Cosa era la Congregazione del Sant’Uffizio, quali i poteri, le procedure, le funzioni? Perché, nel 1931, ordinò a padre Pio da Pietrelcina di celebrare in privato e di non confessare? Chi furono i responsabili di quella decisione? Quale ruolo giocò realmente il francescano Agostino Gemelli, che secondo un’opinione assai diffusa sarebbe stato allora il principale nemico di padre Pio? Quali furono le fasi di tutta la vicenda? Quale il vero atteggiamento di Pio XI? E gli stimmatizzati? Ve n’erano altri? Furono indagati dalla Suprema Congregazione? Cosa avvenne loro? Quale legame hanno con la storia di padre Pio san Giuseppe da Copertino, Giovanni Semeria, Ernesto Buonaiuti, il cardinale Raffaello Rossi e Benito Mussolini? Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui il volume, con abbondante documentazione inedita, permette di dare risposta divenendo un appassionante viaggio nella storia di un processo a carico di uno stimmatizzato, un’indagine sulla vita italiana e della curia romana durante il pontificato di Pio XI.
Francesco Castelli ha conseguito il dottorato in Storia e Beni Culturali della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana. Direttore dell’archivio storico diocesano di Taranto, è docente di storia della Chiesa moderna e contemporanea e membro di redazione di riviste scientifiche. Autore del volume Padre Pio sotto inchiesta. L’«autobiografia» segreta (Milano 2008, con prefazione di Vittorio Messori), di recente ha pubblicato su «L’Osservatore Romano » la supplica inedita con la quale il confessore di Cavour, fra’ Giacomo da Poirino, chiedeva, pentito, la riabilitazione a Leone XIII.
Nei primi trent’anni dell’Italia repubblicana, la costruzione di chiese è un fenomeno che s’intreccia con processi storici diversi: la ricostruzione, il boom economico, la conflittualità politica, la crescita delle città e delle periferie, ma soprattutto il rinnovamento ecclesiale che trova un nodo di svolta nel Concilio Vaticano II e nella sua prima recezione.
In tale contesto, l’architettura delle chiese può essere considerata una fonte preziosa per lo studio delle comunità cristiane e della società civile: la storiografia si è però finora limitata a sottolineare il valore delle opere dei più noti “maestri” dell’architettura italiana.
Il volume, che raccoglie due saggi di Carlo Tosco e Andrea Longhi, si propone d’indagare l’architettura di alcune chiese italiane nel proprio contesto, tentando di restituirne la densità del vissuto liturgico, comunitario e sociale. L’opera di alcuni progettisti chiave del dopoguerra (Quaroni, Michelucci, Muratori, Figini e Pollini, Gabetti e Isola, i fratelli Castiglioni) e gli interventi edilizi più rilevanti promossi dalla Chiesa italiana e dalle associazioni cattoliche vengono letti alla luce del pensiero di alcuni protagonisti della vita ecclesiale (da don Milani e don Mazzolari a Luigi Gedda e Carlo Carretto) e del magistero pontificio (da Pio XII a Paolo VI). Un’attenzione particolare ai percorsi di committenza e di realizzazione consente di mettere in luce aspetti poco indagati del rapporto tra Chiesa italiana e cultura architettonica, tra vita liturgica ed autocomprensione ecclesiologica delle comunità.
Carlo Tosco e Andrea Longhi insegnano Storia dell’architettura al Politecnico di Torino. Fanno parte della Sezione arte e beni culturali della Commissione liturgica dell'Arcidiocesi di Torino e sono soci fondatori dell’Associazione Guarino Guarini. Per l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana hanno coordinato progetti di ricerca interdisciplinari sul rapporto tra architettura e liturgia; sono stati relatori ai convegni liturgici internazionali del monastero di Bose.
Tosco, laureato in Teologia oltre che in Architettura, ha indagato nella propria attività di ricerca i rapporti tra vita ecclesiale, paesaggi costruiti e società. Tra le pubblicazioni più recenti: Il castello, la casa, la chiesa. Architettura e società nel Medioevo (Einaudi 2003); Le rotonde del Santo Sepolcro: un itinerario europeo (Edipuglia 2005, curatela con P. Pierotti e C. Zannella); Il paesaggio come storia (Il Mulino 2007); Il paesaggio storico. Le fonti e i metodi di ricerca (Laterza 2009). Sul tema degli spazi liturgici, Longhi ha pubblicato: L'architettura del battistero. Storia e progetto (Skira 2003, curatela); Luoghi di culto. Architetture 1997-2007 (MottaArchitettura 2008); I beni culturali della Chiesa. Metodi ed esperienze di valorizzazione pastorale (Effatà 2009).
