Non è proprio lì, nelle case, che tutto ha avuto inizio? Non sono state forse le chiese "domestiche" - nelle famiglie di allora, appunto - l'origine della crescita del cristianesimo nei primi tre secoli? Non sono state il vettore di una fede che si è diffusa senza rimanere confinata in poche comunità isolate? Basandosi sui loro stili di vita e di azione, oggi meglio compresi alla luce dell'evoluzione generale della storia antica, Marie-Françoise Baslez getta uno sguardo assai concreto sulla condizione dei cristiani di quel periodo. I primi credenti in Cristo vivono l'annuncio della fede in un ambiente ostile o indifferente. Né nascosti né confinati, sollevano questioni che a volte sono anche le nostre: l'emergere dell'individuo, il ruolo della donna, la condizione degli immigrati o il posto degli schiavi, l'organizzazione multipolare, il modo sinodale di prendere decisioni, il significato della missione... Lungi da idee preconcette o da inevitabili anacronismi, la storica francese dischiude con forza le dinamiche di cristianizzazione che, in atto all'epoca, hanno permesso alla "chiesa nelle case" di aprirsi alla dimensione universale. Un saggio affascinante: Marie-Françoise Baslez attinge alle conoscenze storiche accumulate nel corso di una vita per far scoprire al lettore come e perché, fin dai tempi più remoti, le prime comunità cristiane si riunivano «nelle case», cellule di base della vita comunitaria.
Come possiamo affrontare la complessità della vita umana, con la nascita a un capo e la morte all'altro? La nostra esistenza è un attimo delimitato da due eternità di tenebre o un tempo visitato dalla traccia furtiva di una luce perduta ma ancora desiderabile? Nonostante la morte violenta sia spesso presentata come uno spettacolo invasivo e quotidiano, le società moderne evitano di affrontare queste questioni cruciali e ostracizzano la morte, come se scansare il discorso potesse renderlo meno spaventoso. In realtà, questa fuga non fa altro che alimentare un'angoscia e un disagio profondi. La risposta sta nell'affrontare apertamente il dilemma posto dalla nascita e dalla morte, seguendo diverse piste di riflessione, non da ultimo sul solco della tradizione ebraica. Questo approccio può portare a una nuova prospettiva per apprezzare la vita stessa. Il primo passo verso una migliore comprensione del valore insostituibile della vita è avere il coraggio di affrontare senza esitazione questi temi cruciali. Un saggio illuminante, per superare quella concezione tragica e angosciante della vita come "circondata dal baratro del nulla" Chalier si interroga sulla vita, dal suo sorgere fino alla sua scomparsa, con maestria, profondità, passione e tenacia. E la tratteggia come un andare «da una luce a una luce». Per captarne i raggi fa appello ai filosofi, ma anche ai saggi dell'ebraismo e ai poeti (Hugo, Rilke, Hillesum, O'Donohue...), avanzando senza paraocchi verso il mistero dell'umano.
I robot fanno parte della nostra vita quotidiana: pensiamo ai robot industriali applicati a catene di montaggio, magazzini e logistica, ai robot con funzioni antincendio, ai robot di servizio usati in ambito medicale, ma anche ai robot militari... Alcune di queste strutture sono "pilotate" dall'intelligenza artificiale e stanno diventando sempre più capaci di apprendimento. Questo libro si propone di mostrare, con l'aiuto di esempi, come e perché questi robot evoluti sollevino numerose questioni logiche, epistemologiche, giuridiche, etiche e antropologiche, alle quali occorre rispondere evitando sia una pericolosa tecnofobia sia una entusiastica tecnolatria. Affidare potere o capacità decisionali a sistemi qualificati come "intelligenti" o a macchine definite "autonome" non è accettabile senza aver prima risposto a una domanda fondamentale: quella sulla differenza tra umano e umanoide. O, meglio, la domanda di fondo a cui rimanda la questione della tecnica rimane quella di sempre: che cos'è l'uomo?
