L'allarme per un ipotetico ritorno del fascismo guarda nella direzione sbagliata. L'attenzione degli allarmati democratici si concentra sui segnali più vistosi: gesti identitari (saluti romani, croci celtiche), violenze fisiche, manifestazioni di odio razziale. Si tratta di fenomeni esecrabili, ma appunto perché plateali forse meno pericolosi rispetto a quelli meno immediatamente evidenti: i movimenti politici che, pur ripudiando il ricorso alla violenza agita sul piano fisico (ma non su quello verbale) e pur muovendosi all'interno delle regole del gioco democratico, manifestano chiari caratteri ereditari del fascismo novecentesco. Sono quei partiti - spesso difficilmente riconducibili alle categorie di destra e sinistra - che vengono convenzionalmente definiti come populisti o sovranisti. Mentre i nostalgici dichiarati del nazifascismo non sono che un fenomeno di nicchia, i populisti europei e americani discendono, consapevolmente o inconsapevolmente, non dal Mussolini fondatore del partito fascista ma dal Mussolini che per primo intuisce i meccanismi della seduzione politica nella società di massa. Dopo anni dedicati a un corpo a corpo storico e letterario con i protagonisti del fascismo novecentesco, Scurati si solleva sopra quella materia bruciante e in queste pagine ne individua con limpida precisione le leggi e le eterne insidie, consegnandoci un testo fondamentale per affrontare l'epoca inquieta che stiamo attraversando.
Non è vero - neanche in tempi di crisi - che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono, nelle democrazie mercantili, saperi ritenuti "inutili" che invece si rivelano di una straordinaria utilità. In questo saggio, Nuccio Ordine attira la nostra attenzione sull'utilità dell'inutile e sull'inutilità dell'utile. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi (Platone, Aristotele, Zhuang-zi, Pico della Mirandola, Montaigne, Bruno, Kant, Tocqueville, Newman, Heidegger) e di grandi scrittori (Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Cervantes, Lessing, Dickens, Gautiér, Kakuzo Okakura, Garcia Lorca, Garcia Màrquez, Ionesco, Calvino), Nuccio Ordine mostra come l'ossessione del possesso e il culto dell'utilità finiscono per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l'arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignità, l'amore e la verità.
"Entrai a piedi nella città, passai di fianco alle grandi carceri di San Vittore, diedi una benedizione e pensai: lì vivono migliaia di persone che devo andare a trovare." Con queste parole Carlo Maria Martini ricordava il suo ingresso a Milano il 10 febbraio 1980. Dalle visite in carcere che fece lungo tutto il suo mandato episcopale nasce la riflessione racchiusa in queste pagine: come e perché fare in modo che la pena sia giustizia ma anche ricomposizione? Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia, si confrontano con il magistero di Martini spiegando il valore che esso continua a racchiudere e la necessità ancora viva di ciò che l'arcivescovo auspicava: una giustizia che ricucia i rapporti piuttosto che reciderli, promuova i valori della convivenza civile, porti in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso.
Un manuale tattico leggero per chi non sente più battere il cuore quando si parla della Chiesa cattolica. Una raccolta di consigli pratici per sventare alcuni gravi pericoli e sopravvivere alla Chiesa (che in teoria sta dalla tua parte ma in pratica ti tollera a malapena).
Quando Leopardi scrive "L'Infinito" ha vent'anni. È un giovane curioso, coltissimo, cresciuto in un mondo di vecchi, in ascolto dell'altro mondo là fuori che pullula di possibilità e tensioni. Un giovane naturalmente aperto ad altre culture e altre lingue, pronto a rinunciare alle consolazioni del cattolicesimo che dà troppe risposte per aprirsi alla sfida delle domande. Un giovane che si è educato da sé pescando nel repertorio caotico e pulsante dell'antichità, che si avvicina agli slanci della nuova politica cercandovi soprattutto una possibilità di amicizia e condivisione. Ma anche nelle ideologie scoprirà ben presto solo poveri tentativi consolatori. E dunque che cosa rimane al giovanissimo Leopardi già deluso dal mondo? La ricchezza di un'immaginazione che gli mostra mondi, là dove la realtà glieli nega o li chiude. Questo piccolo libro incornicia la nascita di una delle poesie italiane più celebri. È un'esortazione a non capire Leopardi, a lasciarlo vivere e parlare, mettendosi in ascolto "del suo sapere reale, sorgivo, che viene al mondo". È un viatico prezioso per ogni giovane lettore e un invito alla rilettura per i lettori più maturi.
"Quando sarò vecchio racconterò anch'io una storia ai miei figli. Di questa storia al momento conosco solo l'inizio. La fine non è stata ancora scritta."
"Non abbiamo tempo? E allora leggiamo in treno, in aereo, nella metro, a letto, sotto il tavolo, sotto il banco. Leggere per vivere vuol dire attingere a quell'energia che fa essere la realtà diversa da una prigione, e dobbiamo diventare lettori selvaggi proprio ora che non abbiamo tempo": Giuseppe Montesano parte dal suo Lettori selvaggi per distillare un appassionato pamphlet che compendia un'intera visione dell'uomo e della conoscenza e si propone come rifondazione di un umanesimo contemporaneo. Montesano parla a ciascuno di noi: a chi gli si siede vicino in metropolitana, a chi rifugge ogni slogan e certezza, a chi non teme la propria ignoranza perché sa trasformarla in sete di conoscenza. Con le pagine di questo libro partiamo per un viaggio attraverso le conquiste delle neuroscienze che si ribellano alla dittatura digitale, siamo investiti dal grido di chi non accetta le semplificazioni sciocche spacciate per progresso, e siamo colti dallo stupore sprigionato da una poesia letta ad alta voce e condivisa parola per parola. Montesano argomenta e racconta, e ci ricorda che aprire un libro vuol dire entrare nel regno della libertà. Il lettore disposto a lasciarsi cambiare dai libri che incontra, pronto a nascere e ad amare di nuovo a ogni pagina, è un lettore selvaggio: nell'avventura ha da perdere solo la sua prigionia, e ha tutta la vita da guadagnare.
