di origine francese, pur se fondato in prevalenza da italiani: il Grand-Opéra. La creazione di tale modello si deve ai sommi Cherubini, Spontini, Rossini; esso viene raccolto da Auber, Meyerbeer, Halévy, Donizetti. Ma Verdi ha una personalità di ferro. Pur influenzato dai predecessori, adotta il modello quale cornice esterna e lo riempie di contenuti stilistici, drammatici e psicologici soltanto suoi. Poi addirittura lo rovescia. Al tipico, al «caratteristico» e al diversivo sostituisce la sintesi, il nesso e la velocità drammatici. Al carattere stereotipo dei personaggi contrappone la irreproducibilità e la ricerca del Vero drammatico: non imitato bensì trasceso per mezzo dell'arte: la sua formula è «inventare il Vero». In ciò la sua creazione è coerente per decennî. Il suo successo lo fece quasi subito desiderare dall'Opéra di Parigi. Il maestro si concesse di rado a partire dal 1847, ma in francese sono alcuni dei suoi capolavori. Questo libro parte dai rapporti di Verdi con l'Opera francese, la cultura, l'ambiente e la società francesi, per tentare di fare del compositore un ritratto generale, estetico e anche politico: e di molti capolavori in qualche modo connessi con la Francia, a partire dalla "Traviata", fa una distesa narrazione e interpretazione.
Che cosa sono le potenze dell'anima? A questa domanda che suonò alquanto peregrina nell'atmosfera tumultuosa degli anni intorno al 1968 Elémire Zolla, allora quarantaduenne e al suo quarto libro del ciclo di critica sociale, si cimentò a rispondere per un'esigenza anzitutto personale: esplorare le falde del mondo interiore, lo si chiami anima, psiche, coscienza, sé, intelletto o spirito e lì dentro, nel groviglio di un sentire comunemente tormentato e diviso, cogliere la radice dell'infelicità, del disincanto, dell'indifferenza dell'uomo contemporaneo, anche però una via all'emancipazione, al risveglio di energie salutari esplorate nelle tradizioni del pensiero profondo in Oriente e Occidente. Nella Parte prima Zolla scruta la 'prigione' di un'esistenza del tutto esteriorizzata e appiattita, con enorme anticipo sulle avvenute dipendenze dalle tecnologie digitali; ricostruisce le antiche e dimenticate terapie della malattia psichica, dal dionisismo all'incubazione onirica, all'eros sublimato nella poesia stilnovistica. Scandaglia la topografia dell'interiorità nella raggiera di metafore che a essa alludono giacché «quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna obbedire alle leggi dell'analogia»: il vento, l'ombra, il custode, il soffio, il nagual. Nella Parte seconda Zolla ricostruisce la tassonomia delle facoltà dell'uomo interiore nei repertori delle antiche civiltà, dall'Egitto a Israele, al Tibet, all'India, alla Cina taoista, ai mondi greco, romano e cristiano. Un libro antesignano, come i tanti di Zolla sul contrasto insanabile tra i 'poteri' dominanti secondo la logica mondana e le 'potenze' interiori ribelli alla sottomissione.
