Mito e modernità: un rapporto da sempre conflittuale e affascinante. Lo studio evidenzia la genesi e lo sviluppo di tale nozione in F.W.J. Schelling.
Nella direzione di una rivalutazione critica delle testimonianze degli eresiologi cristiani sullo Gnosticismo, l'autore ricostruisce la dottrina gnostica di Valentino e di alcuni suoi continuatori, offrendo un'ampia ed articolata analisi storico-religiosa di una delle più importanti e problematiche fonti indirette valentiniane, la "Grande Notizia", cioè i primi otto capitoli dell' "Adversus Haereses" di Ireneo di Lione. Di essa restituisce per la prima volta il testo originale greco, trasmesso da Epifanio e finora filologicamente subordinato all'antica traduzione latina. A supporto, in forma sinottica, è posta la versione fornita per lunghi tratti dall'"Adversus Valentinianos" di Tertulliano. Lo studio delle modalità di composizione ha permesso di individuare il ricorso ad una sorta di tecnica "ad intarsio", che rende difficile una netta distinzione tra le fonti. Alcune di esse, risalenti al periodo romano di Ireneo (153-170 circa), sono costituite dalla più antica interpretazione del "Prologo" del Vangelo di Giovanni e da un testo utilizzato anche da Clemente di Alessandria per gli "Excerpta ex Theodoto". La nascita e la diffusione della dottrina di Valentino sono collocate all'interno di una fase particolarmente complessa dello sviluppo del primo Cristianesimo: attorno alla metà del II secolo, infatti, a Roma nell'ambito della Grande Chiesa si andava articolando la distinzione fra eresia e ortodossia. Prefazione di Giulia Sfameni Gasparro
"Il 12 febbraio del 1809 nasceva un uomo schivo che ebbe in sorte di cambiare per sempre il nostro modo di intendere la natura, e il posto della specie umana in essa. Uno scienziato che ha saputo condensare in una vita sola: una giovinezza spensierata senza troppa voglia di studiare; un viaggio avventuroso di cinque anni attorno al mondo così denso di meraviglia da apparire come un perfetto romanzo di formazione; un secondo viaggio londinese, tutto mentale questa volta, all'inseguimento di un'intuizione rivoluzionaria e inconfessabile; venti lunghi anni di silenzio operoso nella campagna del Kent; la morte della figlia più amata; e poi un precipitare quasi teatrale di accadimenti con la lettera occasionale di un potenziale rivale, la corsa alla pubblicazione, il successo mondiale dell'"Origine delle specie", lo scandalo nella buona società dell'epoca, il sottrarsi alle polemiche, la fama internazionale, le opere apparentemente bizzarre della vecchiaia, le ansie di vita eterna della moglie, un ultimo libro sui lombrichi, gli onori della sepoltura in Westminster. Il tutto in un uomo solo, che forse non cercava tanto". Telmo Pievani racconta l'affascinante e rocambolesca vita dello scienziato che con la sua teoria dell'evoluzione per selezione naturale ha cambiato per sempre la nostra concezione del mondo vivente
Le storie di Sir Arthur Conan Doyle parlano del detective Sherlock Holmes, e II signore degli anelli di Tolkien parla di Gandalf. Naturalmente, Doyle e Tolkien non ci dicono mai che Holmes e Gandalf non esistono e, nelle storie che li descrivono, il detective e lo stregone hanno l'aria di essere molto, molto esistenti: affrontano avventure, rischiano la propria vita e alla fine hanno successo sui malvagi avversari; tutte cose che difficilmente un oggetto inesistente potrebbe fare, visto che, appunto, non esiste. Ma a non esistere non sono solo le cose che popolano il mondo letterario. Molte altre cose, pur essendo esistite in passato, ora non esistono più: Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Napoleone, George Washington, Michael Jackson, tutti i nostri cari estinti. E tutti loro, pur non esistendo più alla data di oggi, conservano ancora la qualifica di oggetti: sono, oggi che non esistono, portatori di proprietà, e rendono vere certe affermazioni. Il problema delle cose che non esistono è strettamente intrecciato col problema del senso del verbo "esiste", e di altre espressioni connesse con la questione di cosa stiamo dicendo quando facciamo affermazioni come: "Vulcano non esiste", "Nettuno esiste", o di cosa voglia dire l'espressione "c'è" in frasi come: "C'è un cerchio quadrato sulla mia t-shirt" o "Laura non c'è". Questo libro vuole mostrare che l'esistenza non è affatto una faccenda puramente logica
Cos'è la giustizia e il giusto, se e perché dobbiamo essere giusti, il rapporto fra utilità e giustizia: sono quesiti fondamentali già a partire dall'antichità con le riflessioni di Platone e Aristotele. Dopo di loro, la riflessione di Hobbes, Locke, Hume, Rousseau e Kant arriva a inquadrare il problema della giustizia all'interno della discussione pubblica in politica. Nel XIX secolo Marx pone la questione che le riflessioni su questo tema siano in stretta relazione con la capacità della giustizia di soddisfare fini e aspettative sociali. Infine nel XX secolo filosofi come Hayek e Rawls elaborano diverse ipotesi nell'ambito della teoria politica e arrivano a conclusioni teoriche ancora oggi dibattute
Oggi, non si può negare che l'uomo contemporaneo, nonostante sia un animale metafisico, non trova più senso nell'interrogarsi sull'"essere" e se lo fa, è perché lo incentra sull'autosufficienza della conoscenza. Di fatto, dalla prospettiva della nostra attuale cultura post-kantiana, che tende ad apprezzare in forma quasi esclusiva l'utilità pratica, viene facile porsi le domande: perché la metafisica? All'uomo serve ancora? Gli è utile di fronte alle nuove, moderne tecnologie? Nel rispondere, vogliamo ricordare che gli operai del pensiero sono i segreti costruttori della storia. Ogni crisi storica, in fondo, è metafisica. Le stesse crisi economiche tradiscono la loro origine metafisica: nascono, infatti, (anche) da un'errata concezione dell'uomo. Si pensi, per esempio, alla grande crisi provocata dal liberalismo del secolo scorso che ha originato il socialismo. Aveva ragione Nietzsche: "Non è intorno a chi inventa strepito nuovo, ma intorno a chi inventa nuovi valori che silenziosamente gira il mondo". In questo volume, l'autore, usando un linguaggio semplice, tenta di spiegare all'uomo di oggi le ragioni di essere della metafisica quale generatrice di umanità giacché collabora alla crescita della persona umana proprio come persona.