Che cos’hanno in comune Mary Quant e la Lady di Ferro, la principessa più principessa del mondo e Virginia Woolf? La patria, la lingua, la cultura; la tenacia, la personalità, la capacità di trasformazione. Roberto Bertinetti racconta con penna elegante, leggera e precisa, a tratti ironica, a tratti complice, qualche volta impietosa il segno che hanno lasciato nella storia come nella vita culturale e sociale del loro Paese. Ne risultano tanti ritratti di tempi diversi, di modi diversi di vivere e conquistare il proprio spazio nel mondo, a comporre un disegno complessivo che dà conto dell'estrema forza di queste donne, delle loro energie, del loro modo specialissimo di essere e di saper cambiare.
Oggi la memoria collettiva di una società passa anche attraverso la Rete, che per molti di noi è divenuta la prima, per non dire l'esclusiva, fonte di conoscenza, il nostro luogo di archiviazione e lo spazio dove i dibattiti si formano, si alimentano e muoiono. La Rete è però priva dell'autorità propria di una fonte storica, cambia perennemente per sua stessa natura, è condizionata dalla curiosità di chi la compulsa ma anche dalle insidie dell'esercizio del diritto all'oblio. Quali implicazioni tutto ciò può comportare sulla memoria? Quale equilibrio può esistere oggi tra il diritto all'oblio, che è un diritto personale - quello di ogni essere umano a evolvere, a divenire una persona diversa e libera dai fatti di cui è stato protagonista - e il dovere della memoria, che è un'esigenza collettiva? L'oblio personale, di singoli pezzetti di una storia più alta e complessa, può sembrare poca cosa. Ma sono proprio le piccole storie individuali, nel bene come nel male, a fare da architrave all'edificio, che altrimenti diventa impenetrabile. Ebbene per capire la Storia - e non perdere la memoria - c'è bisogno di conoscere tutti i singoli ingranaggi, grandi e piccoli. Anche questo è un diritto. Il non oblio.
L'innovazione è stata a lungo italiana e lo è ancora, ma schiacciati come siamo dalla propaganda da Silicon Valley che confonde consapevolmente innovazione con successo commerciale ce ne siamo dimenticati, o forse non l'abbiamo mai saputo. Massimo Sideri, firma del "Corriere della Sera" ed esperto di innovazione, sfoglia il passato remoto e prossimo isolando una serie di cortocircuiti scientifici e tecnici che sono da attribuire a uomini di genio italiani e che curiosamente sono poco noti. Dagli occhiali al vuoto, dal pianoforte alla matita, dal copyright ai primi libri tascabili, dal microchip alle cellule staminali, una lista curiosa che rivela i risultati della creatività italiana all'opera.
Monferrato, 1943. Lisa Vita Finzi ed Enrico Levi, zio del futuro scrittore Primo, fuggiti da Genova in campagna allo scoppio della guerra, dopo l'8 settembre capiscono di non essere più al sicuro tra le mura del palazzo dei Martinenghi dove si erano trasferiti all'inizio del 1941. Con una coppia di amici cercano rifugio a Lerma nell'antico santuario della Rocchetta, dove da qualche anno è approdato uno strano prete, don Luigi Mazzarello. Intelligente, affascinante e dal passato turbolento, don Luigi riuscirà con abilità a resistere alle intimidazioni dei nazifascisti e a salvare la vita dei suoi protetti ebrei, mentre nei monti circostanti infuria una delle peggiori stragi nazifasciste del nostro paese, l'eccidio della "Benedicta", che portò all'uccisione di 147 partigiani e alla deportazione in Germania di molti altri giovani. "Quattro ore nelle tenebre" ricostruisce questa vicenda drammatica, una delle tante piccole luci che si accesero nel momento più cupo della storia.
Nella letteratura di tutti i tempi, da Omero a Virgilio, da Ariosto a Tasso, due figure interpretano variazioni di una stessa danza: si inseguono, si avvicinano, si corteggiano, si tradiscono, si abbandonano. L'eroe, l'uomo responsabile delle vite altrui, chiamato dal destino a compiere grandi imprese, si lascia salvare dalla bellezza, cullandosi nel piacere sottile della stasi. La maga lo accoglie e lo ama, rendendolo temporaneamente sordo al richiamo imperioso del mondo. Ma l'eroe non decide nulla per sé, obbedisce a un volere superiore, e la maga, dopo essersi presa il meglio di lui e averlo blandito e vezzeggiato, è condannata a lasciarlo andare. La solitudine per tutti e due è la fine della storia: l'eroe sarà costretto ad abbandonare l'amore per non tradire il destino, eppure la maga continuerà a illudersi "di poter chiudere il vento in una rete, la forza in un giardino."
Nel mondo nuovo ognuno di noi è "indaffarato": sia nell'ansioso tentativo di restare sempre connesso sia nel condividere, nello scambiarsi qualcosa. La cultura umanistica, ridotta a materia per specialisti è tradita da se stessa per aver giustificato la barbarie, interroga oggi la nostra concreta esistenza. La tradizione può tornare a parlare. Le sue parole, scritte sui muri della metropolitana e nello spazio immateriale della Rete, invocano di essere messe alla prova. Le nuove generazioni leggono poco, appaiono smemorate, fanno troppe cose simultaneamente e sono meno abili a manipolare la lingua, però chiedono alle idee di incarnarsi in pratiche di vita (altrimenti non vi si appassionano), e tentano di rideclinare il concetto di intelligenza (come coerenza tra ciò che uno dice e ciò che uno fa) e quello di impegno (legandolo al quotidiano, non all'ideologia). E almeno nelle minoranze più attive l'etica vissuta prevale sul "culturalismo" e sul sapere libresco, l'umanità tangibile su un umanesimo disincarnato, l'esempio concreto sulle idee astratte.