Carmine Di Sante ci consegna pagine nelle quali si confronta e lotta con i grandi temi biblici del peccato e del castigo, della colpa e della pena, della legge e della grazia, della croce e del perdono. In dialogo con la contemporaneità, li sottopone a uno scavo re-interpretativo che ne fa rilucere la bellezza, la forza liberatrice e l'appello persuasivo. Per i diseredati e gli oppressi del mondo, che attendono i tempi messianici della fine delle violenze e delle guerre. Per i responsabili dei popoli e delle istituzioni, chiamati a promuovere ordinamenti che difendano e garantiscano la giustizia. Per i lettori del testo sacro, credenti e non credenti, perché non ne fraintendano il linguaggio, che parla a tutti ed è rispettoso della decisione di tutti. Il filo conduttore del libro è l'alleanza: alleanza è Dio che crea l'uomo libero e si consegna alla sua libertà; ed è l'uomo che dice sì a Dio pur potendo dirgli di no. È l'istante in cui l'essere fiorisce dal dover essere, l'ontologia sgorga dall'etica e il distopico cede il passo all'utopico. È Gesù di Nazaret sulla croce che, privo di potere, fa esplodere la potenza dell'amore suo e del Padre, rinnovando per sempre l'alleanza tra Dio e l'uomo.
Da duemila anni a questa parte il celibato è una scelta di vita fatta propria sia da uomini che da donne, dentro la Chiesa cattolica. E oggi è anche - giustamente - al centro delle controversie sulla condizione dei preti cattolici, dei religiosi e delle religiose, dei laici e delle laiche consacrati. In una società ipersessualizzata, nel momento in cui scoppiano scandali che hanno il clero per protagonista, il celibato viene sempre più guardato con forte sospetto, o perlomeno come una bizzarria. Per questo è importante demistificare tanti luoghi comuni, spiegarlo e gettare nuova luce sul suo significato. Questo libro, che rifiuta qualsiasi idealizzazione del celibato, tiene conto delle esperienze personali concrete fatte dall'autrice e dei progressi delle scienze umane. Per dimostrare che, sebbene il celibato non sia affatto privo di insidie, esso un senso ce l'ha agli occhi dell'umanità comune, delle nostre vite aggrovigliate. E, esattamente come la vita di coppia, mette l'amore alla prova della realtà.
I posti lasciati vuoti dai giovani nelle nostre chiese sono sempre più numerosi e suscitano preoccupazioni in quanti hanno a cuore il futuro del cristianesimo. Finora nelle nuove generazioni le parrocchie avevano sempre trovato la freschezza di coscienze che si aprono al vangelo e la vivacità di una dedizione appassionata e creativa alle iniziative pastorali. E ora che ne sarà delle nostre comunità cristiane? Se il ricambio generazionale viene meno, l'esperienza religiosa è destinata a finire? Il libro parte da questi interrogativi per avviare una esplorazione dell'universo umano, spirituale e religioso dei giovani. E ipotizza che in essi vi sia non il rifiuto della religione e delle sue forme, ma piuttosto la ricerca di strutture nuove del credere, il dialogo con i caratteri di un'inedita esperienza umana ed esistenziale. Si profila una metamorfosi del credere che potrebbe essere in grado di interpretare i caratteri di questo tempo. Nei tratti della sensibilità giovanile potrebbero nascondersi i germogli di una novità promettente, in grado di immettere nella vita delle comunità cristiane una spinta verso il loro rinnovamento evangelico.
Oggi la felicità la si può comprare: spuntano quasi ovunque consulenti psicologici che ci mostrano la strada per ottenerla e non mancano i corsi a pagamento che ci deliziano con la loro facile "cultura del benessere". Scienziato e maestro zen, il gesuita Bauberger parte dalla sua vasta esperienza e spiega perché è meglio non affannarsi a inseguire la felicità: solo evitando di pensare di accaparrarsela si va incontro a una vita più appagante, a una vita piena e realizzata. Bauberger biasima la vuota spiritualità dei centri benessere - la spiritualità dei manager - e parla di felicità e beatitudine vera. Nel fare questo, attinge alla sua conoscenza della spiritualità cristiana e dell'Estremo Oriente e alla sua pratica da insegnante di meditazione. Ne è nato un libro intelligente e affascinante che manda all'aria i soliti consigli sull'auto-realizzazione e delinea invece un percorso che scende in profondità. Bauberger ci mostra cosa c'è dietro la follia della felicità e perché il dubbio ci è molto più utile di qualsiasi contentezza artificiale.
