Quest'opera, che rientra nell'ambito dei Cultural Studies, si sofferma su un aspetto che le teorie della narrazione spesso trascurano, ovvero il rapporto tra poetica, prassi e teoria. Il mondo della finzione è, perciò, analizzato sia nella sua costruzione poetica, sia nel suo influsso sul pubblico e sui lettori e sia nella sua apertura alla trascendenza. Il punto di collegamento fra poetica e trascendenza si trova, secondo l'autore, nel concetto di verosimiglianza, ovvero nella verità, bellezza e bontà che operano nella finzione. Essa ammette, quindi, diversi livelli di profondità: quella logica, indicata da Aristotele, che permette di introdursi nei mondi immaginari; quella metafisica della rappresentazione dell'esistenza umana; e quella gnoseologica in cui c'è il riconoscimento e il piacere estetico derivanti dalla scoperta della propria vita attraverso le vicende dei personaggi di finzione. Attraverso l'analisi di diverse opere letterarie e cinematografiche, l'autore mostra come la trascendenza sia l'autentica protagonista della finzione, mentre la riduzione postmoderna della bellezza narrativa a una sensibilità e a un'affettività autoreferenziali mostra tutta la sua contraddizione. Oltre alla sua apertura al vero, al bello e al bene, la trascendenza della finzione ha a che fare con la philia: la quasi-amicizia che si stabilisce fra l'autore/lettore e i personaggi letterari, e che porta la finzione a oltrepassare se stessa, al di là della stessa intenzione dell'autore e dell'opera. Non si tratta soltanto di una sorta di transfert emotivo con i personaggi, né di una fusione di orizzonti in grado di dare luogo a una mimesis educativa e catartica. È qualcosa di più. Qualcosa che può essere propriamente descritto come "amore", e che è alla base dell'influsso della finzione sulle nostre vite. È proprio in questo accostamento fra poetica narrativa e amicizia che si trova il contributo fondamentale di quest'opera.
Ogni volta che ci applichiamo a comprendere una storia, ragioniamo. Quando partecipiamo a una conversazione effettuiamo numerose inferenze, spesso in maniera del tutto automatica e inconsapevole. Lo stesso accade quando facciamo previsioni o ipotesi, quando pianifichiamo la nostra giornata, o giochiamo a carte. Spesso usiamo ragionamenti per tentare di convincere gli altri, o per resistere ai loro tentativi di convincerci. In altri casi invece ci serviamo del ragionamento, o inferenza, per svolgere compiti più specialistici: la ricerca scientifica, la pratica giuridica, la diagnosi medica o le investigazioni di polizia. Questo libro delinea un'estesa panoramica sul tema del ragionamento, oggetto di uno studio interdisciplinare ampio e ramificato, su cui convergono i contributi della logica, della psicologia cognitiva, dell'intelligenza artificiale, della filosofia e, più in generale, di quell'ampio spettro di ricerche che va sotto il nome di scienza cognitiva.
Il tempo che stiamo vivendo si fa spesso opaco, a tratti buio. Accade quando si perde l'attenzione per le cose davvero importanti. La pratica della cura è fondamentale per la vita: avere cura di sé, degli altri, delle istituzioni, della natura. Senza cura non può esistere una vita buona per l'essere umano. Ma in una cultura neoliberista la cura non trova la dovuta considerazione. Quando le essenziali attività di cura - quelle che procurano ciò che nutre la vita, quelle che riparano le situazioni difficili, quelle che edificano mondi - non trovano il giusto riconoscimento, la politica si inaridisce, perde la capacità di promuovere una vita pienamente umana. È tempo che la politica si ripensi daccapo per diventare una politica della cura.
Il pensiero di Emmanuel Lévinas (1906-1995) non smette mai di stupire e affascinare per la sua profondità e per la capacità esemplare di tematizzare la diversità in un'ottica non violenta e inclusiva. Questo libro si concentra sul rapporto tra prospettiva filosofica e sapienza ebraica nell'opera del pensatore francese: una riconsiderazione radicale delle categorie centrali della filosofia occidentale alla luce dei temi del profetismo. Ciò che ne emerge è l'intreccio - fecondo e non dogmatico - di due ordini di significato in grado di offrire un nuovo senso di umano e di inaugurare un inedito approccio alle relazioni secondo rapporti liberi e non dominativi.
Il terzo volume dell’Opera Omnia del Prof. M. Malaguti presenta una lunga meditazione filosofica che intende riflettere sulla prima, originaria percezione del nostro esistere, a partire dall’esperienza del nostro io. Il nucleo profondo dell’essere umano viene raggiunto con un approccio filosofico, ed è svelato dalla «identità dell’io». L’Autore si dimostra attento e aperto alle problematiche derivanti dalle conquiste scientifiche e tecnologiche contemporanee, realizzando così una interessante complementarietà tra metodo filosofico e scientifico per una più profonda conoscenza dell’uomo.