"La terra promessa" è l'ultimo romanzo di Erich Maria Remarque, l'opera a cui lavorò fino alla sua morte, avvenuta nel 1970, e che non ebbe perciò il tempo di terminare. Come tuttavia scrive Maurizio Serra nello scritto che accompagna questa edizione, «l'incompiutezza di quest'opera ne illumina la tormentata grandezza». Romanzo di formazione, alla stregua del "Wilhelm Meister" di Goethe che Remarque aveva sempre sul tavolino, il libro narra dell'esilio di Ludwig Sommer dalla Germania nazista e del suo impossibile approdo, negli Stati Uniti, all'autentica terra promessa. A New York, mentre i suoi compagni d'emigrazione, gli Emigranten rifugiatisi nel fatiscente hotel Rausch, sono preda di ripicche, delazioni e ambizioni frustrate, Sommer diventa un ricco e stimato mercante d'arte, capace di conquistare il cuore di Maria Fiola, un'enigmatica giovane donna dall'«eleganza severa, quasi pericolosa». La trasformazione, però, è soltanto esteriore. In quella città senza passato, fatta di pietra, cemento e asfalto, dove dall'alto non si scorgono passanti, ma soltanto semafori e file d'automobili, la vita dell'esule Sommer scorre come in un sogno in cui tutto ciò che accade, persino l'amore, è accolto sotto lo stigma dell'estraneità. Basta però una visita a Yorkville, il quartiere tedesco sull'Ottantaseiesima Strada, in compagnia di Maria Fiola, perché l'atmosfera quieta, quel miscuglio di tradizione, asettica cordialità e acritica obbedienza ridestino in Sommer il ricordo crudele del passato, dei campi di concentramento in cui i gerani fiorivano davanti alle baracche della morte e la domenica l'orchestra suonava mentre i deportati venivano frustati a sangue o impiccati lentamente. E allora riaffiora nella sua mente il pensiero che lo tormenta dalla fuga dalla Germania, l'idea che niente possa andare avanti, niente possa realmente accadere finché gli assassini non abbiano pagato con la vita gli orrendi crimini commessi. Come tutti gli eroi di Remarque, anche Ludwig Sommer si trascina così dietro «un conto da regolare con il male» (Maurizio Serra).
Diversamente da altri centri italiani Firenze, incarnazione della città "libera" e centro di fioritura della cultura e delle arti rinascimentali, non si mise mai nelle mani di un condottiero, finendo invece in quelle di una famiglia di semplici cittadini. A lungo nell'oscurità, sufficientemente abili per sopravvivere alle convulsioni di una città in preda a pericolosi disordini, i Medici unirono il loro destino a quello di Firenze, esercitando il potere con raffinatezza e violenza. Conflitti tra fazioni, corruzione, tumulti, assassinii, sentenze d'esilio politico e manipolazione del popolo: sono alcune dinamiche politiche nella Firenze medicea, tratteggiate con sapienza e rigore dall'autore, che ricostruisce una società complessa e affascinante, muovendo dal Duecento per giungere sino alla fine del XV secolo.
Anno 166 della nostra era: primi nella storia, alcuni cittadini romani entravano in Cina dopo un lungo viaggio per mare dall'impero dell'Occidente alle coste annamite dove sbarcarono. Avevano percorso l'Egitto, attraversato il mare Eritreo, erano approdati in India da dove si erano diretti verso la penisola malese, avevano costeggiato l'Indocina per gettare infine l'ancora a nord del Vietnam e percorrere la via terrestre che doveva condurli fino all'Impero Celeste. Questo straordinario episodio, ricordato dagli storici cinesi, costituisce il punto di partenza per l'affresco di Jean-Noël Robert, che racconta la storia affascinante della ricerca di un contatto tra i due più grandi imperi dell'antichità. Un viaggio nel tempo e nello spazio che parte da Alessandro Magno e, concentrandosi sul II e III secolo dopo Cristo, tocca non solo l'Impero romano e quello cinese, ma tutto l'intreccio delle civiltà tra Europa e Asia. Gli scambi economici, culturali e religiosi, insieme ai contatti politici e agli scontri militari, diventano legami profondi tra Roma, la Persia dei Parti, l'India e la Cina, senza dimenticare i popoli nomadi dell'Asia Centrale. Una storia profonda quanto nascosta rispetto alle narrazioni usuali, ricca di suggestioni e significati, per illuminare alcune pagine del progresso dell'umanità, sulle tracce di quei viaggiatori guidati dalla loro vocazione a diventare i cittadini del mondo.