Questo studio intende segnalare alcune problematiche determinanti del cinema europeo dalle sue origini sino alla conclusione della seconda guerra mondiale. Scaturito dall'insegnamento universitario, il volume fornisce originali chiavi di interpretazione della contemporaneità e descrive l'affermazione della cinematografia a livello sociale e artistico quale prezioso indicatore dei comportamenti umani, pur in un contesto di radicale secolarizzazione. Nell'epoca del dominio universale della tecnica, quella dei fratelli Lumière fu l'ultima, straordinaria invenzione della supremazia europea sull'Occidente. Con il cinema l'arte si impegnava, in nome dell'avanguardia, a distruggere ogni barriera e indicava un grandioso "destino" di progresso per l'umanità, giunto all'apice nella Belle Époque ma destinato a frantumarsi sugli scogli di due conflitti mondiali. Con il cinema, inoltre, molti elementi dell'ideologia artistica originata dai movimenti rivoluzionari di inizio secolo finirono per confluire nel linguaggio dell'arte totalitaria, traduzione delle idee di avanguardia e arma di distruzione del nemico. Gli "anni vertiginosi" conobbero così prima il massimo splendore e poi il suicidio dell'Europa. La cinematografia percorse lo stesso cammino.
Carlo Ghidelli (Offanengo, CR, 1934), si è laureato in S. Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1962 (con una tesi su Metodo esegetico e contenuto teologico nel discorso di s. Pietro a Pentecoste), dopo aver conseguito la licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico nel 1961. La sua competenza biblica, coniugata con una notevole attività didattica e pastorale, gli ha consentito di realizzare una feconda opera di divulgazione della Parola di Dio, mediante preziosi volumi e contributi apparsi in miscellanee e riviste nazionali ed internazionali. Oltre allo studio scientifico dell'opera lucana, mons. Ghidelli ha seguito la parabola della pastorale biblica in Italia, divenendo uno dei protagonisti più autorevoli del cammino biblico del post-concilio. Ha collaborato alla Traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente: Antico e Nuovo Testamento, come pure alla revisione della Bibbia CEI del 2008. È stato consultore del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani e ha partecipato al Colloquio Teologico Internazionale tra Cattolici e Battisti. Dal 25 novembre 2000 è arcivescovo di Lanciano-Ortona.
Alla fine della seconda guerra mondiale Jacques Maritain fu scelto da de Gaulle in persona per dirigere l’ambasciata francese presso la Santa Sede e si trovò proiettato in una inedita e difficile esperienza. Nei tre anni di missione diplomatica, dal 1945 al 1948, egli frequentò il pontefice Pio XII e i maggiori esponenti della Curia romana, intessendo un rapporto privilegiato con mons. Giovanni Battista Montini, perorando con successo gli interessi della Francia e seguendo con attenzione le vicende politiche della nuova repubblica italiana.
Dai suoi dettagliati resoconti al Quay d’Orsay emergono originali intuizioni sull’inquieta evoluzione della realtà europea e su delicate questioni quali la divisione della Germania, la sorte dei cattolici perseguitati nei Paesi comunisti, la tutela internazionale del Vaticano.
La ricca e documentata ricerca raccolta in questo volume traccia pertanto il profilo poco conosciuto di Jacques Maritain ambasciatore e propone un’interessante e qualificata lettura di un momento fondamentale della sua vita e della sua feconda carriera accademica.
Roberto Fornasier, dottore di ricerca in Storia e specializzato in politica internazionale, collabora con la Fondazione Mariano Rumor di Vicenza ed è autore di diversi saggi su Jacques Maritain.
Gli interrogativi su cosa significa essere “padre” e su quale possa essere la funzione genitoriale sono sorprendentemente presenti in numerose testimonianze già a partire dall’età antica: tali interrogativi costituiscono, da un lato, lo specchio di pratiche o comunque di una situazione sociale, culturale, economica, dall’altro, le rappresentazioni realizzate e diffuse dalle riflessioni di poeti, pensatori, filosofi, artisti.
Il presente lavoro tenta di proporre alcune riflessioni sulle relazioni familiari e in particolare sull’immagine del padre e della paternità così come compare nelle testimonianze artistiche, letterarie, storiche dell’antica Grecia. Nel caso della figura paterna, è interessante notare come essa si presenti molto più ricca e articolata di quanto a prima vista possa apparire; la diffusione e la frequenza con cui tale tematica compare, inoltre, testimonia la presenza di un’iconografia collettiva della funzione paterna, che ha permeato l’immaginario greco e che, per molti aspetti, si è rivelata una trama complessa e significativa che ha in seguito attraversato la nostra storia culturale.
