La posizione filosofica di Ricoeur ormai non costituisce più una novità. Questo libro si sofferma sul suo contributo all'elaborazione di una filosofia dell'azione e quindi di un'etica radicata nella storia, saldamente fondata sullo statuto ontologico della persona umana. Tale aspetto del suo impegno speculativo è tanto più attuale ed importante in quanto ha preso forma in un momento in cui sembrava che la riflessione sull'azione e quindi sui valori dovesse diventare un capitolo non più della riflessione filosofica, ma della ricerca sociologica o psicologica. È appunto in quest'ordine di considerazioni che risiede l'interesse della presente opera. Nel suo aspetto più immediato può sembrare centrata esclusivamente sul confronto tra l'analisi linguistica e la fenomenologia. Tuttavia non si limita a definire i termini di questo confronto; delinea piuttosto un itinerario di ricerca che percorre i momenti speculativamente più rilevanti di una fenomenologia della volontà che, pur costituendo il presupposto dell'analisi linguistica, non ha tuttavia in se stessa la ragione ultima del proprio essere. Perciò perviene al riconoscimento dell'esigenza di una fondazione originaria, rispetto alla quale il discorso dell'azione, da descrittivo ed analitico, si trasforma in costitutivo e dialettico, cioè in discorso dell'azione sensata, in etica.
Eloisa e Abelardo: una coppia indimenticabile vissuta nel secolo di Tristano e Isotta. La loro storia, che ha conosciuto travisamenti e misconoscimenti, è qui ricostruita con rigore attraverso la suggestiva lettura del loro epistolario, in grado di mostrare i due volti dell'umanità medievale: un confronto tra passione e filosofia, fede e ragione, vissuto in una «dialettica di coppia» la cui tensione e densità restano fuori del comune e perciò altamente emblematiche. Lo stile vivace di Régine Pernoud assume come sfondo il secolo XII, caratterizzato da un clima di febbrile ripresa degli studi e da ideali di riforma monastico-religiosa. E inoltre la stagione dell'amor cortese, degli scontri fra eresia e ortodossia, quando l'arte romanica ormai pienamente sviluppata cede il passo ai primi tentativi di «architettura ragionata». Il desiderio di assoluto si snebbia e si umanizza, fornendo le strutture per le grandi somme teologiche della Scolastica. L'amore fra Eloisa e Abelardo è dunque la storia di due amanti che la vita separa e spinge verso una prospettiva di rinuncia. Ma anche dalla privazione l'amore, in un alternarsi di luci e ombre, finisce per trionfare conducendo alla santità.
«Lo studio di Kierkegaard fu da me vissuto sin dall'inizio come una necessaria integrazione della mia formazione metafisica, volta ai temi costitutivi dell'essere: temi che, per se stessi, sarebbero privi di senso se non fossero percorsi partendo dalla carne viva dell'esistenza e solo per ritornare nel suo cuore cercandone senso e destino». Virgilio Melchiorre raccoglie qui in un'unica opera i contributi che ha dedicato al pensiero di Søren Kierkegaard dal 1953 fino a oggi. Venti scritti che, mediante un'accurata ricognizione storico-teoretica del dettato kierkegaardiano, ne analizzano i diversi aspetti - estetico, etico, teologico - senza tralasciarne la valenza critica rispetto alle categorie di un idealismo oramai al tramonto. Attraversando oltre mezzo secolo di ricezione italiana del filosofo danese, il volume è a un tempo occasione e testimonianza: occasione, per chiunque intenda comprendere e approfondire il pensiero di Kierkegaard, di accedere a testi ancora fondamentali e ormai difficilmente reperibili; testimonianza di un percorso di ricerca e di riflessione rigoroso, di alto valore etico e teoretico, caratterizzato dalla tenace attenzione alla struttura ontologica dell'essere umano e alla trascendenza metafisica del suo fondamento nella loro inscindibile unione.