Tratto da Imaginary Conversations, questo ipotetico incontro/scontro mette sul tavolo le diverse ma non inconciliabili visioni del mondo e dell'uomo di due grandi filosofi della Grecia classica: Platone (Atene 427-347 a.C.) e Diogene detto il Cinico (Sinope 413-323 ca a.C.). L'ottimismo del primo e il pessimismo cosmico del secondo danno vita a una breve ma serissima commedia, non esente da insulti e imprecazioni più degne di due irascibili carrettieri che di due famosissimi intellettuali.
"Nelle Note per la letteratura" Adorno raccolse scritti spesso di origine occasionale, ma in cui è sempre insita la forma del saggio cosi come è magistralmente definita nel testo che apre il volume. Il saggio è la forma prediletta da Adorno, accanto all'aforisma, poiché rientra nel pensiero asistematico, che non sussume il particolare alla totalità, ma lo spreme in quanto frammento, la realtà stessa essendo frammentaria e trovando "la propria unità attraverso le fratture, non attraverso il loro appianamento", sicché il saggio "deve far risplendere la totalità senza peraltro asserirne la presenza". E molte di queste "note" sono veri e propri saggi da allineare ai più famosi dell'autore. Accanto a contributi teorici fondamentali come "La posizione del narratore" nel romanzo contemporaneo o quello sull'"Impegno", in cui Adorno motiva in polemica con Sartre e con Brecht il rifiuto di questa abusata categoria, si troveranno qui analisi impreviste e quanto mai illuminanti della poesia di Hölderlin, Heine e George, di Balzac, Proust e Valéry, della scena finale del "Faust" e di "Finale di partita" di Beckett. Per questa nuova edizione, Sergio Givone ha selezionato i saggi letterari più rappresentativi di "Note per la letteratura", oltre a ripescare il fondamentale saggio su Kafka, originariamente in "Prismi"
"Briciole filosofiche" è l'opera con la quale Kierkegaard nel 1844 intende conferire un "significato decisivo all'esistenza" sulla base della sola ipotesi cristiana, e giustificarlo dal punto di vista filosofìco. Il curatore del volume, Umberto Regina, evidenzia come in questo titolo sia condensato il senso stesso della ricerca kierkegaardiana. I due termini semplicemente accostati stanno a dire che se anche la quantità è poca, la qualità è tutto: è filosofia, appunto. In aperta polemica contro ogni sistema idealistico di tipo hegeliano, Kierkegaard si sottrae alla logica dell'identità per valorizzare il pensiero della differenza: essere coscienza in grado di cogliere la propria temporalità al cospetto dell'eternità. L'eterno dona, insieme alla verità, la condizione per riceverla: v'è un'asimmetria che si manifesta nel "paradosso", ovvero la "passione del pensiero per ciò che non può pensare". Ad essere rovesciata è la tesi parmenidea della coincidenza fra l'essere e il pensare nell'identità del tutto; ciononostante, è la stessa filosofia a mostrarci l'irriducibilità del paradosso, come passione per ciò che è eccedente - spiega Regina - "propria di chi è disposto a compiere qualsiasi sacrificio intellettuale pur di non aderire a una verità nemica dell'esistenza" quale sarebbe l'idea di "sostanza": "l'intelletto e il paradosso vogliono la stessa cosa, ma possono volerla solo nel momento". Il momento è quello della "fede", nella quale la loro inconciliabilità può divenire "intesa"
Un serrato confronto tra un filosofo e un teologo sul gesto umano del costruire e sul senso dell'abitare. Dialogando con Heidegger, Derrida, Blanchot, Augé, Lévinas, Baudrillard, Benjamin, la Bibbia, ed altro ancora, il saggio riflette sulla differenza tra lo spazio ed il luogo, sulla natura della casa, sul tema della città e sulla perversione della convivenza umana nelle megalopoli contemporanee.