Primavera 2017. Vendere il Colosseo per ridurre il debito pubblico: per quanto incredibile, l'ipotesi avanzata da un economista dal nome rivelatore, Ermanno Buio, sulla prima pagina di un quotidiano romano in crisi prende corpo nella Capitale grazie alla combinazione di una serie di fattori imprevedibili. Il Governo dei Ragazzi è caduto dopo che il suo Capo ha perso le elezioni; al suo posto è arrivato un Successore privo di scrupoli, pronto a tutto pur di salvare l'Italia dal default, scaricando su chi lo ha preceduto le colpe di una situazione ingestibile. "Il Vento", diretto da uno stravagante cronista di nera, Dino Bricco, si trova così al centro di una vicenda internazionale, in cui i mercati e i grandi quotidiani che li rappresentano, il "Financial Times" e il "Wall Street Journal", premono perché l'Italia risani al più presto il suo bilancio. E spunta a sorpresa uno sceicco arabo, Ibn Al Taib, che vuole togliersi il capriccio di comperare il monumento più conosciuto al mondo, smontarlo e portarselo a casa. Nei palazzi romani della politica si moltiplicano le opposizioni a un piano che rasenta la follia, ma il Successore è inarrestabile. Tutti i protagonisti ignorano un'angosciosa profezia che grava sul Colosseo e su Roma. Sarà questo dettaglio niente affatto trascurabile a provocare in conclusione un inatteso capovolgimento.
Di che cosa parliamo quando parliamo di innovazione? Massimiano Bucchi ci racconta come dietro questa parola abusata vi siano percorsi concreti, tortuosi e molto affascinanti. Dalla forchetta al kalashnikov, questo libro intreccia le storie delle intuizioni che hanno cambiato le nostre vite, dimostrando la loro natura di processi non lineari e collettivi, che non possono essere ricondotti all'intuizione di un genio isolato ma che nascono da contributi spesso inaspettati. Storie di innovazioni concettuali, come la sequenza QWERTY sulle tastiere che tutti usiamo quotidianamente; di innovazioni nello sport, dal contropiede italiano al salto alla Fosbury; o nell'universo culturale, dal Monopoli allo spaghetti western. Storie di percorsi innovativi sorprendenti, come quello che portò un fisico a inventare il primo videogioco della storia o un regista a introdurre il "conto alla rovescia" che tutti oggi identifichiamo con l'esplorazione spaziale. Dalla cultura alla tecnica, dallo sport al cinema e alla tavola, il racconto curioso e istruttivo di piccole svolte diventate grandi cambiamenti.
Prevedendo l'imminente fine del mondo, sette saggi provenienti dai quattro angoli del mondo si incontrano a Tulanka, un monastero sperduto tra le montagne tibetane, per trasmettere a Tenzin e Natina, due giovani adolescenti, le chiavi della saggezza universale. Al di là delle differenze culturali e storiche delle loro rispettive tradizioni, i sette saggi si lasciano ispirare da quella che i filosofi dell'antichità chiamano "l'anima del mondo": la forza misteriosa e buona che mantiene l'armonia dell'universo. Il loro messaggio filosofico e spirituale risponde agli interrogativi cruciali che si pone ogni essere umano: qual è il senso della mia esistenza? Come conciliare le esigenze del mio corpo con i bisogni della mia anima? Come imparare a conoscere me stesso e a realizzare il mio potenziale creativo? Come passare dalla paura all'amore e contribuire alla trasformazione del mondo?
"La vita non aspetta nessuno: né ordinati, né disordinati. Non fa differenze, lei. Il suono dell'ultimo gong può sorprenderci in qualunque momento e nulla importa a chi lo suona se quell'istante ci trova nudi o elegantissimi, giovani o vecchi, ricchi o poveri, pronti o impreparati. E nemmeno se siamo ordinati o no." Passiamo buona parte della nostra vita cercando di metterla in ordine: a casa, sul lavoro, persino dentro noi stessi. A cosa rinunciamo mentre impieghiamo così tanta energia nella ricerca di un ordine perfetto? E se scoprissimo troppo tardi che ciò che ci rende davvero felici non nasce dalla disciplina ma dal caos? Anne Marie Canda ci invita a ripensare tutta la nostra vita, a vedere quanti limiti imponiamo a noi stessi e quanto tempo perdiamo abbracciando un'idea dell'universo e dell'esistenza fondata sull'ordine.
Tu chi sei? Io sono Nonno Bach. Comincia così, con una domanda semplice e una risposta curiosa, la conversazione che Ramin Bahrami intreccia con un bambino vestendo i panni dell'amatissimo Johann Sebastian, che ha scelto come guida, sommo maestro e nume tutelare fin da quando era a sua volta un bambino. Per Bahrami non c'è alcun dubbio: Bach è il musicista più grande di tutti i tempi. E dargli voce vuol dire farlo conoscere a chi ne coglie solo la solennità distante e rischia di farsi intimidire da quella sua apparenza così seria. Bach amava la vita, il buon vino, le risate, la sua famiglia, ed era curioso, irascibile, veemente. Irascibile lo è ancora, in verità, quando dal paradiso dei musicisti guarda in giù e vede un mondo che non gli piace, dominato dall'egoismo e dal calcolo. Ma cambiare si può, e Bach-Bahrami non si stanca di ripeterlo: basta aprire cuore alla musica e lasciarla entrare. Età di lettura: da 12 anni.
"Allorché doniamo ogni parte di noi all'altro, non abbiamo più nulla da temere."
"Ogni Giorno della memoria si ripete sempre nello stesso modo: si parla molto di Auschwitz, si parla di Birkenau o Treblinka, di Buchenwald o di Mauthausen, ma quasi mai di Dora-Mittelbau, di Natzweiler-Struthof e altri campi riservati ai Triangoli rossi, i deportati politici. E spesso mi risentivo, qualche volta a voce alta, non perché sono stato un Triangolo rosso anch'io, bensì perché avere sul petto, sotto il numero che sostituiva il nome e il cognome, il triangolo rosso, significava che ero stato catturato perché come soldato non mi ero presentato all'autorità militare nazista, ma avevo scelto di oppormi in nome della libertà. Ecco, questa era la ragione del mio risentimento: bisognava ricordare come l'opposizione nei diversi paesi si fosse organizzata anche in resistenza attiva, certo soprattutto clandestina, ma non solo." (Boris Pahor). Con la collaborazione di Tatjana Rojc.