Parlare di filosofia ai bambini significa trasmettere la storia dei filosofi e delle loro idee o aiutarli a ragionare e a sviluppare un pensiero critico? Il libro racconta un'esperienza di insegnamento in cui le due opzioni non si escludono, ma sono complementari. I bambini possono riflettere sull'origine della vita, la responsabilità personale o il rapporto con gli altri mediante la conoscenza delle storie e delle idee di Pitagora, Platone, Confucio e Lao-tse. Attraverso una riflessione generale sull'insegnamento di questa disciplina e, in particolare, sulla sua didattica con i bambini, l'autore offre un esempio concreto e originale di pratica filosofica nella scuola elementare.
Nel suo personale itinerario speculativo François Jullien alterna testi più lunghi e articolati a saggi brevi, intensi, privi di note e adatti anche a un pubblico di non specialisti in materia sinologica o filosofica. In questo scritto breve tocca la questione della presenza e della "vita a due", e del rischio che la presenza si assopisca e si banalizzi. Senza concentrarsi solo su un soggettivismo psicologico, Jullien rintraccia e inscrive quella faglia o cedimento all'interno dell'Essere stesso: la caduta nella monotonia di una presenza disattivata, smorzata, inerte non rappresenta semplicemente un rischio del soggetto; sprofondare nell'inerzia è una possibilità ontologica, è strutturale all'Essere. L'Altro assume allora un rilievo cruciale, perché è colui, o colei, che può riattivare la presenza e mantenerla viva - a patto di saperla accogliere, custodire e incentivare.
L'estetica di Sloterdijk non è semplicemente una filosofia dell'arte, ma anzitutto un modo eminente di fare filosofia. Al centro della riflessione che attraversa i saggi qui raccolti è la questione dell'aisthesis - la sensazione o sensibilità - nella sua più ampia declinazione. Da un lato si attribuisce all'arte "in senso stretto "uno spazio eccentrico rispetto alla norma, dall'altro si fa valere un modo alternativo di guardare all'esperienza estetica, riconoscendole un ruolo guida nelle scelte consapevoli e nelle condotte inconsapevoli dell'essere umano. Così concepita, l'estetica possiede un profondo potere euristico: ci aiuta a capire che tipo di mondo ci siamo costruiti, come ci "sentiamo" in questo mondo e in che modo potremmo cambiarlo, cominciando da noi stessi. Con lo stile incisivo e la profondità analitica che gli sono propri, Sloterdijk affronta un ampio spettro di questioni tradizionalmente assegnate alla dimensione estetica - dall'architettura alla musica, dal design alla pittura, dalla forma della città alla letteratura - inquadrandole nella sua originale e innovativa antropologia filosofica.
Sembra più facile appassionarsi alla lettura dell'Inferno di Dante che a quella del Paradiso, che può apparire come un nulla immacolato. Ma il Paradiso dantesco è più variato e violento dell'Inferno. Lì, Beatrice dichiara al poeta: "S'io ridessi tu ti faresti di cenere". Ecco perché mettiamo il Paradiso alla porta: temiamo la sua gioia esigente. E allora ci fabbrichiamo un piccolo paradiso artificiale, rassicurante: un inferno molto rispettabile. Certo, non si tratta di fuggire verso un altro mondo immaginario né di regredire verso il paradiso terrestre della Genesi, che, lo sappiamo, è definitivamente perduto. Alla nozione di un aldilà opponiamo a buon diritto l'esigenza di vivere hic et nunc. Ma non riusciamo mai a essere veramente qui, adesso. Ed è a questo punto che il vero paradiso rivela il suo paradosso e si difende dalle sue parodie: non è evasione verso un altrove, ma grazia lacerante di essere infine presenti a tutti e a ciascuno, in un'apertura sinfonica, una creatività corale. Questo libro è un invito a percorrere un itinerario attraverso la filosofia, la teologia e le arti - da Nietzsche a san Tommaso, da Baudelaire e Proust a Bernini, da Sade a Mozart - per accostarsi a ciò che il paradiso ha di più terribile e di più bello: la ferita della sua beatitudine. Non si tratta di una consolazione, ma di una convocazione a quella gioia che deve farci perdere ogni contegno - come un clown - e distruggere ogni contentamento - come un fiume...