Lassù in cielo è prevista l'esistenza di un giardino zoologico? Gli animali, gli alberi o anche i sassi ci vanno, in paradiso? A Dio preme almeno un po' la salvezza eterna di quelle sue creature che non sono esseri umani? Per Franck Dubois bestie e piante attendono di essere salvate. Ma non dipende dalla mucca avere accesso al cielo. La mucca non "risuscita" in senso proprio, ma viene associata al mistero della risurrezione degli uomini. Sono costoro che hanno la responsabilità della sua salvezza. L'intera creazione è chiamata a transitare in Dio. Il creato non è un insignificante fondale "usa e getta" di cartapesta, destinato a scomparire alla fine della storia, ma una realtà la quale fare i conti (anche) nell'aldilà. Questa comunità di destino fra tutti gli elementi del mondo chiama ciascuno di noi alla vigilanza. Ecco il messaggio alla base di questo libro di inaudita originalità: Dio è presente al cuore di ogni realtà materiale, agisce tanto sulle anime quanto sui corpi, non si disinteressa del mondo fisico. Anzi, l'ha creato perché rimanga per sempre e si perfezioni. In paradiso ci imbatteremo in leoni diventati vegani? Lassù il calvo recupererà i capelli che aveva in gioventù? Il mio pesciolino rosso potrà finalmente parlare? Una cosa è certa: ci sarà una bella ressa al momento di salire sull'"ascensore" che porta in cielo!
L'affermazione di Gesù «Questo è il mio corpo», detta di un pezzo di pane azzimo, è in sé folle, paradossale. Per i cristiani ha comprensibilmente rappresentato, lungo la storia, un vero e proprio rovello: come pensare la "presenza reale" di Cristo nel pane eucaristico? La formalizzazione teologica della dottrina della transustanziazione (pane e vino cambiano sostanza, diventando corpo e sangue di Cristo) è giunta al termine di un percorso, non lineare, ricco di sfumature, sottolineature e sfide enormi per il pensiero. E ancora oggi ci si chiede: che cosa significa dire "presenza", "realtà" e "corpo"? Per rispondere, occorre frequentare un dibattito filosofico straordinariamente ampio, che indaga quei tre ambiti. Il saggio di Belli si pone sul crinale fra teologia e filosofia. In una prima parte propone una ricostruzione del dibattito medievale delle dispute eucaristiche, muovendo alla ricerca della pluralità dei linguaggi in cui esso si è espresso. Successivamente avvia il confronto con il mondo filosofico, in particolare quello di matrice fenomenologica, per comprendere i possibili arricchimenti reciproci fra teologia e filosofia. E scoprendo che la teologia eucaristica sfida la filosofia ad ampliare la nozione stessa di corporeità.
Papa Francesco, con Traditionis custodes (2021), ha felicemente superato lo stato di eccezione liturgica introdotto da Benedetto XVI con Summorum pontificum (2007). Una tappa importante della riforma liturgica si è così compiuta. Ed esige, ora, una rilettura accurata sul piano storico e su quello teologico.
Grillo parte da lontano: rievoca e spiega con maestria le grandi linee del percorso ideale e istituzionale che il Movimento liturgico e il concilio Vaticano II hanno iscritto irreversibilmente nella storia della Chiesa cattolica contemporanea. Eppure, la riforma liturgica conciliare ha rischiato di non essere compresa da alcuni e ha incontrato dubbi, perplessità, avversione da più parti. Ecco perché il teologo, dispieqando con acume e pazienza la logica di quel percorso, lo riprende in maniera teoricamente avvertita e praticamente creativa. Questo saggio, in una nuova versione aggiornata e aumentata, fa emergere perciò le ragioni profonde che ci permettono di comprendere la riforma liturgica come passaggio necessario della coscienza ecclesiale: né contro né senza Pio V, ma certamente oltre Pio V. Andrea Grillo, 1961, inseqna teologia dei sacramenti e filosofia della religione al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e liturgia presso l'Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi in campo liturgico, sacramentale e filosofico. Il suo recente manuale Eucaristia. Azione rituale, forme storiche, essenza sistematica (Queriniana, Brescia 2019) ha ricevuto il premio della European Society of Catholic Theology come “Libro teologico dell’anno’.
Com'è nata l'ideologia transumanista? Come si è passati dall'intenzione di migliorare le condizioni della vita umana al fantasticare su una natura umana radicalmente potenziata? Quella rappresentata dal transumanesimo è un'utopia realizzabile? Quali sono le sue basi intellettuali? Quali i pericoli insiti nell'impresa? Come riabilitare l'umanesimo oggi? Tre specialisti - un medico, un filosofo e un teologo - affrontano il tema da diverse prospettive, per rispondere alle domande poste oggi da questa tendenza sociale e culturale tanto decisiva quanto affascinante. Dopo aver contestualizzato il transumanesimo e avere decrittato i suoi fondamenti intellettuali, Folscheid, Lécu e de Malherbe sviluppano una proposta critica, che non manca però di sottolineare gli spunti positivi. Un'opera accessibile per conoscere e comprendere finalmente il transumanesimo, tema scottante di indubbia attualità che esige un saggio discernimento. Il transumanesimo chiama in causa la ragione filosofica, la ragione politica e la ragione teologica. Riconquistare ognuno di questi livelli aiuta a distinguere tra un uso buono e uno cattivo del "desiderio dell'uomo di superare l'uomo".