"Non dirlo" è l'ordine che Gesù fa seguire a ogni miracolo che compie, la chiave del segreto di personalità che costituisce la trama della sua avventura terrena. Il Vangelo di Marco è il Vangelo d'azione, il primo, il più breve, il più imperscrutabile. Sandro Veronesi spreme fino all'ultima stilla il succo di questo testo e lo propone nella sua scintillante modernità. Scritto a Roma per i romani, il Vangelo di Marco è, nel racconto di Veronesi, una raffinata macchina da conversione, sintonizzata sull'immaginario dei suoi destinatari e per questo più simile ai film di Tarantino che ai testi con i quali gli altri evangelisti raccontano la stessa storia. È una miniera di scoperte sorprendenti, che riportano il Cristianesimo alla sua primitiva potenza componendo il ritratto di un enigmatico eroe solitario, il cui sacrificio ancora oggi rappresenta uno sconvolgente paradosso: che ci sia bisogno della morte di un innocente per potersi liberare del proprio nulla. Sandro Veronesi ha tratto da "Non dirlo" un monologo teatrale: proprio come il Vangelo stesso la sua destinazione è la comunicazione orale, "da bocca a orecchio, con la fondamentale messa in gioco del corpo e del contatto visivo tra autore e uditore".
Più che la scimitarra, la forbice. Questa era la percezione dell'islam nell'immaginario degli italiani. Le forbici sul fez del "Turco Napolitano", una delle più fortunate maschere di Totò, la simpatia malandrina del Sarracino cantato da Carosone o l'alone fiabesco del Saladino della pubblicità Perugina. Da religione residuale l'islam oggi è diventato l'incubo di tutti; bussa alla porta di ciascuno di noi, insinuandosi nella nostra più privata quotidianità. Della strage di "Charlie Hebdo" a Parigi resta un fotogramma: un musulmano che spara a un altro musulmano. Due individui colti nel momento in cui la guerra civile globale diventa - ben oltre l'immagine - un fatto conclamato. Il primo uccide in nome di Allah, il secondo muore invocandolo. È una guerra civile all'interno dell'islam quella che, nel solco delle primavere arabe, dei flussi migratori e del dilagare del terrorismo internazionale, incendia la comunità musulmana. Si chiama fitna ed è la discordia insanabile, una faida che non trova tregua e che trascina nel proprio gorgo tutti. L'Isis cancella coi caterpillar l'antica città di Hatra. Come a Mosul, così a Nimrud. Di duemila anni di storia resta la polvere e una minaccia: la demolizione delle Piramidi in Egitto. Uno scempio messo in atto dai terroristi che non risparmia neppure i luoghi santi della religione di Maometto. E senza risparmiare Mecca dove i fanatici, tra le tante memorie della devozione, non hanno esitato a distruggere la casa del primo califfo dell'islam...
Si può non temere l'Islam, oggi, dopo le minacce, le parole d'ordine gridate, le stragi? È un timore giustificato? E soprattutto: l'Islam è davvero, per sua natura, violento e antidemocratico come molti lo dipingono sull'onda degli ultimi avvenimenti? La risposta viene da questo libro, in cui Tahar Ben Jelloun dialoga con sua figlia - francese di origini musulmane, come moltissimi nell'Europa odierna. Ben Jelloun non perde tempo, la sua parola è semplice e netta. Descrive lo sdegno dei musulmani moderati di fronte a un fondamentalismo che deturpa la vera fede in Allah. Spiega cosa è l'Isis, come è nato, come è riuscito a far proseliti fra i giovani più fragili e disorientati dalla mancanza di lavoro, dalla miseria morale e materiale. Ma fa anche riflettere sulle responsabilità di noi occidentali, spesso indifferenti ai gravi disagi degli immigrati di prima e seconda generazione che popolano le nostre città. Questo vuole essere un libro di lotta e di resistenza. Fatte con l'arma più affilata di tutte: l'intelligenza.
"Il fine della vita è la vita stessa", scriveva Goethe. A dire il vero, non è che questa frase ci sia di grande aiuto. Slawomir Mrozek, invece, non ci abbandona al nostro destino e in questo libro, pensato e costruito assieme al leggendario fondatore della casa editrice Diogenes, Daniel Keel, affronta con humour pungente e raffinato tutti i temi più urgenti della nostra contraddittoria esistenza. E tutti in rigoroso ordine alfabetico, per permetterci una lettura più semplice e immediata. Ogni tema un apologo, fulminante e illuminante: Ambizione, Cambiamento, Destino, Libertà, Progresso, Verità e molti altri. Un dizionario ironico da consultare al bisogno: e quanto più assurde sono le suggestioni che ne ricaviamo, tanto più esse si rivelano utili e concrete. Perché ognuno di noi, per quanto abbia vissuto, è sempre un principiante nella vita.
"Il grande paradosso della felicità è che essa è allo stesso tempo indomabile e addomesticabile. Ha a che fare tanto col destino o la fortuna quanto con una componente razionale e volontaria. È questa una delle ragioni per cui non esiste una 'ricetta' della felicità valida per tutti". (Frédéric Lenoir)
Le poesie dei gatti di Eliot, illustrate da Axel Scheffler, il padre di Gruffalò. Il libro che ha ispirato il musical Cats", il capolavoro di Andrew Lloyd Webber vincitore di numerosi Tony Award e con innumerevoli repliche. "
Le frasi ispirate di Paulo Coelho, l'autore di "L'alchimista", "Il cammino di Santiago", "Monte Cinque", "Undici minuti", "Lo Zahir", solo per citare alcuni successi, scandiscono lo scorrere dell'anno in questa agenda che offre speranza e suggerimenti per la riflessione.
"Caravaggio è doppiamente contemporaneo. È contemporaneo perché c'è, perché viviamo contemporaneamente alle sue opere che continuano a vivere; ed è contemporaneo perché la sensibilità del nostro tempo gli ha restituito tutti i significati e l'importanza della sua opera. Non sono stati il Settecento o l'Ottocento a capire Caravaggio, ma il nostro Novecento. Caravaggio viene riscoperto in un'epoca fortemente improntata ai valori della realtà, del popolo, della lotta di classe. Ogni secolo sceglie i propri artisti. E questo garantisce un'attualizzazione, un'interpretazione di artisti che non sono più del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento ma appartengono al tempo che li capisce, che li interpreta, che li sente contemporanei. Tra questi, nessuno è più vicino a noi, alle nostre paure, ai nostri stupori, alle nostre emozioni, di quanto non sia Caravaggio." (Vittorio Sgorbi)
A inizio 1995 la rivista "Liberal" aveva proposto al Cardinal Martini e a Umberto Eco di aprire un dialogo. Questo libretto aveva poi riportato nel 1996 le lettere che i due si erano scambiati, ed era stato tradotto in seguito in sedici paesi. Anche in ricordo di un protagonista dei tempi nostri l'editore ritiene opportuno ripubblicare questo scambio epistolare che si è svolto in modo cordiale e franco sui problemi di importanza capitale che hanno spesso diviso i credenti da i non credenti, dal senso della storia al problema dell'aborto, dal sacerdozio delle donne alle possibilità di un'etica comune sia a chi crede che a chi non crede.