L'uomo è un animale come tutti gli altri, questa è la difficile eredità di Darwin, un'eredità che risulta ingombrante non solo per gli umanisti o i cristiani ma anche per tutti coloro che non rinunciano all'idea di poter governare razionalmente, consapevolmente il cammino evolutivo dell'umanità. Cadute le illusioni delle utopie politiche, svanita la fede in un aldilà ultraterreno, l'antico slancio prometeico alimenta oggi i sogni della tecnologia e della scienza. Scegliere il proprio patrimonio genetico, aspirare all'immortalità criogenica, rinunciare al corpo per entrare nella realtà virtuale: i miti sono in fondo gli stessi, segnati dall'inevitabile fede nella libertà e dall'aspirazione al controllo totale di sé e del mondo. Ma libertà e controllo sono per Gray due fatali illusioni, radicate nell'illusione più grande di essere noi umani diversi dagli animali, che non hanno bisogno di scopi, finalità, progetti per stare al mondo. In compagnia dei grandi maestri dello scetticismo e del pessimismo occidentali, il viaggio letterario di Gray attraverso le stazioni della cultura moderna e contemporanea approda all'antica sapienza taoista. che ci apre le porte dell'accettazione del limite come possibilità di godimento pieno, ci insegna la natura dell'agire morale come gesto esatto e distaccato, ci mostra l'inconsistenza della nostra idea di realtà. Uno sguardo poetico come unico antidoto all'illusione più pericolosa, quella di poterci mai liberare dalle illusioni: un invito a guardare, con quieta vertigine, allo spettacolo della vita e a sentire in questo il compiersi del suo unico scopo possibile.
Ciò che in quest'opera viene preso in esame, nonostante le difficoltà tematiche dei testi raccolti, costituisce un oggetto unico considerato da punti di vista diversi.
L'essere umano è fragile e vulnerabile, e vive in una relazione di cura in ogni momento della sua vita. In questo senso, la cura è il grado zero della nostra umanità, la possibilità stessa di esistere. Purtuttavia, essa è stata a lungo assente dal dibattito teorico politico o considerata per lo più nella sua dimensione assistenziale, come questione privata e impolitica. Di recente, però, si è aperto un canale nella riflessione filosofica che, da punti di vista anche molto diversi, la riporta al centro dell'attenzione. Il volume si inserisce in tale nuova tendenza, assumendo il tema in tutta la sua complessità: filosofica, antropologica e sociale. Focalizzandosi sulla vulnerabilità come dato ontologico dell'umanità, e partendo dall'esperienza della guerra, il testo ricostruisce una serie di passaggi teorici della modernità e della contemporaneità politica - da Hobbes a Foucault, da Weil a Tronto passando per Carlo Gnocchi e Rosanna Benzi - fondamentali per indagare la cura intesa come caregiving - cioè il prestare cura materiale e quotidiana - come pratica universale che investe una molteplicità di dimensioni, come dato esperienziale essenziale alla vita. In particolare, analizzando l'esperienza di genitori di bambini dichiarati inguaribili, l'autrice si sofferma sulla vulnerabilità nella sua versione radicale posta in relazione al contesto ospedaliero e alla pediatria territoriale.
Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Facciamocene una ragione. Le limitazioni alla democrazia, il potere dispotico esercitato sui popoli dalle istituzioni sovranazionali, la prevalenza della finanza sulla politica, sono tutti effetti prodotti dall'economia della crescita continua. Un sistema che sta giungendo alla fine e che, come un animale ferito, mostra il suo volto peggiore e aggressivo, pronto a trascinare tutto e tutti nel baratro. Per arginare questa potenza distruttrice non basta riformare il sistema, ma è necessario cambiare l'orizzonte culturale e le categorie attraverso le quali pensiamo e interpretiamo il mondo. Le grandi famiglie politiche tradizionali non sono in grado di comprendere i rischi che l'umanità corre in questa fase storica, in cui il modo di produzione industriale si sta estendendo a tutto il mondo. Destra e sinistra sono categorie del passato. E per certi versi incarnano anche parte del problema. Se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo smetterla con la crescita. Solo una decrescita felice, selettiva e governata, può salvarci.