«Forse non sappiamo più andare a messa perché non siamo più abilitati a vivere riti complessi che celebrano la salvezza. Forse questo “cambiamento d’epoca”, come lo definisce papa Francesco, è un’epoca che cambia i riti che fanno la vita» Manuel Belli.
Descrizione
L’intera esistenza umana è costellata di riti. Viaggiare, mangiare, stringere amicizie, amare, educare, curare, divertirsi, giocare: ogni atto umano genera le proprie forme rituali. I riti, tuttavia, non sono camere blindate: si influenzano a vicenda, si scambiano messaggi. La qualità generale di vita di una famiglia non è separabile dai riti con cui si vivono i pasti, la casa e il suo ménage, il tempo libero, le vacanze. E, così, quando partecipo ai riti religiosi in chiesa sono lo stesso che guarda YouTube, che viaggia con Ryanair, che ha conosciuto il partner su Tinder, che scarica musica e la ascolta con le cuffiette mentre cammina, che alla vigilia di Ognissanti vede comparire teschi e zucche nei negozi.
Ora, la domanda è: i riti “fuori dalla chiesa” contaminano in qualche modo i riti “dentro la chiesa”? Tra i riti religiosi e gli altri riti esiste un tale divario nella densità di significato e nell’intensità di gioia da impedire l’osmosi? Belli vorrebbe sondare queste interazioni cruciali. Se viviamo in un’epoca di riti tristi, infatti, quale sarà il destino della liturgia?
Queste pagine presentano sotto il profilo teologico quell'ambito esperienziale che è la musica. La musica è linguaggio singolare che, oltre ad essere altamente espressivo, si mostra "universale" perché capace di affratellarci; è linguaggio che come nessun altro sa far percepire il Mistero nella dimensione simbolico-estetica dell'arte. Non c'è espressione dei sentimenti umani più grande della musica. Sulla sua magia hanno riflettuto tanti uomini e donne di cultura lungo la storia (matematici e filosofi, musicisti e teologi...), aspirando a decifrare le orme della Bellezza che si rivela nella "teofania" dei suoni. Sulla loro scia, questo studio - nato dall'esperienza didattica - si pone a sua volta l'obiettivo di introdurre a un discorso teologico sull'intero fenomeno musicale, dalla sua genesi ispirativa fino alla sua realizzazione scritta, dalla sua esecuzione al relativo riscontro sull'uditorio, quale recezione contemplativa entro le categorie estetiche dell'arte. «La riflessione non si restringe all'ambito della musica sacra o della musica liturgica. Allarga, invece, l'orizzonte speculativo al "fenomeno musicale" in senso lato, là dove appaiono con evidenza possibili incidenze spirituali» (Sergio Militello).
Perché il male? Come dire l’innominabile? Come prenderne le distanze per capirlo meglio? Noi vi siamo implicati: il male sconvolge le nostre vite. È un fatto: tristezza, dolore, sofferenza, morte irrompono in ogni esistenza, anche prima che ci pensiamo.
Sia come sia, le diverse forme del male hanno un punto in comune: il male non è una cosa. Si presenta come una frattura in ciò che è, come un parassita che corrode il bene, senza il quale però non potrebbe nemmeno esistere. Il bene ha dunque un primato assoluto, che nutre la speranza: il bene sarà sempre più forte. L’esperienza stessa dell’infelicità, per esempio, testimonia implicitamente che siamo fatti per essere felici.
L’intelligenza che cerca di affrontare il paradosso del male si sforza così di distinguere, senza separarli, il male oggettivo dalla sua risonanza soggettiva. L’impresa è rischiosa perché, volendo fare il bene, l’uomo compie talvolta atti orribili, in cui il male si mescola con l’amore. E questo rende la ricerca ancora più intrigante.
