Come ha scritto Jacob Taubes, nelle pagine de "La fine di tutte le cose" l'opera forse più ingiustamente trascurata dell'ultima fase della vita del grande maestro di Konigsberg - Kant conduce l'ambizioso progetto filosofico di "tradurre le dichiarazioni metafisiche dell'escatologia cristiana in una sorta di escatologia trascendentale". L'escatologia trascendentale ruota attorno a un duplice interrogativo: perché, in generale, gli uomini si aspettano una fine del mondo? E se questa viene anche loro concessa, perché proprio una fine che, per la maggior parte del genere umano, fa paura? Per Kant l'antica profezia apocalittica di San Giovanni prefigura, in simboli e immagini, il limite estremo della stessa attività del pensare, delineando la struttura paradossale di un "concetto con cui, al tempo stesso, l'intelletto ci abbandona e, addirittura, ha fine ogni pensiero".
"Se il filosofo deve coltivare il senso della possibilità cantato da Musil, deve costruire mondi e paesaggi mentali con pazienza e a volte temerarietà, restando disponibile a stupirsi del risultato. L'immaginazione è una componente essenziale di questo esercizio, che si accompagna spesso a una impressione di solitudine sconfinata. E in effetti ci sono dei punti di svolta quando si esplorano i paesaggi mentali che si sono costruiti, in cui è come se ci si affacciasse alla finestrella ventosa, intagliata nella pietra, in cima alla torre altissima di una cattedrale in rovina lasciata da un'antica civiltà; sul vuoto di questa solitudine sono in agguato una vertigine e una malinconia." Wassermann, Antonio Giona, Sally Percival, Johannes Jung sono alcuni dei personaggi che in questi racconti chiedono al lettore di concedere loro il privilegio di esistere per un attimo, di perorare la causa della loro vita impossibile sospesa tra astrazione e disinganno.
Dall'inizio dell'epoca moderna l'antichità classica è apparsa come la matrice storica della nostra civiltà e si è continuamente rinnovato lo sforzo di studiarne la fisionomia, di prendere coscienza dei suoi valori. In particolare, dalla fine del Settecento in poi, più ancora che dalla civiltà romana, i migliori ingegni sono stati attratti dal mondo greco. Oggi non possiamo più credere alla civiltà greca come a un modello extra-storico di perfezione, al quale dovremmo tentare di adeguarci: conosciamo i limiti di quella civiltà e sappiamo che l'umanità, nel suo tormento e nel suo lineare cammino, è andata oltre, ma tuttora è impossibile comprendere pienamente le istituzioni politiche, le espressioni artistiche e culturali, le varie visioni della vita odierna, senza rintracciarne le origini nella grecità classica ed ellenistica. Con questa sua opera Pohlenz ha messo a disposizione dei lettori una sintesi che consente di comprendere nella sua interezza l'umanità dei Greci antichi: l'autore fa rivivere l'uomo greco come individuo e come elemento della comunità, nella sua attività creativa di filosofo, di scienziato e di artista, nei suoi rapporti con la divinità e nella sua vita quotidiana.
Ogni giorno ci serviamo di nomi. Ignoriamo tuttavia quale sia la loro natura più segreta. Inoltre temiamo l’anonimato come il nostro peggiore nemico. Ma finché non sappiamo cosa siano i nomi, non potremo affrontare davvero quella determinazione dell’esistenza che sappiamo che in qualche modo ci tocca e ci riguarda tutti da vicino. Così parlando, leghiamo il nostro dire alla denominazione di cose, di persone, di fatti, siano essi reali o inesistenti. Eppure di questo gesto così abituale ignoriamo le conseguenze più profonde. Né abbiamo ancora imparato a pensare cosa significhi dare un nome o portarne uno. Cosa implica il fatto di dare un nome a un figlio? a degli animali? Cosa significa chiamare qualcuno “amico”? Cos’è quel nome di famiglia nel quale ognuno reca memoria del padre e della madre, oltre la loro morte? Nomi di nomi s’interroga sulle figure che costellano la nostra vita (la madre, il padre, gli amici e i nemici, i figli e le famiglie, l’ospite, il testimone, il capo, il colpevole, gli animali…) per ripensarle a fondo a partire dalla valenza che in ciascuna di loro assume il nome proprio.
GLI AUTORI
GIANLUCA SOLLA insegna Filosofia presso l'Università di Verona.
Nel 1971 il «New York Times» pubblicò alcuni stralci dei Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della difesa relativi all’impegno americano nel sud-est asiatico dal dopoguerra alla fine degli anni sessanta. Lo scandalo al cuore di quella pubblicazione – che precedette di poco la celebre infrazione al Watergate Building, e che inaugurò la grave crisi di legittimità che caratterizzò la presidenza di Richard Nixon – riguardava l’ammissione, da parte degli esperti del Pentagono, dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam. Che questa ammissione, nota ormai da anni ai più, venisse addirittura riconosciuta – e tenuta segreta – dai governanti statunitensi fu motivo di profonda indignazione nella pubblica opinione. A partire da queste premesse, Hannah Arendt, nel saggio qui proposto in nuova traduzione, riflette sul rapporto fra politica e menzogna. Il saggio, uscito nel 1972 sulla «New York Review of Books», prende in esame le affinità e le differenze fra la menzogna tradizionale – il mentire per ragion di Stato – e la deliberata falsificazione dei fatti per ragioni di "immagine" o di "reputazione". Ben oltre una mera ricognizione sui metodi pubblicitari, manipolatori del consenso e della pubblica opinione, all'opera nelle moderne democrazie di massa, il saggio di Arendt offre una profonda e originale riflessione sulla natura della politica e il suo rapporto con la verità. Testo originale a fronte
Le riflessioni raccolte in queste pagine costituiscono dei "segnavia antropologici" ai quali viene affidato il compito di indicare un percorso per il recupero integrale di quell'umanesimo che, all'avvio di questo terzo millennio, oltre ad essere avvertito come una necessità culturale, è inteso soprattutto come imprescindibile condizione di sopravvivenza della civiltà europea. All'uomo contemporaneo che vuole riconoscere se stesso nella creatura fatta a "immagine e somiglianza di Dio", a quanti siano disposti a non far cadere l'invito "diventa ciò che sei", rifuggendo dal rischio di cadere in facili rimedi, l'autore suggerisce le opportune terapie di riappropriazione della dignità personale. L'esercizio delle virtù civili, che viene proposto come modello di un umanesimo applicato e stile di vita affidato alla quotidianità, risulta un valido strumento per orientarsi nel mondo presente e per offrire, in particolare ai giovani, le indicazioni per essere attori consapevoli e impegnati nella storia dell'umanità.