Gabriella Seveso insegna Storia della Pedagogia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Si occupa di modelli e rappresentazioni della differenza nella storia della cultura, in particolare di relazioni fra generi e generazioni nella cultura greca antica. Oltre a numerosi articoli su riviste e saggi, ha pubblicato, fra l’altro, Per una storia dei saperi femminili (Milano 2000); Armati, mio cuore. Modelli educativi femminili nel teatro di Euripide (Milano 2003); con Raffaele Mantegazza Pensare la scuola. Aporie e interrogativi fra storia e quotidianità (Milano 2006); Ti ho dato ali per volare. Maestri, allievi, maestre e allieve nei testi del Grecia antica (Pisa 2007). Ha svolto e svolge attività di formazione, di aggiornamento e di consulenza pedagogica rivolta a genitori e insegnanti e presso alcuni servizi educativi e scolastici.
Alberto Monticone è noto per importanti studi che gli hanno assicurato un posto originale e di rilievo nella storiografia italiana moderna e contemporanea. Il suo libro di esordio, per le Edizioni Studium, La battaglia di Caporetto (1955), ha dato una svolta agli studi di storia militare del nostro Paese, alla quale ha contribuito pure con lavori successivi (ad esempio Plotone d’esecuzione, per Laterza, nel 1968) con ricadute anche nel dibattito civile.
Il libro La Germania e la neutralità italiana (il Mulino, 1971) ha poi confermato il suo ruolo nella storiografia europea. Ha coltivato inoltre filoni di storia religiosa in età moderna e di storia del movimento cattolico nel Novecento.
Innovativi sono stati i suoi studi sul regime (Il fascismo al microfono. Radio e politica in Italia, Studium 1978). L’impegno nell’associazionismo cattolico e l’attività parlamentare hanno in seguito arricchito il suo approccio alla cultura storica e consolidato il suo ruolo di riferimento per numerosi storici.
Ha insegnato nelle Università “La Sapienza” e LUMSA di Roma, in quelle di Messina e di Perugia, suscitando sempre nuove energie di ricerca, che si manifestano anche in questa raccolta di saggi che amici e allievi gli offrono al culmine della sua attività di studioso. Le quattro sezioni del libro rispecchiano gli ampi interessi coltivati da Monticone e, pertanto, i saggi qui raccolti danno originali contributi nei rispettivi campi toccati.
Angelo Sindoni ha insegnato Storia contemporanea nelle Università di Perugia e di Cosenza. È ordinario di Storia moderna nell’Ateneo di Messina.
Tra i suoi numerosi studi sull’Italia moderna e contemporanea, si ricorda l’opera, per le Edizioni Studium, Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale (2 voll., Roma 1984). Ha fondato – e ne è Coordinatore – il Dottorato di “Storia dell’Europa mediterranea”, con sede amministrativa nell’Università di Messina, dove è Prorettore con delega al Patrimonio storico, letterario e artistico.
Mario Tosti, professore straordinario di Storia Moderna nell’Università di Perugia, è studioso di storia delle istituzioni ecclesiastiche, della cultura e della sensibilità religiosa tra il Cinquecento e l’Ottocento, con saggi sul rapporto tra la cultura cattolica e i processi di laicizzazione dello Stato. Si è occupato inoltre di storia
delle strutture sociali con attenzione ai modelli di comportamento e alla mentalità (Associazionismo cattolico e civiltà contadina, Studium, Roma 1996). È Presidente dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea.
La prima metà del Novecento è stata un’epoca terribile e grandiosa della storia umana: l’era del dominio europeo del pianeta, dell’emergere di ideologie politiche distruttive e belliciste come il nazionalsocialismo tedesco e il comunismo sovietico, ma anche l’epoca dell’inizio dell’emancipazione e della rigenerazione di molti popoli asiatici e africani, in primis turchi, cinesi, arabi e indiani. In quegli anni hanno preso forza e sviluppo fenomeni che tuttora condizionano la nostra vita, dalla globalizzazione economica all’ascesa degli Stati Uniti a Stato egemone mondiale, alla costituzione di grandi potenze asiatiche come Giappone, India e Cina. Il volume delinea un affresco generale e appassionante dei momenti e dei problemi fondamentali delle relazioni internazionali fra il 1917 e il 1957, dalla rivoluzione bolscevica in Russia alla costituzione del Mercato Comune Europeo, sottolineando il ruolo dei grandi leader e delle ideologie (nazionalismi, comunismi, liberalismi) nella politica mondiale.
Alessandro Duce, professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali, insegna nelle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche e Relazioni internazionali dell’Università di Parma. È stato parlamentare e segretario della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei deputati. Collabora con diverse riviste nazionali ed estere. Ha pubblicato, fra l’altro, i volumi: Considerazioni sul Canale di Suez nella politica internazionale dal 1869 ad oggi, Milano 1968; La crisi bosniaca del 1908, Milano 1977; L’Albania nei rapporti italo-austriaci (1897-1913), Milano 1983. Nelle nostre edizioni figurano i volumi Pio XII e la Polonia (1939-1945), 1997² (premio Capri- S. Michele, XIV ed., sezione storia, 1997) e La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), 2006.