MAURIZIO MALAGUTI (1942-2018) Distinto studioso delle scienze filosofiche, in particolare del contributo cristiano alla storia del pensiero, è stato docente di Filosofia della religione, Ermeneutica filosofica e Filosofia teoretica presso l’Università degli studi di Bologna. Al momento della morte era Presidente del Centro Studi Bonaventuriani di Bagnoregio.
Questo libro offre una presentazione della filosofia della conoscenza e del cosmo del filosofo spagnolo Leonardo Polo. La sua tematica è l'individuazione del "limite" concettuale della nostra mente e il tentativo di trascenderlo attraverso il pensiero filosofico. Le scienze riducono le cose fisiche a oggetti intelligibili capaci di offrire una certa idea della realtà e trovano una particolare applicazione nel dominio tecnologico della natura. La metafisica del mondo fisico cerca invece d'immergersi nella sua struttura profonda, rinunciando però al suo possesso concettuale, per poter così scoprirne i principi ontologici e aprire la strada alla contemplazione dell'essere materiale nella vastità del cosmo. La proposta di Polo continua in qualche modo il progetto aristotelico della Fisica, alienandolo però dal dominio oggettivante. Questa operazione implica un radicale cambiamento della nostra mentalità, se si desidera comprendere la realtà corporea così come è, e non come viene elaborata dai nostri schemi mentali. Si profila così un mondo oscuro per noi, nel suo continuo alternarsi tra processi e arresti formali. È un mondo sostenuto da un pulsare cosmico perenne che, nei suoi livelli più alti, come la vita, s'illumina e si ordina in un modo progressivo, senza giungere a una culminazione definitiva. Soltanto in questo quadro è possibile compiere il salto oltre il limite, un salto che consente di avvertire l'essere del cosmo come un perenne incominciare persistente che ne rivela la condizione creata. Il lettore che vorrà inoltrarsi in questa lettura forse sarà sorpreso dalla novità di questa proposta filosofica. Ma potrà anche essere molto stimolato a cercare di capire il senso dell'universo al di là di quanto presentano la conoscenza ordinaria e le spiegazioni scientifiche.
In un clima culturale di transizione, com’è il nostro, si tende a rovistare nel passato per trovare quei barlumi di luce che possono contribuire a portare un po’ di chiarezza. La post-modernità intesa sia come momento conclusivo del moderno, sia come dissoluzione interna dei valori della modernità, chiama sul banco degli imputati il moderno. Non è allora un caso se, a partire da questo sfondo culturale, vengano alla ribalta nel dibattito filosofico odierno, autori che offrono spunti critici nei confronti della modernità. Péguy è certamente un autore che si presta ad una tale operazione critica. La sua opera è, infatti, contrassegnata da una puntuale disamina nei confronti di ogni simbolo del mondo moderno. Sfogliando le pagine soprattutto della sua opera filosofica, si ritrovano anticipate le critiche alla modernità che hanno caratterizzato il dibattito filosofico sulla post modernità degli ultimi decenni. La pluralità delle visioni, dei modi di dire e di narrare la realtà, è spesso stata identificata come apertura alle derive relativiste e, di conseguenze, un ostacolo per la comprensione della verità. Abituati da millenni a leggere la realtà con gli schemi della logica aristotelica, del principio di non contraddizione, facciamo ancora oggi molta fatica a vedere nella posizione differente dalla nostra, nel punto di vista altro, non un limite, una limitazione, una contraddizione, ma un valore, un aspetto di verità da porre a lato del nostro, senza voler a tutti i costi produrre una sintesi. L’opera di Péguy offre notevoli spinti di riflessione in questa direzione. Il libro che presentiamo tenta di offrire una modalità nuova nell’interpretazione del pensiero di Péguy. Si vuole, infatti, mostrare come la sua impostazione filosofica, che ha nel metodo intuitivo di Bergson il punto di riferimento fondamentale, sia la chiave di lettura per comprendere la sua poetica e, soprattutto, la sua densa produzione spirituale ricca di richiami evangelici.
Paolo Cugini: Nato a Reggio Emilia nel 1962, laureato in pedagogia (Parma), filosofia (Bologna) e dottore in teologia (Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna-FTER). Dal 1998 al 2013 è stato missionario fidei donum in Brasile nello Stato della Bahia, come parroco e come professore di filosofia nella Facoltà Cattolica di Feira di Santana. È cofondatore dell’Associazione Culturale Moringa (ACMOR) che dal 2005 opera in Bahia (Brasile) per la promozione culturale e politica. Ha accompagnato la formazione del Movimento Fede e Politica nelle città di Miguel Calmon e Tapiramutà (Bahia) e del Movimento Moringa nella città di Pintadas. Ha contribuito a fondare e ad accompagnare nei primi anni il gruppo cristiani LGBT di Reggio Emilia. Si è occupato di temi legati alla filosofia francese del Novecento e della cultura postmoderna in relazione, soprattutto, al problema della Nuova Evangelizzazione. Su questi temi ha pubblicato vari articoli in riviste italiane e brasiliane. Di recente ha pubblicato: Visioni postcristiane. Dire Dio e la religione nell'epoca del cambiamento, Dehoniane, Bologna 2019; La Fuga di Elia. Riflessioni postmoderne sulla religione e il senso della vita, San Lorenzo, Reggio Emilia 2019; Chiesa popolo di Dio. Dall’esperienza Brasiliana alla proposta di Papa Francesco, Dehoniane, Bologna 2020.