Lavorare manca, a chi il lavoro non lo trova ma anche a chi un lavoro ce l'ha: perché chi ci ha insegnato sin da bambini che il lavoro nobilita l'uomo ci ha fatto una promessa di felicità che è stata drammaticamente disattesa. E per noi italiani, che il lavoro l'abbiamo messo a fondamento della nostra repubblica, vederlo calpestato rappresenta una disastrosa sconfitta. "Lavorare manca" intreccia il racconto autobiografico alla polemica amara contro il liberismo e la globalizzazione finanziaria; e fa emergere le debolezze, la lentezza, l'inerzia del sistema Italia.
Qui non vi è stata alcuna rivoluzione dei lenzuoli. Qui si continua a dire che non vi è "alcuna infiltrazione mafiosa". Tutti dicono "qui" e non "da noi" e forse anche questo vuol dire qualcosa. La mafia rende tutto cenere. Se soffi sulla cenere non c'è nulla in essa che opponga resistenza per non volarsene via. Rendere cenere ogni cosa è la sua forza. Dove vi è cenere non vi è più nulla. Non c'è Stato. Non c'è sviluppo. Immutabile. Così com'è.
"Le lettere e le storie di questo libro non sono di semplici delinquenti. Sono "i mafiosi" e non quelli che hanno avuto a che fare con la mafia: ergastolani perché hanno ammazzato e ordinato di far ammazzare. Eppure l'Alta Sicurezza per loro non è la migliore difesa per noi. Perché il carcere che funziona non è quello che priva della libertà ma quello che produce libertà. Tra chi è "dentro" e chi è "fuori" si gioca la partita vera della legalità."
"'Torniamo al passato, faremo un progresso': questa citazione da Verdi suona in perfetta sintonia con il ritorno a me stesso che l'esercizio di questo libro comporta. Ciò che dico, infatti, non ha altro significato se non in quanto frutto di una lunga vita, nel corso della quale ho conosciuto, incontrato, scoperto molte cose, e vissuto le esperienze più varie. Un tale accumulo di memoria umana costituisce un tesoro di senso. E il fatto di avere attraversato un secolo pieno di invenzioni, speranze e orrori, di avere pienamente vissuto quell'avventura, che fonda la mia attuale credibilità. Perché forse ho un debito di senso con la vita - e posso permettermi, oggi, di restituirlo tramite la mia testimonianza." (Stéphane Hessel)
Ancora una volta nessuno dei due ha ragione o torto, ancora una volta quel senso di nausea che mi prende nonostante sia da trent'anni avvocato matrimonialista, quell'impotenza ad ergersi al di sopra delle parti per stabilire chi è il buono, chi il cattivo, chi è la vittima, chi il carnefice, unita alla consapevolezza che non esiste una verità assoluta, ma che ogni essere umano ha la sua e bisogna averne rispetto.
Gli ultimi anni hanno visto il ritorno silenzioso dello spirito conservatore: non solo in politica, ma anche nella vita quotidiana gli uomini dell'Occidente sembrano dividersi in due categorie: i conservatori e quelli che si apprestano a diventarlo. Tutti cercano di conservare quello che hanno: la propria bellezza, il proprio corpo, la propria prestanza, il proprio status. Il tempo è il nemico per eccellenza ed è sempre più diffusa una passione nostalgica che ci fa idealizzare quel che apparteneva al passato, nel più sentito scetticismo per il futuro e spesso nella delusione per il presente. Non tutto è male, però, in questa tendenza conservativa, anzi: il passato è da sempre un bene prezioso e forse il '900 ci aveva fatto trascurare le nostre origini e la nostra storia.
Il centro del mondo si è spostato in Nord Africa. Dopo la Tunisia, l’Egitto, e poi chissà quali altri paesi ancora. Il popolo invade le strade e riempie le piazze. La polizia in parte solidarizza in parte reprime. Frange di fondamentalismo si mischiano alla maggioranza che chiede diritti e libertà, stemperando il proprio potenziale violento. Il mondo sta a guardare e fatica a prendere posizione. La voce di Tahar Ben Jelloun si leva con lucidità per spiegare in modo semplice cosa è accaduto, cosa sta accadendo e cosa accadrà. “Cadono dei muri di Berlino”, dice l’autore, e niente dopo questi fatti sarà più come prima nel mondo arabo. Questi paesi stanno scoprendo, hanno scoperto e rivendicheranno d’ora in poi, il valore e l’autonomia dell’individuo in quanto cittadino. Dopo i best seller dedicati al razzismo e all’Islam, l’autore marocchino di nazionalità francese torna a prendere di petto l’attualità più bruciante con tesi che faranno molto discutere, per nulla tenere con l’Occidente. Quali sono le colpe dell’Europa e degli Usa? Davvero l’Europa e gli Usa vogliono l’autodeterminazione dei popoli arabi? Oppure fanno più comodo pseudo-dittatori che flirtano con la finanza mondiale e i governi occidentali? Il petrolio c’entra e in che misura? Molte domande, alcune risposte per cosa sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo.
Tahar Ben Jelloun, nato a Fès (Marocco) nel 1944, vive a Parigi. Poeta, romanziere e giornalista,ha vinto il Premio Goncourt nel 1987. È noto in Italia per i suoi numerosi libri, tra cui Creatura di sabbia, 1987; L’amicizia, 1994; Corrotto, 1994; L’ultimo amore è sempre il primo?, 1995; Nadia, 1996; Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998, giunto alla quarantottesima edizione (e ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); L’estrema solitudine, 1999; L’albergo dei poveri, 1999; La scuola o la scarpa, 2000; Il libro del buio, 2001 (International IMPAC Dublin Literary Award 2004); L’Islam spiegato ai nostri figli, 2001 (ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); Jenin, 2002; Amori stregati, 2003; L’ultimo amico, 2004; “La fatalità della bellezza”, in Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi, Notte senza fine, 2004; Non capisco il mondo arabo, 2006; Partire, 2007; L’uomo che amava troppo le donne, 2010.