Dopo gli storici lavori di Naumann (1901) e Weichelt (1910), il primo commento italiano all'opera di Nietzsche condotto capitolo per capitolo. L'opera di Sossio Giametta mostra "Così parlò Zarathustra" come l'esplosione del genio morale e poetico di Nietzsche che, in combinazione ma anche in contrasto con le sue tesi filosofiche, costituisce una summa della sapienza occidentale. Guida alla grandezza, ditirambo alla purezza e canto di solitudine, lo Zarathustra insegna il valore del corpo e l'attaccamento alla terra, incita all'amore di sé, che è sacrificio, e all'amore della vita, che è fierezza, responsabilità e lotta, contrapponendosi ai Vangeli cristiani, che negano valore autonomo alla vita e impediscono di cogliere la pienezza per cui vale la pena di vivere e morire. Una lettura attenta, condotta sull'edizione critica, di una delle più significative opere del pensiero occidentale. Un'interpretazione controcorrente di un autore discusso, a cui si affiancano una puntuale analisi stilistica e una ricostruzione completa delle fonti e dei riferimenti culturali e filosofici di Nietzsche.
Enciclopedia Filosofica in 12 volumi - Bompiani
Questa nuova edizione della famosa Enciclopedia Filosofica di Gallarate, interamente riveduta e ampliata con il contributo di 1837 persone e 135 istituti universitari, rappresenta il punto di arrivo di una lunga e complessa ricerca volta alla presentazione sistematica della storia, dei protagonisti e dei concetti del pensiero universale. Organizzata in ordine alfabetico, presenta 10.100 voci che ricoprono 24 ambiti disciplinari. Prinicipali collaboratori: Virgilio Melchiorre, Enrico Berti, Paul Gilbert, Michele Lenoci, Antonio Pieretti, Massimo Marassi, Alessandro Ghisalberti, Sergio Galvan, Sergio Givone, Elena Bartolini e molti altri autorevoli filosofi.
Nel XXI secolo qualcosa di nuovo si annuncia nel rapporto fra cristianesimo e civiltà. Si profila una fase postmoderna denotata da un cambiamento espansivo del confine fra religione e vita civile. Le religioni hanno ricominciato ad acquistare spazio nella sfera pubblica, opponendosi al pluricentenario movimento che vorrebbe allontanarle dalla vita civile.
In questo volume sono raccolti diversi studi, ormai dispersi e quasi introvabili, dedicati da Roberto Nebuloni ad Adorno, Horkheimer, Marcuse, Schütz e, successivamente, a Lagneau, Madinier, Nabert, Thévenaz: diverse tradizioni di pensiero – la francofortese, la fenomenologica e infine la Filosofia riflessiva – che Nebuloni attraversa ricostruendone con scrupolo i passaggi più significativi, certamente decisivi per il pensiero filosofico del Novecento. Ma Nebuloni si volge ai propri autori anche con un forte interesse teoretico, sollecitandone fra l’altro l’impensato e aprendo così prospettive nuove, spesso disattese dalla critica. Per questa via, oltre che una corretta ricostruzione dei diversi contesti speculativi, gli scritti di Roberto Nebuloni finiscono per offrirci anche una duplice proposta di pensiero: da un lato la prospettiva che torna a prefigurare un pensiero dell’assoluto, ma in termini discreti e con il rigore di una riflessione trascendentale, dall’altra la riflessione che si raccoglie sulla potenza del linguaggio simbolico inteso come il luogo privilegiato in cui viene infine a parola l’indicibile presenza del sacro.
Roberto Nebuloni, nato a Varese nel maggio del 1950, morì il 29 giugno 1994 in Valle Introna in un incidente di montagna. Aveva iniziato la sua ricerca scientifica dedicandosi in particolare agli autori della Scuola di Francoforte. Il suo lavoro più cospicuo a questo riguardo è il volume Dialettica e storia in Th. W. Adorno (1958). Successivamente si era dedicato anche allo studio della francese Filosofia riflessiva, pubblicando in particolare saggi su Lagneau, Madinier, Nabert, Thévenaz e soprattutto il volume Certezza e azione. La filosofia riflessiva in Lagneau e Nabert (1984). Si era infine volto allo studio di Rosmini, cui va riferito il suo ultimo libro, Ontologia e morale in A. Rosmini (1994).
Il volume, dopo aver riscosso ampio consenso dalla critica, fu onorato – nel maggio 1995 e nell’ambito del «Progetto Rosmini» – col premio alla memoria «Emilio Cecchetti».