«Venticinque anni fa siamo tornati in un nuovo Paese. Io incontravo quella società nella quale il volere della sorte mi aveva fatto nascere ma non crescere. Non avevo particolari associazioni d'idee col passato e neppure rappresentazioni del possibile futuro di quei luoghi. Ne facevo semplicemente la conoscenza. Ma per mio padre tutto era ovviamente molto più complicato. Nonostante la sua esperienza personale e la conoscenza del passato, sognava una Russia del futuro guarita dai suoi mali. Lo spiegava così: anche in assenza di evidenti motivi per essere ottimista, l'incontro di quell'estate con centinaia di persone gli aveva restituito forze e fede. Era tornato a casa, e la sua casa era quanto aveva di più caro. Nei successivi quattordici anni non era più uscito dai confini del Paese». Gli interventi, introdotti da uno scritto del figlio Ermolaj e curati da Sergio Rapetti, contengono le riflessioni che Aleksandr Solzenicyn maturò negli ultimi anni della sua vita, in cui la prima e pressante preoccupazione fu tornare a parlare con la gente, ricomporre il quadro della situazione economica e sociale della Russia, per riprenderne la narrazione da dove si era interrotta. Non smise di evidenziarne eccessi e contraddizioni, di proporre letture che dessero conto delle mille facce di quella società: nazionalismo, panrussismo e rapporto con l'Occidente. Come ebbe a scrivere Vittorio Strada, «in questo mondo imprevedibile Solzenicyn è un possibile orientamento tra i pochi superstiti. Leggerlo, tra consenso e dissenso, aiuta a vincere il vuoto dell'indifferenza e a cercare una via verso qualcosa che non c'è più o forse non c'è ancora».
Il volume affronta temi ed elementi direttivi della ricerca geografica, considerati veri e propri paradigmi della nuova società, per la crescente domanda di informazione geografica della contemporaneità, per cui si diffondono sempre più nel cyberspazio delle vere e proprie narrazioni geolocalizzate, che producono molteplici comunicazioni e visioni diverse delle dinamiche territoriali, proiettando in positivo o in negativo un 'certo' sguardo verso il futuro. L'informazione geografica e le nuove tecnologie, in particolare i Sistemi Informativi Geografici (GIS), in grado di comunicare in modo intuitivo la complessità di un territorio, rappresentano metodologie intelligenti, entrate oramai a far parte della quotidianità di una vera e propria geografia informazionale, ancora tutta da esplorare.
Complessi e variegati, vibranti e intensi, gli oggetti medievali richiedono esami ravvicinati, riflessioni profonde e approcci cinestetici. La cultura materiale del Medioevo, straordinaria nella molteplicità di significati che include e genera, offre a chi l'osserva una ricca esperienza visiva, spesso multisensoriale, sempre gratificante. Offre, inoltre, scorci di una società vivida o, meglio, delle molte società che erano in costante cambiamento e, a intermittenza, conversavano (e a volte litigavano con veemenza) tra di loro. Eppure, ogni oggetto ha la sua storia. Quindi, come scrivere la storia attraverso gli oggetti? Il presupposto del libro è che una storia del genere richieda una collaborazione intensa. Il suo predicato è una specie di triumvirato: una connessione tra storia dell'arte, museologia e storia. Ecco la scelta di produrre una storia del mondo medievale piena e ricca, basata sui cinquanta oggetti che abbiamo scelto per questo scopo e presentati in quattro fondamentali sezioni: Il sacro e il credente, Il peccato e l'occulto, La vita quotidiana e i suoi racconti, La morte e l'oltretomba. Storici di ogni tipo sono sempre più interessati a ciò che le cose materiali possono raccontarci del passato. Allora, come oggi, le persone vivevano in relazione con gli oggetti e questi ultimi davano forma ai loro usi, alle idee e alle emozioni. Ogni epoca ci racconta molto di se stessa con gli oggetti che crea, usa, apprezza e distrugge. Ma il Medioevo è particolarmente illuminato dai suoi oggetti materiali, perché la sua cultura era così in sintonia coi significati delle cose, dato che erano toccate, viste, udite, assaggiate e addirittura odorate: l'incenso che brucia in una moschea, il bagliore di luce di una spilla di granato, il canto in una sinagoga, il tocco delle dita su uno specchio d'avorio, l'ostia che si dissolve in bocca. Un libro per aiutare i suoi lettori a formarsi un quadro ricco del Medioevo, un mondo sorprendente e frustrante, estraneo e familiare e sempre intriso di meraviglia e contraddizione.