Per lo studioso francese Pierre Sorlin, «L’America ha creato uno stile che, oggi, può essere definito “classico”.
Lo stile “classico” non è di facile definizione, ma basandosi sull’esperienza personale è possibile dedurre quali siano le caratteristiche di un film classico: immagini chiare, una colonna sonora che accompagna lo spettatore nel racconto senza diminuire il suo piacere, un dialogo comprensibile, buoni attori e, soprattutto, una storia ben definita, con una situazione che, rivelata dall’inizio, si sviluppa in modo logico e si conclude senza ambiguità».
Il cinema classico hollywoodiano, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, ha conquistato il mondo. Attraverso commedie e opere drammatiche, film di genere western, noir, gangster, horror, musical, è riuscito ad imporre un modello di riferimento prettamente americano, pur se valido per l’intero Occidente.
Gli spettatori, di qua come di là dall’oceano, sono stati rapiti dai tanti film prodotti ad Hollywood, e soprattutto sono stati sedotti dai divi che ne sono stati protagonisti.
Le innumerevoli interpretazioni riguardanti la storia del cinema classico americano non di rado sorvolano su un aspetto determinante: l’etica presente nelle singole opere. Il film hollywoodiano avrebbe trionfato per la forza della produzione e del mercato statunitensi; per la bravura di registi (molti di loro provenienti dall’Europa), attori, scrittori, sceneggiatori, musicisti e costumisti; per l’astuzia, la determinazione e il senso degli affari dei produttori; per la potenza e l’innovazione dell’apparato tecnologico e industriale.
Tutto vero. Ma se Hollywood è diventata un “impero”, lo deve anche all’etica americana. Per lo storico Ernesto Galli della Loggia il cinema hollywoodiano è stato capace di parlare «all’uomo comune non ponendosi da nessun punto di vista particolare, settoriale, ma solo dal punto di vista dei valori universalmente umani. E non a caso tale punto si è rivelato come il più adatto ad incontrarsi con il mercato.
Anche nella tensione-attenzione al mercato del suo cinema si è espressa, infatti, la vocazione modernamente democratica di una cultura come quella statunitense, non toccata dalle mitologie classiste e programmaticamente eticopedagogiche, proprie della tradizione culturale europea. […] Non solo, ma nei film statunitensi si manifesta in pieno una ulteriore caratteristica della cultura di quel Paese che, tradotta in immagini, è destinata ad assicurare loro un carattere eminentemente popolare, e dunque un enorme successo. Il fatto cioè che si tratta dell’unica cultura nazionale moderna che, pur essendo tale, non ha perso un rapporto reale con la dimensione religiosa, con l’aspirazione etica del monoteismo giudaico-cristiano e che, tra l’altro, proprio per questo è riuscita a restare immune dal fascismo e dal comunismo. Proprio per questo è stata l’unica cultura che ha saputo e sa produrre sceneggiature e pellicole capaci di esprimere, senza vergognarsi, una limpida fiducia nei valori della legalità, dell’onestà individuale, della fraternità senza barriere ideologiche, della democrazia».
Claudio Siniscalchi, nato a Roma nel 1959, divide la sua attività professionale tra l’insegnamento universitario e il giornalismo. Insegna Storia e critica del cinema alla LUMSA di Roma ed è ricercatore alla Facoltà di Scienze della Comunicazione della Universidad Complutense di Madrid. Negli ultimi anni ha collaborato con diversi atenei italiani e stranieri, tra cui il Politecnico di Torino e la University of Southern California di Los Angeles, e ha insegnato presso alcune università pontificie.
Collabora con «Libero» e ha una rubrica di critica cinematografica sul quotidiano «L’Ordine» di Como. Il suo ultimo libro, pubblicato in questa collana nel 2008, è Il cinema europeo nell’epoca della secolarizzazione (1945- 1968).
Il filo rosso che lega tra loro i saggi contenuti in questo volume è dato dalla volontà di tanti
amici di rendere un doveroso tributo alla persona del Cardinale Achille Silvestrini.
Quando egli viene definito come quell’esponente della Curia romana aperto al dialogo con la cultura laica, alla comprensione delle ragioni degli altri, al recupero in senso cristiano anche di ciò che può apparire ad un osservatore superficiale come ostile od estraneo, non se ne descrive solo il cristiano atteggiamento di comprensione verso gli altri, credenti e non credenti, ma se ne delinea l’opera e l’azione pastorale, educativa e culturale.
