Nella prospettiva che Metzinger difende nelle lezioni raccolte in questo volume, l'io, come scrive nell'introduzione Alfredo Paternoster, "viene a configurarsi come nulla di più di un'utile recita, una sorta di allucinazione, costruita però con materiali genuini". Sullo sfondo dell'eredità di Hume, ripresa oggi da Dennett, Metzinger delinea un ampio programma di ricerca, anche empirica, inteso a mostrare come si pervenga a una rappresentazione del sé; tale rappresentazione tuttavia non attesta l'esistenza di qualcosa come una coscienza.
Quasi un testamento intellettuale, "L'anima smarrita" provoca il lettore su alcune delle grandi questioni con le quali siamo confrontati oggi. Che cosa ne è dell'anima all'epoca delle neuroscienze? Chi ha interesse a manipolare la vita? Quale narrazione è ancora capace di dare senso a ciò che siamo e facciamo? Ultima testimonianza scritta dall'autore, il saggio qui presentato mette in scena la verità di una vita che accoglie se stessa nel pensiero della vita. È la vita che accetta questa compromissione senza temere alcuna diminuzione di oggettività, poiché sa che la contrapposizione tra oggettività e soggettività è un artificio della scienza: utilissimo secondo certi scopi, ma ingenuissimo quando si tratta di capire chi siamo nella nostra relazione con il mondo, con gli altri e, soprattutto, con noi stessi.
La nuova edizione di un classico che costituisce ancora un modello nel cammino della filosofia. «Un testo chiaro e agile [...], ma egualmente rigoroso e ben strutturato nell'impostazione, che risulta sistematica, cioè organica, ma non rigida e men che meno dogmatica, come si potrebbe temere da un breve manuale, per di più di ispirazione scolastica. In effetti, questo testo conserva le caratteristiche che ormai lo hanno reso [...] un vero classico e che condivide con altri studi di Sofia Vanni Rovighi, sia quelli dedicati alla storia della filosofia, sia, soprattutto, quelli in cui si argomenta una prospettiva teoretica». (Michele Lenoci)
L'influenza della filosofia antica nei secoli riguarda non solo l'intera storia del pensiero occidentale, - che qualcuno ha definito "una serie di note in margine a Platone" -, ma anche le nostre categorie mentali i nostri schemi concettuali e il linguaggio che usiamo tutti i giorni. Parole e idee come l'Essere, il Bene, l'Anima, la Conoscenza, la Verità hanno la loro lontana origine nella filosofia greca e nella traduzione del suo vocabolario in latino. Questa "Prima lezione" è un'introduzione al lessico concettuale della filosofia, un percorso imprescindibile che attraverso l'etimologia e la storia delle parole esplora il pensiero filosofico antico. E di quello che da essa è nato.
"Dio è presente ovunque sulla terra, e specialmente, con la sua grazia, nei cuori miti e umili. Poiché è l'Altissimo, Egli e anche l'Infinitamente Basso. Poiché è il Trascendente, Egli è anche l'Onnipresente. Gli umili e i docili sanno che Egli fa sì che tutto concorra al loro Bene, che il sassolino nella scarpa, la pozzanghera, lo scoglio e il pantano sono, per così dire, l'anticamera della sua santa Dimora. Perciò si abbandonano alla sua Volontà. E, dove questa Volontà si compie, noi viviamo sulla terra come fossimo in ciclo." (Fabrice Hadjadi)
Nella storia della filosofia, della scienza e della cultura in generale, "natura" e "naturale", termini fra i più pregnanti, sono stati usati in accezioni assai diverse, ora sovrapposte, ora intrecciate, ora contrastanti, spesso cariche di implicazioni morali, affettive, estetiche, religiose. Di questa vicenda lunga e intricata dà conto il libro. Le diverse concezioni della natura, da Platone e Aristotele a Darwin fino ai giorni nostri, sono esposte in una prospettiva interdisciplinare, che prende in considerazione sia la tradizione filosofica sia le fonti scientifiche, letterarie e religiose, senza trascurare le recenti riflessioni sulle questioni ambientali.
La neurobiologia costituisce una delle aree scientifiche più avanzate e che più interesse suscita in tutto il mondo. Le ricerche neuroscientifiche oggi riguardano questioni come il pensiero, la coscienza, la libertà, le emozioni, che prima erano considerate un campo esclusivo della filosofia. Questo volume intende introdurre in questo settore in un modo essenziale, accessibile ma anche rigoroso, per poter così delineare ciò che potrebbe chiamarsi una "filosofia della neuroscienza".Nella prima parte si presenta una visione panoramica della storia della neuroscienza, con una particolare attenzione al pensiero di neuroscienziati contemporanei che hanno riflettuto su argomenti antropologici, spesso con interpretazioni contrastanti. La seconda parte è dedicata al rapporto tra il cervello, con le sue funzioni, e i diversi livelli della persona umana, con un'ampia sezione sulle tematiche della percezione, le emozioni di base, la coscienza del proprio corpo e la percezione delle altre persone. Il libro interesserà a tutti coloro che desiderino approfondire i rapporti che si possono tracciare tra le conoscenze neurobiologiche e l'antropologia filosofica.