Sempre in lotta contro la critica arida e smisurata – rea di aver troppo indagato e troppo poco letto, allontanando queste storie dall’immaginario collettivo – Mandruzzato sceglie la strada opposta: partire dalle parole, raccontare il racconto di Omero. Perché riprenderlo, oggi? “Perché è un classico”, è la risposta più ovvia e più inutile. “Perché è bellissimo”, risponderebbe Mandruzzato. Perché la poesia è fatta per essere goduta, sempre, e i versi di quel poeta cieco sono tra i più alti mai scritti dall’uomo. Perché gli dei e gli eroi che si muovono tra le sue pagine sono resi con un realismo così vivo da farci vedere, non immaginare, i loro scontri sotto le mura di Troia. Mandruzzato ci fa rivivere l’Iliade e l’Odissea in una lingua che ci è più vicina di quella omerica, senza nulla perdere delle potenza originale, e accompagna il racconto con le sue riflessioni delicate e profonde.
Coast-to-coast strategico dell’Inghilterra settentrionale, il Vallo di Adriano è la più ampia opera romana sopravvissuta fino ad oggi. Visto di solito come una barriera alla fine dell’impero, simboleggia il luogo dove termina la civiltà e principia la barbarie. Ma sono numerosi gli interrogativi che ancora oggi esso suscita: il Vallo fu realizzato per il contenimento dei Pitti del nord? Per restituire alla Britannia romanizzata un’immagine di potenza? Qual era la vita dei soldati acquartierati lungo le fortificazioni? Come fu eretta una simile struttura, grazie a quali tecnologie, abilità e materiali? Adrian Goldsworthy intraprende un’indagine storica e archeologica colma di fascino, scindendo fatti da leggende e collocando finalmente il vallo di Adriano nella più ampia prospettiva della Britannia.
Il mito dell'eterno ritorno è il frutto di uno studio che Mircea Eliade aveva compiuto sull'uomo delle società arcaiche, o «tradizionali», sia quelle che vengono comunemente definite «primitive», sia quelle che espressero le antiche culture dell'Asia, dell'Europa e dell'America. Concentrandosi sulla concezione che l'uomo aveva di sé stesso e del posto che occupava nel cosmo, ne mostra la sostanziale differenza rispetto a quella moderna, fortemente influenzata dal giudeo-cristianesimo. Nelle società arcaiche l'uomo era solidale con il cosmo e i suoi ritmi e aveva una concezione circolare del tempo. Attraverso il mito dell'eterno ritorno e le cerimonie e i riti che ripetono e riattualizzano gli avvenimenti dell'inizio del tempo, le civiltà tradizionali rigeneravano simbolicamente il cosmo e la società. Con questo saggio, che considerava «come il più significativo» dei suoi libri, raccomandando di leggerlo prima di tutti gli altri, il grande storico delle religioni propone quella che riteneva un'introduzione a una filosofia della storia. Dopo aver illustrato il modo in cui l'uomo tradizionale riusciva a «sopportare» la storia, Eliade affronta il problema degli storicismi attuali e fornisce all'uomo una guida rispetto a una questione che considera essenziale, l'individuazione di ciò che «permette anche all'uomo moderno di sopportare la pressione sempre più potente della storia contemporanea».
I saggi che compongono questo volume sono stati raccolti da Mircea Eliade nella fase matura della sua vita, riprendendo una serie di conferenze e articoli scritti nel corso di dieci anni.
Il celebre studioso romeno sentì infatti la necessità di tirare le fila delle sue ricerche per presentarle a un pubblico più vasto, soprattutto di non specialisti. Riteneva che le sue competenze di storico delle religioni potessero servire a mettere in luce i nessi fra molti fenomeni culturali contemporanei e gli universi di pensiero elaborati da comunità umane lontane nel tempo e nello spazio, permettendo così di capire meglio il presente, oltre che i meccanismi di funzionamento e l’evoluzione del pensiero.