Il tema delle periferie urbane continua a rappresentare uno scoglio sociale su cui si infrangono numerose politiche pubbliche. La loro perenne attualità nei fatti di cronaca non è solo segno di un limite politico. C’è una sconfitta che avviene più a Monte e che riguarda il modo in cui queste sono spesso state mal comprese, fraintese e di conseguenza mal pubblicizzate. In questo complesso scenario, il paziente sforzo dell’autore consiste nel ricostruire il profilo umano di chi abita le periferie – le quali, oltre a essere viste come un luogo (terra di Mezzo: né centro città, né aperta campagna), divengono un’esperienza, quella dell’essere messi a distanza e privati di una relazione fondamentale. Iula disegna così l’ontologia sociale dell’essere periferico. E, alla fine del percorso, rende visibile il contributo che viene dalla teoria generativa: lì dove i dati acquisiti in precedenza beneficiano di quella rottura epistemologica che trasforma la separazione in un possibile radicamento, prima, e in memoria della svolta, poi.
Dai frammenti maya alle Centurie di Nostradamus, dalle profezie dell'Antichità alle predizioni New Age, la fine del mondo ossessiona le coscienze, abita la letteratura e pretende di anticipare la storia. Sono però il giudaismo e il cristianesimo la matrice dell'apocalittica. Ed è da lì che l'apocalisse riceve tutto il suo significato. Ecco allora che David Hamidovi? ci guida fra bestiari, esseri celesti, creature soprannaturali. Ci illustra giudizi universali, inferi spaventosi e paradisi sognati. Ci accompagna a interpretare gli universi futuri delineati dal libro di Daniele e da quello di Enoc, dai Giubilei e dall'Apocalisse di Giovanni. Ci mostra quanto le visioni sulla fine dei tempi dipendano ogni volta dal tempo in cui furono scritte. Rinnovando questo campo di ricerca - l'apocalittica -, lo storico francese esplora i diversi modi in cui muta la rappresentazione del divino, in cui viene rielaborata la sapienza tradizionale, in cui l'escatologia si produce in forme singolari. E illustra da quali ambienti sorgono questi fenomeni culturali e religiosi, in epoche di rivolgimenti. Questo studio, svelandoci come l'esaltazione dell'onnipotenza costituisca un antidoto per i tempi di crisi, mette in luce la parte di Dio e quella degli uomini. In una lezione che vale per ieri e, a maggior ragione, vale per oggi.
Dell'abuso sessuale sui minori - crimine scandaloso, fra i più odiosi che si possano commettere - si parla oggi apertamente nelle nostre società: e già aver tolto il velo dell'ipocrisia è una dato positivo. Sappiamo poi che il rischio di abuso esiste ovunque vi siano dei bambini, e in primo luogo in famiglia: sicché la posta in gioco è enorme. Se le conseguenze di abusi sessuali perpetrati ai danni di un minore sono oggi abbastanza note e si sa come farvi fronte al meglio, non altrettanto si può dire del modo di "trattare" e di "recuperare" gli autori di aggressioni sessuali. Ecco allora l'obiettivo di quest'opera: capire il percorso mentale degli autori di abusi sessuali - siano essi preti, educatori, padri di famiglia -, ma anche conoscere le terapie di cui è stata testata l'efficacia. L'autore, Stéphane Joulain, adotta un approccio olistico e non tralascia né le valutazioni morali dell'abuso né la necessità di farsi carico della dimensione spirituale della vita degli autori di abuso, quando si tratta di religiosi o di persone credenti. Il tutto, però, naturalmente, mettendo sempre la vittima al centro dell'attenzione. Prevenzione degli abusi: un tema scottante, trattato in base a esperienze e competenze maturate dall'autore a livello internazionale. «Quest'opera contribuirà a sviluppare ciò che di meglio abbiamo da offrire nella lotta contro gli abusi sessuali. Per il bene di tutti e, in primo luogo, dei più vulnerabili: i bambini».
Emil Fackenheim ha vissuto in prima persona, da ebreo, il dramma del XX secolo in tutta la sua terribile profondità. Mai come allora si è rivelata la volontà esplicita e scientifica di annientare l'uomo ebreo e, perciò, l'uomo tout-court.
Per moltissimi, ancor oggi, Auschwitz e la Shoah sono un semplice episodio nella storia europea: un episodio che, per quanto triste e umiliante per la "cultura cristiana", appartiene irrimediabilmente al passato. Quando ai cristiani stessi, il più delle volte questo dramma non ha posto un vero problema alla loro fede in Dio.
Non è stato così per svariati filosofi e teologi ebrei, i quali hanno sviluppato una vera e propria "teologia dell'Olocausto": questo saggio impressionante di Fackenheim ne è uno dei testi più significativi.