È possibile preservare le parole dalla volgarizzazione pubblica? Quali circostanze favoriscono l'emergere e la trasmissione delle parole migliori? Che tipo di attività è l'ascolto? Quando è appropriato il silenzio e quando è giustificato gridare? Nello spazio pubblico, la democrazia ha bisogno di parole che circolino senza ostacoli e spesso le parole che si sentono sono quelle che meno lo meritano. Nelle reti e nei media le parole sono raramente coltivate con cura. Rimane al cittadino, rimpicciolito da una connessione ubiqua, la libertà di selezionare le voci a cui concedere autorità, che meritano di essere ascoltate. In tutti questi casi, la libertà di parola è sempre un atto di resistenza e di coraggio. Ma le parole giuste, quelle migliori, ci dice l'autore, ovviamente non si trovano nel pubblico, ma altrove, nei fenomeni quotidiani: «Per sentirle non ci vuole altro che fermarsi ad ascoltare come si parlano quelli che non soltanto condividono una lingua, ma anche l'aria, l'affetto e il destino». Prefazione di Alessandro Ferrara.
Per pensare l’educazione occorre interrogarsi sul nostro continuo parlare del bene: sulla sua speciale evidenza, sul suo nesso con la ragione ma anche con tutto il nostro sentire e con le umane possibilità di felicità. Queste pagine offrono una fenomenologia dell’esperienza umana del bene agli educatori, di oggi o di domani, affinché abbiano l’occasione di fare una sosta filosofica e considerare la responsabilità etica connessa al loro compito. Chi educa è chiamato non solo a rispondere del bene dell’altro, ma innanzitutto ad essere testimone credibile, e persino affascinante, della propria personale ricerca del bene.
Giuseppina D’Addelfio è professoressa associata di Pedagogia generale e di Filosofia dell’educazione presso l’Università degli studi di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: Desiderare e fare il bene (Vita & Pensiero, 2008); Filosofia per bambini ed educazione morale (La Scuola, 2011); In altra luce. Per una pedagogia al femminile (Mondadori, 2016); Diritti per l’educazione. Contesti e orientamenti pedagogici (Scholé, 2020, con M. Amadini, A. Augelli, A. Bobbio, E. Musi); Affettività ed etica nelle relazioni educative familiari. Percorsi di Philosophy for Children and Community (FrancoAngeli, 2021, con M. Vinciguerra).
«Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». È con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che inizia la lunga battaglia − non ancora conclusa − contro la fame, il più grande genocidio silenzioso di tutti i tempi. Come tutelare il diritto fondamentale di ogni individuo a una adeguata nutrizione? E garantire quantità e qualità nell’alimentazione? Il sistema attuale di produzione alimentare è davvero sostenibile? Risponde a quesiti di rilevanza fondamentale un’etica del cibo, che analizza problematiche e propone soluzioni, volte ad assicurare la libertà dalla fame e il diritto al cibo, sensibilizzando sulla questione ambientale. In gioco il futuro stesso dell’umanità.
PAOLO GOMARASCA è professore ordinario di filosofia morale alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Fa parte del comitato direttivo del Transdisciplinary Research on Food Issues Center (TROFIC) e del Centro di ricerca Relational Social Work (RSW) della medesima Università. È membro del Forum Lacaniano in Italia (FLAI) e dell’Internationale des Forums du Champ Lacanien. Tra le sue pubblicazioni: Enjeu cartésien et philosophie du corps (Peter Lang, 2012), Con l’inchiostro e il pennello. Lacan e Shiato (Mimesis, 2017).
La vita di tutti, specialmente delle nuove generazioni, si svolge sempre più nella dimensione online, sulle piattaforme social e attraverso le chat. Gli ambienti online non sono una simulazione di realtà, sono la realtà stessa delle relazioni interpersonali e sociali. Per questo occorre rielaborare lo sguardo sulla vita e sulla società nella consapevolezza che «virtuale è reale». Ispirandosi al Manifesto per la Comunicazione non ostile, Giovanni Grandi invita a porre attenzione agli stili comunicativi da preferire - quelli non aggressivi e rispettosi dell'altro - per prendersi cura delle relazioni. Dieci spunti di riflessione e discussione per chi desidera affrontare con semplicità e profondità la sfida etica dell'integrazione tra virtuale e fisico nelle interazioni e nelle relazioni. Prefazione di Rosy Russo, fondatrice e presidente di Parole O_Stili
Byung-Chul Han, tra i pensatori più importanti e più letti dei nostri tempi, affronta con stile nitido e conciso una delle fratture al cuore della società di oggi: la paura del dolore. Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo. E l'attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. E nel farlo ci consegna nuovi e più efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.