Le indagini compiute da Eliade vengono insomma poste al servizio di un’opera di decifrazione delle radici nascoste di movimenti letterari, filosofici o artistici contemporanei, e di credenze, miti e mode dell’uomo moderno, compresi l’interesse per l’occulto e la stregoneria o le mitologie della morte.
Marcus Sidonius Falx espone le caratteristiche che hanno reso ì Romani il popolo di maggior successo nella storia e mostra come seguire il loro esempio: è facile anche per il lettore del nostro tempo! L'autore sarà una guida esperta attraverso i valori della vita romana, con le sue gioie e i suoi piaceri da godere come duemila anni fa. Consigli pratici su come risollevare le proprie sorti, scegliere una carriera e fare fortuna. Marcus Sidonius Falx saprà consigliare nella gestione della vita amorosa, dal tener in riga la moglie e crescere i figli, al praticare con costanza lealtà e disciplina negli affari di famiglia. Con il supporto di Falx e del suo senso pratico, il lettore sarà in grado di migliorare qualunque aspetto della vita quotidiana, innalzandosi nella società e con gli dèi sempre dalla propria parte.
Nata nel clima di violenza terroristica che sconvolgeva la società italiana nel periodo degli anni di piombo e che aveva come obiettivo la distruzione delle istituzioni e dello Stato, Filosofia della prassi (1986) è un’opera il cui valore va ben al di là delle circostanze storiche che l’hanno ispirata. Si presenta come una indagine spregiudicata, dai risvolti ancora attualissimi, sulle ragioni e le manifestazioni della crisi della civiltà del diritto, che pur ha fatto grande l’Europa.
L’autore – in queste che sono linee di filosofia del diritto – non descrive solo il processo di decadenza di un mondo, ma indica le strategie per una rivitalizzazione delle funzioni e dei significati del diritto. In questa prospettiva prende corpo una documentatissima analisi delle forme di negativismo giuridico che agiscono nella nostra cultura corrodendone i valori, e delle idee rigeneratrici che potrebbero contrastarne la portata devastatrice, non senza aver prima metabolizzato la dura lezione della critica. La posta in gioco è alta e riguarda il senso e il destino del diritto nella società, ambiguamente sospeso tra il rischio di ridursi a strumento delle manipolazioni del potere e l’impulso a promuovere l’affrancamento dell’uomo incurvato sotto il peso dei dispotismi. La nostra cultura giuridica sarà all’altezza del suo compito?
Italo Mancini (1925-1993) è stato professore di Filosofia della religione e Filosofia del diritto all’Università di Urbino, dove ha anche fondato l’Istituto superiore di Scienze Religiose e la rivista «Hermeneutica». Presso Morcelliana sono in corso di pubblicazione le Opere scelte, di cui nel 2007 è uscito il vol. I, Filosofia della religione; nel 2009 il vol. II, Novecento teologico; nel 2011 il vol. III, Teologia, Ideologia, Utopia e nel 2015 il vol. V, L’ethos dell’Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero critico moderno. Sempre nel nostro catalogo: Come leggere Maritain (1993); Bonhoeffer (1995); Frammento su Dio (20003).
«Le porte regali» uscì in Italia nel 1977 con traduzione dal russo e introduzione di Elémire Zolla. Ora che molti scritti florenskijani sono noti al pubblico italiano, questa edizione procura l'occasione rara di immedesimarsi attraverso la parola di Florenskij e il commento empatico di Zolla nel mistero di un dipingere che si fa strumento di conoscenza soprannaturale giacché l'icona - scrive l'autore - è la reminiscenza di un archetipo celeste. Le fasi del dipingere equivalgono a una cosmogonia: dalla campitura di biacca sulla tavola all'abbozzo, alla stesura del colore di base, alla modellatura dell'immagine, alla luce sul volto con le ripassate dell'oro in polvere. Gli stili della pittura di icone in Russia e nelle altre terre di fede ortodossa hanno conosciuto un'ovvia evoluzione attraverso i secoli mantenendo però intatta la fedeltà al canone la cui formulazione esemplare è nel sillogismo: «Esiste la Trinità di Rublev, perciò Dio è».