Introduzione all'edizione italiana di Cornelis A. RijK, «Il lettore cristiano apprenderà qui a discernere meglio i segni della presenza divina nella storia. Al tempo stesso, la coscienza della storicità della fede contribuirà in lui a sviluppare un maggiore senso di responsabilità verso la storia».
Questo testo lancia provocatoriamente una sfida che nasce da un ribaltamento di prospettiva. Se si vuole andare alla ricerca di un senso possibile del fenomeno della mobilità umana, è troppo poco limitarsi a sapere se coloro che si spostano hanno un futuro nel Paese d'arrivo. Al contrario, si potrebbe provare a chiedersi se queste persone danno un futuro e dischiudono prospettive alle società in cui giungono. Questo capovolgimento è la chiave di volta che il cosiddetto "pensiero generativo" vuole offrire al dibattito sulle migrazioni. L'attualissimo lavoro di Emanuele Iula, più che voler essere esaustivo, punta sulla profondità del rapporto che si genera tra i dati raccolti dalle varie statistiche in circolazione e alcune interpretazioni di autori che si sono sforzati di andare oltre i dati, per cogliere un senso diverso e implicito al migrare. Per questa ragione, una delle direttrici seguite è stato il costante tentativo di dialogo con saperi e discipline diverse: filosofia, sociologia, antropologia e, non ultima, la teologia biblica. L'intento può apparire ambizioso. Forse lo è davvero. Ma consente di contribuire al dibattito più ampio. «E se scoprissimo che i fenomeni migratori, anziché una reazione a un qualche disagio, sono in realtà la risposta a una domanda ben più profonda?» (Emanuele Iula).
«La morte ha una pessima reputazione. Perché mai dovremmo gioire di dover morire, anziché fuggire dai nostri limiti e dalla nostra finitudine?
Propongo qui una risposta umanista a questa domanda. Risvegliando due sentimenti: il senso di angoscia e il senso del tragico. L’erosione di questi due sentimenti segna la disumanizzazione, crea la soglia del post-umano». (Robert Redeker)
Descrizione
Il nostro non è forse il tempo dell’eclissi della morte? Tra sogni d’immortalità, culto della giovinezza e paura del cadavere, la morte non deve più fare parte della vita. Viene nascosta, snaturata, eclissata. Ed è un’eclissi sia nel linguaggio (dove per esempio “lasciare” ha sostituito “morire”) sia nell’ambito sociale (per cui la morte è stata evacuata dalla città). E il transumanesimo porta oggi a compimento tale eclissi, decretando che la vita è ormai senza morte e la morte senza vita.
È allora questa la difficoltà che viene affrontata da Redeker: quella di una vita che non è più ordinata verso una fine, verso la morte che le conferiva profondità e significato. Analizzando ciò che l’eclissi della morte dice del nostro tempo, il filosofo francese evoca i temi della cremazione, dell’eutanasia, del posto del corpo. E pone questa domanda scandalosa per la società contemporanea: perché mai dovremmo gioire di dover morire?
Commento
Un testo inusuale, provocatorio e salutare, in cui l’eclissi della morte è denunciata come perdita di umanità per tutti noi.
In questo lavoro maturo Gutiérrez offre una lettura originale del libro di Giobbe - uno dei testi più belli della Scrittura giudeo-cristiana -, fondendo vigoroso pensiero teologico e tenero linguaggio poetico. Giobbe percorre una via lastricata di dolore e solitudine, che lo porta dal linguaggio della tragedia - il lamento del povero e del piccolo, per la sofferenza umana immotivata e irragionevole -, al linguaggio della profezia - la proclamazione della verità e della giustizia che grida al cielo (e alla terra) di fronte all'innocente spogliato di tutto -, al linguaggio della gratuità - l'illuminazione della brezza leggera dell'amore gratuito di Dio. Mai Giobbe arriva a maledire Dio. Con lui sempre combatte e, alla fine della lotta, lo benedice: «Ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto».
La lettura esegetica si addentra nel carattere di questo imprendibile personaggio biblico, “renitente alla chiamata”, restituendogli dignità e profondità: ne fa anzi una guida per il lettore e la lettrice di oggi, assetati di “profezia”. La lettura contestuale-familiare disegna poi una traccia per gli sposi: anch’essi sono chiamati a non fuggire, ma anzi a superare tempeste,
ad entrare nel ventre del pesce, ad andare infine a Ninive, per annunciare
attraverso la loro carne e il loro vissuto quotidiano che il sacramento delle nozze non teme ostacoli, anzi abbraccia la realtà facendosi voce del
Dio di misericordia.