La sua pastorale si caratterizza per un invito costante a considerare la persona umana non soltanto nella tutela dei diritti che le competono, ma anche nel necessario adempimento dei doveri, che ad essa incombono in quanto appartenente alla comunità ecclesiale, alla società civile ed alle sue diverse articolazioni, alla comunità politica e, infine, alla più ampia comunità internazionale. Essere uomo vuol dire, sì, rivendicare i propri diritti, ma significa anche essere consapevoli dei propri doveri, che vanno adempiuti in coscienza limpida, per i non credenti, e con trasporto d’amore verso Dio e verso i propri fratelli, per i credenti.
Il volume vuole essere un tributo all’uomo di Chiesa che instaura anche con non credenti e critici un dialogo aperto, sulla base di quella scintilla divina dell’uomo che è l’ansia di Verità.
La prima guerra mondiale, con il crollo del vecchio ordine europeo, segna una fase fondamentale nella storia europea, perché allora iniziò una lunga opera di sperimentazione, interna e internazionale, che tentò di dare un senso e una direzione tanto alla democrazia moderna quanto allo Stato nazionale.
Vi è un capitolo di quella storia che questo lavoro ha cercato di indagare, sia per la sua rilevanza nel quadro complessivo della storia delle relazioni internazionali, sia per la sua attualità. Parliamo dell’intreccio che vi è stato tra la storia della Società delle Nazioni e quella delle minoranze europee, attraverso cui emerge un fenomeno abbastanza sconosciuto alla letteratura specialistica, ma di tutto interesse per segnare i confini della storia delle minoranze: il movimento di quella che oggi chiameremmo la «società civile internazionale » e nel nostro caso «europea » che, attraverso la sua costituzione in Organizzazioni Internazionali Private, cioè non governative, si fece portavoce dei bisogni e delle richieste delle minoranze nazionali.
Nel periodo tra le due guerre, se da una parte la Società delle Nazioni si preoccupò di costruire un sistema, rivelatosi poi fallimentare, di tutela e di protezione delle minoranze nazionali presenti in alcuni paesi europei, dall’altra le Organizzazioni Internazionali Private si preoccuparono di fare lobby presso la stessa Società delle Nazioni, spesso stringendo alleanze fra loro, per rendere effettiva la protezione e nel contempo per estenderla a tutte le minoranze europee. Tra queste Organizzazioni un posto rilevante venne occupato dal Congresso delle Nazionalità Europee, il caso particolarmente esaminato in questo lavoro, che ebbe come Presidente il parlamentare triestino della minoranza slovena Josip Wilfan.
La famiglia è stata assoggettata negli ultimi due secoli ad un processo di accentuata privatizzazione: quella che era stata, per una lunghissima stagione della storia dell’umanità, una delle strutture portanti della società appare oggi come una sorta di ultimo rifugio della vita personale. Nonostante tutto, per altro, la famiglia mantiene una sua fondamentale dimensione sociale, come dimostra la sua stessa storia, in questo volume ripercorsa nelle sue grandi linee. Di qui l’importanza, anche alla luce della lezione del passato, di fare il punto sulla situazione presente della famiglia, per recuperare il senso di un’istituzione che – nonostante le profonde trasformazioni che ha conosciuto – continua ad essere per la maggioranza degli uomini e delle donne un eminente ed insostituibile “luogo dell’umano”.
Della salvaguardia e della valorizzazione di questo “luogo” anche i pubblici poteri sono chiamati a farsi carico, attraverso lungimiranti politiche familiari, di cui vengono qui proposti i tratti essenziali.
Tra il gennaio e l'aprile del 1945 i Lager nazisti svelarono il loro segreto. Il mondo inorridiva: il nazismo si spegneva nel grido di orrore che si levava dappertutto di fronte alle camere a gas e ai crematori. Da allora il frettoloso giudizio manicheo ha ceduto sempre più il posto a un esame di coscienza da parte dell'umanità tutta. Ma il mondo ha conosciuto per intero il «segreto dei Lager»? Negli anni del dopoguerra é stato fatto l'elenco degli orrori e crediamo, ora, di saperne tutto. Ma forse il vero segreto sfugge ancora, proprio perché si è cercato di circoscriverlo nei suoi aspetti esterni. La sua vera dimensione sta, invece, nella diabolicità del sistema, nella sua tecnica perfetta e nel suo funzionamento ineccepibile. Questo libro prende in esame, sulla scorta dl una vastissima documentazione, il mondo dei campi di concentramento, la loro struttura e organizzazione, le tecniche della deportazione e dello sterminio, alla luce di un'ideologia politica. Cioè come traduzione pragmatica di una concezione del mondo. L'impostazione della ricerca é un po' diversa da quella consueta e contrasta ancor più fortemente con quel corrompimento della storia nei Lager che è la catalogazione e descrizione degli orrori, di cui è nutrita una certa deteriore pubblicistica. Attenzione particolare viene riservata all'atteggiamento dei governi e dell'opinione pubblica del tempo, a ciò che forse si sarebbe potuto fare e non fu fatto; alla sorprendente presenza, in una situazione di assoluta precarietà, di un movimento di resistenza interna nei Lager, ad aspetti generalmente meno noti di questa incredibile vicenda, quali la sorte degli italiani e quella degli zingari. Jaoseph Ratzinger, arcivescovo di Monaco, vide la mente ordinatrice dei Lager coma la Bestia che il Veggente dell'Apocalisse indica non con un nome ma con un numero. Se il «segreto dei Lager» è costituito dalla Bestia apocalittica, un numero che trasforma gli uomini in numeri, c'è da temere che essa non sia stata sconfitta e uccisa, ma che sonnecchi soltanto. In ogni caso come dice Brecht, non è inaridito il ventre che l'ha partorita.