Il Piccolo Principe con audiolibro
“TUTTI I GRANDI SONO STATI BAMBINI UNA VOLTA.
[MA POCHI DI ESSI SE NE RICORDANO].”
Antoine de Saint-Exupéry era un pilota, proprio come l’amico del piccolo principe. Viaggiava su piccoli aerei per portare la posta da un punto all’altro del Sud America, e viaggiando pensava molto, e dopo aver pensato scriveva. Quando venne la guerra, diventò pilota di guerra. Un giorno del 1944, era luglio, si alzò in volo sul Mediterraneo e non tornò più.
La ricchezza dell’Italia è il suo patrimonio artistico, ambientale e culturale, ma né le istituzioni né gli italiani sembrano rendersene conto. Anzi, voltano le spalle all’identità nazionale. Alla cultura lo stato destina sempre meno, appena lo 0,21% del bilancio, solo 21 centesimi ogni 100 euro spesi, mentre l’offesa sistematica a questa immensa risorsa ha una portata e un costo quasi incalcolabili: degrado, incuria, vandalismo, trascuratezza, saccheggi, burocrazia allontanano visitatori e turisti o non li richiamano come sarebbe possibile. Prima al mondo per il numero di siti inclusi nella lista dell’Unesco dei patrimoni dell’umanità, l’Italia continua infatti ad andare a marcia indietro nel turismo. Nel 1970 era in testa alla classifica mondiale per turisti stranieri ospitati, via via ha perso quote di mercato: oggi è solo quinta (superata da Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina) e andrà ancora più giù. Mentre arretriamo sul fronte internazionale, non si contano gli sprechi e gli abusi che quotidianamente svalutano, o distruggono, luoghi e opere d’arte che rischiamo di non poter più ammirare in futuro. Un’inchiesta completa e aggiornata, un viaggio attraverso gli errori e gli orrori che una malsana gestione del patrimonio sta seminando lungo lo stivale: da Nord a Sud, tutte le ferite inferte alla bellezza di una nazione che fatica a volersi bene, un libro-denuncia che indigna e fa sorridere, un invito appassionato ad amare di più, finché siamo in tempo, il paese più bello del mondo.
Roberto Ippolito è autore di Evasori. Chi come quanto. L’inchiesta sull’evasione fiscale (Bompiani, 2008). Ha pubblicato anche i libri L’Italia dell’economia (2000), Vivere in Europa (2002), 2014 il futuro che ci aspetta (2004), editi da Laterza. Giornalista professionista, ha curato a lungo l’informazione economica per il quotidiano “La Stampa”. In precedenza ha lavorato a “Il Mondo” e “Italia Oggi”. È docente di “Imprese e concorrenza” alla Scuola superiore di giornalismo dell’Università Luiss Guido Carli. Organizzatore di eventi culturali, è stato tra l’altro editor e responsabile degli incontri con l’autore del Festival dell’economia di Trento. È stato inoltre direttore della comunicazione di Confindustria e delle relazioni esterne della Luiss.
“Avevamo gusti molto simili. Lui aveva
venticinque anni più di me ma era come se
quei venticinque anni li avessimo vissuti
insieme. Come se ci conoscessimo da
sempre.
Innamorarsi fu inevitabile.
Vivere insieme diventò indispensabile.”
Da questo testo, l’omonimo spettacolo teatrale con Paola Cortellesi, diretto da Piero Maccarinelli e prodotto dal Teatro Stabile di Catania con Artisti Riuniti “Ma a farmi diventare comunista furono quei morti ammazzati. Furono loro a convincermi, non le loro idee. Non ancora. Fu vederli ammazzati così, alla fine di una guerra che stavano per vincere. Alle spalle di una Storia che gli avrebbe dato ragione. Ammazzati. Non per qualcosa che avevano fatto. Per qualcosa che avevano pensato. Un pensiero che gli era costato la vita. E che adesso sentivo di dover fare mio, per non lasciarli morire del tutto.” Con prosa ritmata e incalzante, Sergio Claudio Perroni racconta la tempra drammaturgica di Nilde Iotti, l’agguerrita soavità con cui, tra la fine del Fascismo e la morte di Togliatti, questa “regina plebea” seppe reagire alle invidie e alle insidie di una corte che non le perdonava i tanti successi, primo fra tutti quello di essere amata dal capo del PCI. Una vita densa di passioni non solo politiche, di intrighi, rinunce, conquiste e sentimenti strettamente intrecciata – e a volte perfettamente coincidente – con i drammi, le conquiste e le contraddizioni dell’Italia di quegli anni.
Sergio Claudio Perroni vive e lavora a Taormina. Per Bompiani ha pubblicato Non muore nessuno (2007).
“L’esperienza dello spirito è proprio
quella di una luce che tutto pervade,
in libero e gioioso movimento
in mezzo agli opposti, ovvero
al di sopra di essi,
signora dell’ identico e del diverso,
del bene e del male,
del particolare e dell’universale.”
Il dibattito tra credenti e non credenti, atei e cristiani, laici e laicisti infiamma tutti i settori della società. Eppure essi si svolgono per lo più a un livello di superficie, tanto che si ha l’impressione che i ruoli si confondano: che i veri credenti siano gli atei, che i laici portino avanti ragioni che i chierici dimenticano e che le motivazioni dei laicisti combacino, per una strana alchimia, con quelle dei cattolici più ortodossi. Questi paradossi – come mostra Marco Vannini in questa magistrale riflessione – hanno radici profonde e non sono per nulla casuali: consistono nella dimenticanza di una serie di categorie che hanno attraversato la tradizione più alta dell’Occidente, a partire dalla filosofia greca, attraverso i mistici e i filosofi della modernità, sino a personalità come Simone Weil. Che Dio sia Spirito; che la religione sia essenzialmente un rapporto nello Spirito in cui Dio e uomo si muovono l’uno verso l’altro, l’uno nell’altro; che la vera religione sia uno spogliarsi della propria volontà, liberarsi dalla costrizione delle cose del mondo per entrare in una dimensione di libertà, di grazia. Questi concetti si sono via via eclissati a favore di rappresentazioni più comode di Dio e della religione, spesso ridotta a una dottrina morale, a una serie di precetti fisici, addirittura sessuali. Insomma a mito.E di questo oblio colpevoli non sono tanto i laici o gli atei ma, piuttosto, chi di questa tradizione doveva farsi depositario e custode: la Chiesa. E per questo, a volte, i veri atei, facendo piazza pulita dei falsi concetti della religione, sono più vicini allo Spirito di quanto non lo siano i falsi credenti.