Le due grandi parti del libro, intimamente collegate fra loro, offrono sorprendenti connessioni e reciproci fecondi rimandi fra testo biblico e quotidianità familiare, raccontando come la fedeltà di coppia si innervi e si muova all’interno della fede ecclesiale.
La situazione che von Balthasar evoca in Cordula – testo divenuto classico – è quella di una chiesa profondamente turbata, di una comunità smarrita sia nei concetti sia nella prassi: vittima di una qualche tragica illusione che impedisce di esserne chiaramente coscienti.
Esiste un criterio per stabilire con certezza che la strada che i cristiani stanno percorrendo è quella giusta?
Il criterio esiste, inequivocabilmente; ed è uno solo: la croce di Cristo. Lì si manifesta la gloria di Dio, il quale nella testimonianza del Figlio che si sacrifica fino alla morte si rivela come dono totale di sé.
Il caso serio è dunque l’essenza del cristianesimo. Il caso serio è il criterio costitutivo della vita della chiesa, sempre.
Un saggio intelligente e documentato che analizza in tutte le sue sfaccettature la prassi di battezzare gli infanti, una prassi antica come la chiesa, ma la cui liceità e sensatezza viene periodicamente - e, soprattutto, in tempi recenti - messa in dubbio dal dibattito teologico. Alle fondamentali linee di comprensione teologica, indispensabili per inquadrare la questione con sapienza e spirito critico, l'Autore affianca un insieme di spunti e criteri per la prassi pastorale, a beneficio di parroci, operatori laici, ma anche ad uso dei semplici genitori.
Supportando il discorso teorico con l'ascolto di testimonianze emblematiche, il libro porta in primo piano gli interrogativi morali, l'esigenza di giustizia, la domanda di senso che la condizione disabile evoca in tutti. Accostandosi ai disabili in quanto persone, mette in luce ciò che l'handicap dice a proposito della condizione umana universale, segnata tanto da una dignità inestimabile quanto da una ineluttabile vulnerabilità.
L'autore propone di tornare all'essenziale: cioe alla Bibbia. E' alla luce dei vangeli che le false rivelazioni de 'Il Codice da Vinci' vengono esaminate una per una.
Filosofa attenta alle radici ebraiche della nostra cultura, Catherine Chalier affronta qui un tema spesso trascurato in filosofia per la sua dimensione emozionale.
L'umorismo è un atteggiamento che, in virtù di una fiducia più profonda, riconosce, in mezzo alle assurdità e alle debolezze spesso curiose della vita umana, una sorta di velata amabilità. È di questo 'umorismo' di Dio su e con gli esseri umani che il libro di Giona, questa meravigliosa fiaba biblica, dà testimonianza.
I genetisti giocano alla creazione. Il grande capitale detta legge sullo sviluppo.
Contemporaneamente il nostro rapporto con la natura mostra conseguenze catastrofiche in formato apocalittico. Come si fa, in un’epoca che sembra determinata dai calcoli biotecnologici ed economici, a parlare ancora di Dio, anima, significato? Drewermann, che, come nessun altro teologo, ha familiarità con le moderne scienze naturali e lo ha dimostrato con un’ampia produzione saggistica e letteraria, si concentra qui sulle questioni capitali – e prende posizione. La sua convinzione: abbiamo bisogno della religione più urgentemente che mai, perché le scienze naturali non sono in grado di rispondere alla domanda che riguarda il senso della nostra vita, alla domanda che chiede da dove viene e dove va l’essere umano. Ma il senso è possibile solo se osserviamo l’interezza della creazione. Una religione, che sia in grado di opporsi alla distruzione del senso, del significato, è possibile soltanto in un nuovo accordo delle religioni: religione non come archivio di un sapere sicuro, bensì come via esistenziale come la richiede Gesù di Nazareth. Le tesi di Drewermann suonano provocatorie. Ma quello che egli ha da dire tocca ciò che molte persone pensano e sentono.
Un orientamento etico globale del famoso teologo Hans Kung.
Sintesi di una vita di studio e di meditazione, dove l'autore ribadisce il suo messaggio appassionato in difesa dell'uomo.
"C'è speranza per la fede?", chiede Drewermann all'inizio del XXI secolo. «Che cosa sia la religione e che cosa abbia da dire, sono cose che sapremo solo dando voce a noi stessi: con i nostri bisogni, con le nostre fragilità, con le nostre angosce, con i nostri fallimenti, con i nostri dubbi e disperazioni. Una religione, che non si interessa di ciò, si affonda da sola urtando contro il solenne vuoto di contenuto delle sue espressioni dottrinali».