La storia del cinema europeo, dal neorealismo al Sessantotto, e anche la storia di una serie di problematiche legate alla vita e allo spirito. Il neorealismo rappresenta la rivoluzione estetica dalla quale nasce il cinema moderno. La «politica degli autori» a livello teorico, la successiva «nouvelle vague» e soprattutto il «nuovo cinema» d'autore affermatosi negli anni Sessanta non rappresentano, come molti sostengono, solo una "forma" nuova. La "forma" naturalmente ha una rilevanza non trascurabile. Ma se oltre alle questioni meramente formali, ampliando il campo di osservazione, si evidenziano le tensioni etiche presenti nelle opere cinematografiche, ne viene fuori una storia molto più complessa, caratterizzata da una forte tensione morale e spirituale. Il neorealismo e animato dal desiderio di guardare in faccia le tragedie umane, e il passo successivo compiuto dalla ricerca del cinema d'autore europeo conduce lo sguardo cinematografico verso la descrizione della libertà di autodeterminazione morale, tratto peculiare della modernità, le cui conseguenze sono intimamente connesse alla negazione etica, alla solitudine spirituale, all'eclissi del sacro. Naturalmente fra i vari autori presi in esame, da Roberto Rossellini a Federico Fellini, da Andrej Tarkovskij a Samuel Beckett, da Jean-Luc Godard a Michelangelo Antonioni, c'e chi vede nell'allontanamento da Dio la vera grande opportunità del moderno, chi, invece, collocandosi sulla sponda opposta, rivendica il primato dello spirituale nella sua ricerca, e chi rimane nel mezzo, oscillando tra le due polarità, senza prendere partito. Alla conclusione di uno straordinario decennio - gli anni Sessanta - di effervescenza, originalità, profondità e creatività incarnate dal cinema d'autore europeo, proprio nel ribollente crogiolo culturale del Sessantotto, alla disumanizzazione estetica finisce per legarsi una virulenta ideologia politica, anticristiana e genuinamente ostile ad ogni fenomeno legato alla sfera del sacro. Il risultato finale, oltre a favorire il progressivo torpore (determinandone la scarsa rilevanza a livello internazionale) del cinema europeo, torpore dal quale ancora non è stato capace di uscire, sarà il rovesciamento della secolarizzazione, con l'aprirsi della nuova fase del risveglio postmoderno della spiritualità.
Figurano in queste pagine gli scritti più significativi di un gruppo di politici e di tecnici, di formazione e di cultura cattoliche, the con ruolo e responsabilità diverse fecero delta questione meridionale un impegno d'onore. Il meridionalismo cattolico nasce tra il 1946 e il 1948 e si muove in una prospettiva completamente diversa rispetto al vecchio meridionalismo. Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Pietro Campilli, Tommaso Morlino, Leopoldo Rubinacci, innanzitutto, mettevano - secondo una felice definizione di Pasquale Saraceno - «un numero accanto a un probleina», usando anche schemi teorici di tipo economico aggregate al fine di porre il problema della crescita dell'intero sistema economico meridionale, inoltre, ponevano il terra dell' industrializzazione del Mezzogiorno e proponevano la costituzione di uno strumento istituzionale-giuridico o giuridico-finanziario, che avrebbe dovuto nobilitare e convogliare nuove risorse verso il Sud. Il che darà vita alla Cassa per il Mezzogiorno. Erano cattolici provenienti alcuni dalle Università, come Raffaele Ciasca, Ezio Vanoni, Costantino Mortati, altri dal mondo delle professioni, altri dalla milizia politica nella Democrazia Cristiana di De Gasperi. E fu un fiorire di proposte, che venivano fatte nel corso di incontri, convegni, dibattiti e soprattutto negli scritti che essi andavano pubblicando su giornali, riviste, negli atti di Convegni e in lavori monografici, nei quali si Coglie, quasi con monotona ripetizione, l'anelito a riscattare il Mezzogiorno dalla sua secolare arretratezza. A questo gruppo appartiene anche Aldo Moro.