In questo viaggio controcorrente, Marco Vannini riallaccia i nodi profondi di una millenaria tradizione e riaccende fuochi che sembravano sopiti nella banalità delle discussioni odierne, formulando una proposta per credenti e non credenti di certo inattuale ma proprio per questo essenziale.
“Il libro di Fabrizio Dragosei aiuta a ricostruire come ha fatto un paese a cambiare in modo così tumultuoso e radicale da esserne stravolto. A conoscere dal di dentro i segreti della ‘rimonta’ della Russia che anno dopo anno si sta riprendendo nel mondo quel ruolo di grande potenza mondiale che dopo il crollo del comunismo e l’era sgangherata di Eltsin sembrava perduto.”
Dalla Prefazione di Gian Antonio Stella
C’è una “grande Russia” nell’orizzonte del Terzo millennio europeo da poco iniziato? Molte cose lo farebbero supporre. In questo libro Fabrizio Dragosei, corrispondente del Corriere della Sera da Mosca, profondo conoscitore dei sottili giochi di potere che si svolgono nei corridoi del Cremlino, ci racconta quello che sta dietro alle notizie ufficiali.
La Grande Rapina che ha consentito a un pugno di privilegiati di mettere le mani sulle ricchezze della Russia (petrolio, pietre preziose, minerali rari). La reazione che ha portato al potere assoluto Vladimir Putin: gli oligarchi riottosi sono finiti in galera o all’estero e gli altri eseguono gli ordini del Cremlino.
Lo strano tandem alla guida del paese, Putin e il delfino Medvedev, che nasconde feroci scontri sotterranei tra le varie fazioni: i democratici di San Pietroburgo e gli ex uomini del KGB.
In una Russia dove la cosiddetta “democrazia guidata” lascia spazio a soprusi, violenze inaccettabili (in Cecenia e altrove), omicidi eccellenti, come quelli della giornalista Anna Politkovskaya e della paladina dei diritti umani Natalya Estemirova eliminata nella capitale cecena nel luglio 2009. Un viaggio attraverso gli eccessi dei super-ricchi con le loro feste sfrenate, le pupe e i petrodollari, mentre milioni di russi lottano per sopravvivere. Un’inchiesta approfondita e documentata sull’uso politico del gas, sulle amicizie internazionali di Putin (da Schröder a Berlusconi) e sulle ricchezze occulte detenute in Russia e all’estero..
Il "cattivo ragazzo" della narrativa contemporanea francese, come è soprannominato Michel Houellebecq, si accompagna per questo libro a uno dei filosofi più mediatici e alla moda del nostro tempo, Bernard-Henri Lévy: tra il gennaio e il luglio 2008 si scambiano lettere in cui parlano di molti temi, ma con un centro tematico ben presente: cosa può la cultura contro il potere? La cultura è scomoda? Attraverso un botta-e-risposta talvolta divertente, altre volte toccante, sempre sorprendente e sarcastico, i due famosi (o famigerati) scrittori francesi si provocano, si scoprono, si sfidano, in una meditazione a due che si fa intima come un diario e acuta come una riflessione filosofica. Un incontro, fra due delle personalità della cultura contemporanea più discusse di questi anni. Una sfida fra due scrittori che la pensano molto diversamente su molte cose. Una confessione da parte di due autori che hanno sempre evitato di cadere nel privato. Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy ci dicono come ci si sente a essere additati da nemici pubblici. Nemici pubblici perché minacciano i luoghi comuni, nemici pubblici perché provocano il perbenismo, nemici pubblici perché indeboliscono le sicurezze in cui è comodo per tutti adagiarsi.
"La destra non è altro che la sinistra al culmine della sua fase senile. La guerra al sacro, mai portata a termine dalla sinistra, viene più efficacemente condotta dalla destra occidentalista, e non con la costruzione razionale della scienza, ma con le bandiere della libertà e della democrazia, due illusioni che non hanno neppure bisogno di nutrire utopie ma solo di formale enunciazione. Là dove il materialismo scientifico ha fallito, infatti, riesce il Pentagono, con il pensatoio destra liberale che impone il modello unico dell'individuo costretto a un solo destino: il consumo. E la consunzione di sé." Questa, icastica e implacabile, la condanna che pronuncia Pietrangelo Buttafuoco in questo libro. Un'accusa che, tuttavia, apre spiragli di comprensione importanti della realtà in cui viviamo. Prima di tutto nei confronti dell'Islam che, lungi dall'essere quello dipinto dalla cronaca giornalistica o dalla falsa democrazia liberale e statunitense, si dimostra straordinariamente vicino al valore che l'Occidente, tutto paillette, lustrini e televisione pornografica, sta cercando di rimuovere: il sacro, le forze primordiali della natura, i legami originari. "Cabaret Voltaire" è un libro che segna un nuovo punto di inizio nel faticoso tentativo di comprensione dell'Islam, dei suoi rapporti con il cristianesimo, con il liberismo, con il mondo: oltre le categorie, inutili e stantie, di destra e sinistra, oltre ogni ideologia, per giungere al cuore delle cose.
“È un piacere essere qui.
Lo sarebbe molto meno se ci fosse una vostra visita a casa mia.”
Silvio Berlusconi
in occasione della cerimonia per i 230 anni dalla fondazione della Guardia di Finanza
Forse non tutti sanno che i soldi non versati in Italia al Fisco corrispondono a 7 punti percentuali del Prodotto interno lordo. Se tutti gli evasori pagassero le tasse, infatti, gli italiani avrebbero in tasca 100 miliardi di euro in più all’anno, circa 8 miliardi e mezzo al mese.