C'è sempre bisogno dell'altro, sia che si dica Altro per volgere gli occhi in alto o altri per edificare la terra, per costruire i rapporti umani familiari e sociali, per immaginare un assetto strutturale ed etico delle città. Soltanto attraverso la lenta e faticosa costruzione dei legami è possibile individuare terreni comuni di incontro. La nostra difficile storia è comprensibile infatti solo attraverso l'analisi dei rapporti sconnessi o costruttivi con cui cerchiamo di legare con gli altri. Attraverso il percorso di alcuni filosofi e dalla lettura di passi scelti della Scrittura, queste pagine intendono accompagnare il lettore all'interno della difficile arte dell'incontro.
L'amore non è cieco, ma veggente: scorge, riconosce e chiama a essere in tutta la sua pienezza la verità di ciò che è e di ciò che siamo. Come ha scritto Simone Weil, "invece di parlare di amore della verità, è meglio parlare di uno spirito di verità nell'amore" dal quale la filosofia e la vita hanno molto da imparare, perché l'amore sa. Ma per comprenderne l'insegnamento occorre non confonderlo con le dinamiche di coppia con le quali non coincide, ma nelle quali, piuttosto, si aliena ogni volta che cerchiamo di imprimergli il nostro modo d'essere invece che accoglierlo e aprirci alla sua forza vivificante.
Umberto Galimberti prende le mosse dai vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia. Identificati come "abiti del male" da Aristotele, come "opposizione della volontà dell'uomo alla volontà divina" nel Medioevo, come espressione della tipologia umana nell'Età dei lumi, appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. "E così, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. Non più vizi, ma malattie dello spirito." Alla luce di questa sequenza storica, Galimberti "ambienta" i vizi nel panorama contemporaneo conflittualmente compresi fra la funzionalità (anche del male) propria dell'età della tecnica e l'urgenza dell'etica. Segue un'ampia ricognizione su quelle tendenze o modalità comportamentali per le quali suona efficace (e impropria) la definizione di "nuovi vizi": la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto, la voluttà dello shopping, la dipendenza dalla merce, la meccanicità del sesso hanno a che fare con il dissolvimento della personalità. Sono di fatto la negazione del modello "vizioso". Inquadrarli come vizi fa sì che si possa parlarne, onde "esserne almeno consapevoli e non scambiare per 'valori della modernità' quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti".
È proprio vero che - come afferma il protagonista dell'Edipo re - "mai uno potrà essere equivalente a molti"? O non è invece vero il contrario, cioè che per tutti, non solo per il figlio di Laio, è impossibile essere soltanto uno? Non è questa la sorte che accomuna, per esempio, alcuni personaggi emblematici, le cui vicende sono al centro della tragedia classica e di numerose storie attinte dal patrimonio mitologico greco-latino? Come interpretare il sacrilegio di Prometeo, l'amore di Eco e Narciso, il conflitto fra Antigone e Creonte sul cadavere di Polinice, il funesto destino di Edipo, l'identità doppia di Dioniso, se non in rapporto alla scoperta della costitutiva duplicità che caratterizza lo statuto dell'umano? Il Signore il cui oracolo è a Delfi, dice Eraclito,"non afferma e non nega, ma dà segni". Nel serrato riferimento ai principali nodi speculativi intorno a cui si articola la ricerca di Platone, Aristotele e Plotino, contaminando testi filosofici e fonti letterarie, Umberto Curi mostra attraverso quali suggestivi percorsi di riflessione sia possibile intendere talune figure chiave della cultura classica come icone dell'indissolubile connessione fra identità e alterità. Per scoprire che l'endiadi, la compresenza della dualità nell'unità, è il tratto più significativo della condizione umana.
Rimanere seduto davanti alla tela senza fare niente è quanto riferisce Giacometti del suo tentativo di ritrarre Isaku Yanaihara, professore di Filosofia francese all'Università di Osaka scelto come modello nel 1956: data ricordata dai critici come "crisi Yanaihara". Una battuta d'arresto che non si traduce nell'annullamento dell'opera ma in un nuovo sviluppo: una svolta nel percorso artistico di Giacometti che si confronta con i temi dello spazio e della profondità, adottando soluzioni diverse dalle tecniche tradizionali. Ne offrono un'acuta analisi i due testi qui presentati di Sachiko Natsume-Dubé, affiancati in appendice da alcune pagine del diario di posa di Yanaihara che costituiscono una testimonianza imprescindibile per la comprensione dell'opera dello scultore e pittore svizzero. L'esperienza dell'impossibile - ritrarre il volto di Yanaihara che non si riesce a catturare sulla tela - è la "catastrofe" e al tempo stesso la sua nuova possibilità: il tentativo di superare la prospettiva. Nella questione della tecnica pittorica è in gioco il rapporto dell'opera d'arte con il vero.