L'utopia della "terza età del mondo", auspicata da Lessing ne L'educazione del genere umano (1780), è il motivo di fondo che guida la cultura tedesca tra la fine del '700 e gli inizi del '900. Per essa un nuovo Vangelo eterno doveva sostituire il cristianesimo storico, contrassegnato da una concezione antropomorfica e sensibile del divino, in direzione di una fede interiore, immanente, che si congedava dall'ambito dell'arte e della "rappresentazione". L'epoca nuova era l'età dello Spirito, l'era che succedeva a quella del Padre e del Figlio, dell'Antico e del Nuovo Testamento. La teologia della storia di Gioacchino da Fiore, riproposta da Lessing, diveniva il paradigma della secolarizzazione moderna. L'era dello Spirito è il tempo della divinizzazione del mondo: il modello gioachimita, dopo l'illuminismo, viene a costituire l'ideale escatologico che guida l'orizzonte storico. Nel passaggio dalla teologia alla filosofia della storia, l'escatologia, nella pianificazione di un percorso di liberazione dai limiti naturali e storici, si trasforma in utopia. Donde la forma tipica della fede "moderna", il suo intreccio tra ideale prometeico e religiosità, titanismo e mistica. Lo Spirito è unità e, insieme, potenza; la riconciliazione passa attraverso la negazione, la lotta, il conflitto. Dietro v'è la teodicea razionalistica, la giustificazione del male in funzione del progresso del mondo, il "calvario" dello Spirito assoluto. Lo "spirito del mondo", che prende il posto dello Spirito Santo, è un dio mortale che eredita la forma della sote trasforma i contenuti. Il particolare, il non divino, deve tramontare - come nella gnosi antica - perché la totalità (Dio) possa realizzarsi. La secolarizzazione non è solo la trasposizione del cristianesimo nel mondo, è anche la metamorfosi del sogno gnostico del cambiamento ontologico del mondo.
L'esperienza del sociale è l'esperienza di camminare insieme lungo un percorso tracciato dallo spirito del tempo, dalle caratteristiche strutturali del contesto, dalle modalità dì incontro con l'altro e dal significato attribuito all'alterità. É quindi espressione della dimensione dinamica dello stare insieme in un orizzonte di tempo e di senso. Negli scenari della contemporaneità questo cammino di condivisione sembra costretto tra tendenze opposte che mettono a rischio la capacità-necessità della persona di collocarsi al centro dell'esperienza e mediare i condizionamenti del contesto con la scelta responsabile di azione, relazione, comunicazione. Affrontando questa problematica, il libro propone la rivisitazione di alcuni autori, ì quali osservano le contraddizioni della modernizzazione ed esprimono un'idea di vita intersoggettiva come complessa interdipendenza fra persona e struttura e quindi corre problema dell'uomo, della società, della cultura. Le differenze sono molteplici e riguardano sia i particolari ambiti indagati, sia le preoccupazioni guida, sia le premesse epistemologiche. Ciascuno però offre - a nostro avviso - una prospettiva utile a ricomporre il mosaico della vita collettiva e a rappresentare la multidimensionalità dell'esperienza del sociale. La stravagante varietà di elementi che emerge dalle loro analisi invita a riflettere su problematiche dei nostri contesti che testimoniano l'emergenza persona, offrendosi. come terreno fertile per molteplici aree di ricerca. Su questa base è possibile rifondare una teoria dello stare insieme come superamento della spaccatura azionesistema che fa evaporare ìl senso stesso dell'esperienza.
Nel secondo dopoguerra molti intellettuali e giuristi laici vollero confrontarsi con la concezione cristiana della politica, in riferimento soprattutto ai contenuti del personalismo e del diritto naturale. L'universo politico liberale e azionista del periodo costituente si misurò con la sfida della riscoperta delle radici cristiane dell'identità europea e della rimeditazione dello statuto pubblico della religione come fondamento morale di una società libera e giusta. Il pensiero laico della Liberazione e dell'Assemblea Costituente suggerì la proposta di una religione civile chiamata a rifondere la democrazia del dopoguerra su orizzonti di senso ultimi e trascendenti. La novità del pensiero laico della Costituente fu quella di andare oltre la semplice riduzione "filosofica" del cristianesimo a simbolismo liturgico, per avviare un autentico confronto con la fede. Dopo aver preso in esame l'antifascismo laico nel suo rapporto con la tradizione cristiana e averlo analizzato comparativamente con il liberalismo di Croce in Italia e di Strauss negli Stati Uniti, il volume sottolinea aperture e limiti di una proposta culturale coraggiosa sul piano delle idee, ma spesso incapace, per ragioni storiche e politiche, di oltrepassare la teoria per costruire insieme con i cattolici soluzioni sempre condivise sul fronte della famiglia, dell'educazione e della vita.