Ma, soprattutto, non tutti conoscono l’inesauribile fantasia creativa di chi froda il fisco: esiste un paese, Antartictland, paradiso fiscale virtuale per chi non vuole pagare le tasse, fondato nel cuore del polo Sud, con tanto di bandiera e moneta; si è arrivati ad allegare materassi ai giornali per sfruttare il favorevole regime fiscale concesso all’editoria; il settore delle pompe funebri tocca livelli record di evasione tanto che si dovrebbe dedurre che al Nord un morto su due si sotterra con le proprie mani mentre al Sud si sale a due su tre.
Tragedia e commedia, dunque. Un campionario surreale di giochi di prestigio e trucchi diffusi in tutta Italia, regione per regione, nessuno escluso, privati, sia famosi che sconosciuti, e aziende, sia piccole che grandi.
La prima inchiesta puntuale, rigorosa, documentata, che sorprende e diverte, che racconta un malcostume talmente diffuso da non essere neppure più percepito. Anzi, che sembra perfino legittimato. Almeno prima di questo libro.
Dario Antiseri è un filosofo cattolico, innamorato di Pascal. Giulio Giorello è un matematico e un filosofo che ama definirsi "ateo protestante". Possono le loro voci concordare sul valore della libertà da due prospettive così distanti? È la sfida di questo volume, che i due autori raccolgono in due interventi distinti sul pluralismo, il no a ogni pretesa di assolutismo o verità, la laicità come terreno comune sui cui discutere per laici, atei e credenti. Un libro che interviene nel cuore del grande dibattito della nostra democrazia, in cui a confrontarsi sono la scienza, la libertà d'espressione, la Chiesa e la fede in Dio.
In questi anni di crisi dei partiti, di assenze di ideologie, di disaffezione dalla politica, di successo di Grillo e dell'anti-politica, cosa ne è della Costituzione italiana? È un trattato ormai dimenticato, un manifesto astratto di bei valori di cui a nessuno interessa più nulla, o un riferimento importante per affrontare ogni giorno la vita politica? L'inviato culturale del "Corriere della Sera" ne parla con alcuni tra gli esponenti politici più influenti e più lucidi del panorama italiano. Tutti "scottanti" gli argomenti all'ordine del giorno: il problema dell'equilibrio dei poteri, il ruolo della magistratura, il federalismo fiscale e i rapporti tra cittadino ed economia, i rapporti tra Stato e Chiesa, i diritti del cittadino e i nuovi diritti, dalla privacy ai problemi posti dalle nuove frontiere della biomedicina, il pacifismo.
"Il piccolo principe" di Antoine de Saint-Exupéry, pubblicato nel 1943 negli Stati Uniti, nel 1946 in Francia e nel 1949 in Italia da Valentino Bompiani, è uno dei libri più letti al mondo. Pubblicando il libro pochi mesi prima della sua scomparsa, Saint-Exupéry lasciò la testimonianza più eloquente di un amore per il disegno che coltivò in effetti per tutta la vita. Di questa sua passione e di tutte le prove, i tentativi, gli esercizi da cui nacque "II piccolo principe" questo libro dà conto, offrendo un eccezionale corpus di disegni inediti raccolti tra numerosi collezionisti. Accanto ai disegni, alcune pagine manoscritte dell'autore, fogli volanti regalati a parenti, amici e compagne, pagine di taccuino, lettere e dediche illustrate... Prefazione di Hayao Miyazaki.
In questo suo nuovo libro, Kureishi presenta il suo punto di vista sul tema dell'Islam estremista in contrapposizione al liberalismo occidentale. Innanzitutto, la sua esperienza di anglo-pakistano, vittima del razzismo a Londra negli anni Sessanta, affascinato dalle opere di Baldwin e di altri scrittori neri americani, ma sospettoso nei confronti dei movimenti più radicali come quelli di Malcolm X e Elijah Muhammad. E ancora: una visita alle moschee londinesi; un'analisi dei pregiudizi delle scuole fondamentaliste, basate sulla rigida divisione fra maschi e femmine; il confronto-scontro tra un padre ossessionato dalla sua stessa rigidità mentale e un figlio che ha sposato le tesi integraliste. Di fronte a tutto ciò Kureishi assume una posizione di nettissima condanna, pur avendo nello stesso tempo il coraggio di coglierne le ragioni, risalendo fino al passato coloniale dell'Occidente e soffermandosi sul vuoto ideologico lasciato dal crollo dei regimi socialisti.
Mérième e Lidia sono due ragazze di diciassette anni come tante; l'una è cresciuta a Parigi in una famiglia laica di origini marocchine, l'altra è cresciuta a Bologna in una famiglia cristiana. Mérième è figlia di un padre famoso, Tahar Ben Jelloun, e ha già ispirato un libro: «Il razzismo spiegato a mia figlia». Un giorno iniziano a scriversi delle e-mail, ciascuna incuriosita dall'altra: cosa vuol dire essere musulmani? Cosa pensa una ragazza musulmana di fronte agli attentati terroristici? Esiste un'intolleranza cristiana? E che differenza c'è fra la battaglia per il velo e la battaglia per il crocifisso? Che significato ha per un'adolescente la parola "laicità"? Per oltre due anni, le ragazze si raccontano le proprie impressioni, mentre a poco a poco nasce una vera e propria amicizia, fatta di confidenze, vacanze insieme, tensioni, attese. Tahar Ben Jelloun torna a parlarci di attualità e di rispetto con un pamphlet che ha insieme la forza della denuncia, la spontaneità dell'adolescenza, la libertà di un'invenzione narrativa.
Rievocando la passione giovanile per il dialetto che, benché tabù nel contesto scolastico, gli era indispensabile per assicurarsi il rispetto dei coetanei e cogliere le sfumature di certe sere, di personaggi bizzarri e di odori e sapori di campagna, Diego Marani comincia il racconto del proprio approccio alle lingue, un lungo apprendistato che culmina nell'incarico di interprete al Consiglio europeo. Un tirocinio costellato di esperienze spassose, viaggi rocamboleschi e incontri personali.