E restano gli interrogativi: «Chi siamo noi esseri umani? come affrontiamo le conseguenze di un'immagine radicalmente mutata del mondo e della natura?». Prendendo le mosse da questi interrogativi, Drewermann riconosce, sia nelle tradizioni bibliche sia in quelle di altre religioni, molti approcci che prendono terapeuticamente sul serio la sofferenza delle persone e sono adatti per mitigarla. E così egli rivolge lo sguardo su ciò che Gesù voleva, ciò che Lutero intendeva, ciò che vi sarebbe da imparare dal Buddha, dal saggio cinese Lao Tzu e dal profeta Mohammed. Indipendentemente da tutte le deformazioni delle istituzioni religiose, noi ci imbattiamo ovunque nelle enunciazioni sostanziali che colpiscono l'essere umano al cuore e gli sono necessarie esistenzialmente per diventare e restare capace di vivere e di sopravvivere, quindi capace di sperare.
Per Drewermann è in gioco la conservazione e la conferma dello spirito di umanità. L'ultimo capitolo riprende quattordici voci che danno risposta alla domanda di che cosa intende l'Autore quando parla di Dio, creazione, fede, risurrezione, peccato originale, redenzione, chiesa, angelo, diavolo e di altre essenziali tematiche religiose.
Uno dei piu eminenti rappresentanti del cattolicesimo esprime la sua opinione sul futuro della religione e della chiesa.
L'autrice passa in rassegna le fonti dell'amicizia di Dio, analizzando la tradizione biblico-cristiana e la letteratura contemporanea.
Una coppia, un esegeta e un pastoralista leggono il Cantico dei Cantici.
Saggi sulla gioia della liberta e sul piacere del gioco.
Prediche di Bultmann tenute all'Universita di Marburgo negli anni 1936-1950.
Raccolte di conferenze e interventi sulla teologia della speranza.
Questo libro risulta dall'accostamento di due lavori fatti da Dietrich Bonhoeffer su commissione. In entrambi i casi è evidente che la richiesta, un po' marginale rispetto ai veri impegni di Bonhoeffer, è stata da lui soddisfatta volentieri.
Venga il tuo regno era una conferenza. Johannes Kühne, allora direttore degli studi superiori nella fondazione Holfbauer a Potsdam-Hermannswerder, aveva invitato teologi, scrittori e artisti, nella settimana della festa della penitenza del 1932, a parlare a insegnanti, ospiti e alunni dell'istituto.
Le dieci parole del Signore: prima tavola è un manoscritto buttato giù su pessima carta durante la prigionia a Tegel. Qualcuno, che non è noto, aveva chiesto il commento.
Nella conferenza del 1932 Bonhoeffer afferma che il «Regnum Christi» comprende la cristianità e il mondo, la chiesa e lo stato; nella seconda opera scritta in carcere, dodici anni dopo, esorta a celebrare la festa senza indecisioni e debolezze.
Un profilo di Israele, come realta geografica, storica e religiosa.
Il teologo Karl Barth rende omaggio al genio di Salisburgo con parole di stima, affetto e riconoscenza. Gli angeli quando devono rendere omaggio a Dio suonano Bach, ma quando sono tra di loro suonano Mozart, e anche Dio se ne compiace". "
La vita di Gesu come modello della psicoterapia.
Un libro di lavoro e di lettura, completato da brani letterari, commenti e retrospettive storiche.
Quarta edizione del volume che studia il fondamento teologico del piacere sessuale.
Una interpretazione dei primi capitoli della Genesi con una nuova chiave di lettura, firmata da uno dei piu noti biblisti latinoamericani.
Maria di Magdala e il mito della peccatrice redenta nella tradizione occidentale.
I saggi di Kung mettono in risalto le tracce della trascendenza nella musica di Mozart.
La posta in gioco nella Chiesa di oggi - dopo la pubblicazione del 'Catechismo della Chiesa cattolica' (1992) e dell'enciclica 'Veritatis Splendor' (1993) sull'insegnamento morale della Chiesa - non è una posta in gioco settoriale, che riguardi solo alcuni aspetti della vita ecclesiale e della missione della Chiesa nel mondo, ma - secondo il noto teologo moralista Bernhard Häring - è una posta in gioco globale, perché concerne l'essere della Chiesa nella sua totalità. In questo senso, «È tutto in gioco»: vissuto ecclesiale, predicazione, dottrina e prassi.