Una delle figure più raccontate dalla storia del cinema è quella di Gesù di Nazareth. Dalla nascita della Settima Arte, infatti, fino alla nostra contemporaneità, il volto e la vita di Gesù sono stati rappresentati infinite volte sul grande schermo, sempre attraverso sguardi inediti e con estetiche differenti. Dai fratelli Lumière in poi è stato tutto un susseguirsi di autori che hanno deciso di accostarsi alla figura di Gesù e al suo mistero per cercare di renderla in immagini, ognuno secondo il proprio punto di vista e la propria sensibilità. Si è assistito alle grandi ricostruzioni da kolossal del cinema americano della classicità, strabordanti di colori, musiche, ricostruzioni scenografiche; si è poi passati ad un modello di riproposizione più scarno, depotenziato di ogni retorica ed artificiosità, attraverso le rivisitazioni dei grandi autori della modernità europea, come Pasolini o Rossellini; per arrivare alle versioni attualizzate postmoderne, come il Cristo "hippie" di Jesus Christ Superstar o il Cristo troppo umano di Scorsese, fino al Cristo completamente sfigurato dal sangue e nel sangue nell'ultima versione di Mel Gibson. In poco più di cento anni di storia del cinema, più di trenta sono state le pellicole dedicate direttamente a Gesù e alla sua figura, e dalle prime Passioni mute fino a quelle contemporanee il volto e la figura di Gesù sono stati completamente modificati e hanno assunto sempre nuove visualizzazioni estetiche. La lettura di questi film "cristologici" permette di osservare, in filigrana, come sia cambiata la sensibilità religiosa, e non solo, della nostra società. Se è vero, infatti, che il cinema è uno specchio della società, o perlomeno è un mezzo che mette in scena la società e il suo "visibile", attraverso la lettura dei film dedicati a Cristo si può analizzare come la nostra realtà si sia evoluta e quali cambiamenti di mentalità l'abbiano caratterizzata, soprattutto per quel che riguarda le tematiche attinenti al sacro e alla fede.
Questo volume intende dare un contributo per la storia dei poveri e dell'assistenza nell'Italia postunitaria. Due capitoli sono dedicati alla "mentalità" con la quale la classe dirigente affrontò il problema, impressionante per le sue dimensioni, dei mendicanti e dei vagabondi. Gli altri focalizzano alcuni momenti significativi del passaggio dall'antico sistema della beneficenza all'assistenza pubblica e, quindi, della trasformazione delle Opere Pie in "moderne" istituzioni. Questo importante tema storiografico (la nascita dello "Stato sociale" è una novità fondamentale dello Stato contemporaneo) finora non è stato adeguatamente approfondito ed è stato trattato, in alcuni casi, con preconcetti ideologici. L'autore ha cercato di analizzare, più che i dibattiti, l'applicazione concreta delle leggi, mostrando, sulla base della documentazione conservata nell'Archivio Centrale dello Stato, come le innovazioni, in particolare quelle di Crispi, anche se animate da uno spirito di "razionalizzazione" della beneficenza, finissero per fornire sia ai partiti "costituzionali" sia a quelli della Sinistra democratica e socialista un "campo" da occupare con i propri uomini. Tanto da rendere lecita la domanda se i cambiamenti nelle amministrazioni delle Opere Pie abbiano portato a un reale miglioramento della drammatica condizione dei poveri.
Il volume ripercorre la storia d'Italia nel secolo appena trascorso, fino ai nostri giorni. Questa è inquadrata nei suoi collegamenti con la storia locale, da una parte, e con la storia europea e mondiale, dall'altra, nei loro molteplici aspetti, da quello religioso a quello culturale, da quello politico a quello economico e sociale. L'autore segue in profondità i grandi temi che hanno segnato il Novecento, ricostruendo fatti, movimenti, personaggi, sulla base di una rigorosa documentazione storiografica, ma anche con grande indipendenza di giudizio; caratteristica questa che lo conduce ad assumere posizioni coraggiose e controcorrente. Uno spazio di rilievo è dato al movimento nazionale, che ha conosciuto diversi orientamenti ed esiti. Esso, pur nascendo nel grande alveo della democrazia innescata dalla Rivoluzione francese, come fattore di riconoscimento dell'identità e dell'autodecisione dei popoli, ora segue un percorso tanto divaricante dalle premesse iniziali, da costituirne il rovesciamento nel nazionalimperialismo (che tanta parte ha avuto nelle tragedie che hanno segnato il secolo), ora, viceversa, si risolve e si espande nella capacità di coinvolgere forze e risorse sempre nuove in una ritrovata universalità.